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Tra Iran e Israele, la Russia sceglie Israele. Nervosismo a Teheran e conseguenze in Siria

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Pressato a prendere una posizione chiara da Israele, Giordania e Arabia Saudita, il Cremlino ha ormai fatto sapere da settimane che, senza compromessi, ritiene sia necessario ritirare tutte le milizie straniere dalla Siria.

Con questo termine, Mosca ovviamente include anche i pasdaran iraniani, i jihadisti sciiti di Hezbollah e quelli di altre milizie sciite create da Teheran in questi anni. In particolare, in Siria sono presenti decine di gruppi paramilitari sciiti iracheni, ma anche di origine afghana e pakistana. Come dimenticare che il regime iraniano, in questi anni, ha inviato in Siria centinaia di rifugiati afghani e pakistani – inquadrati nella Dvisione Fatwmiyoun – per la maggior parte di etnia Hazara, giunti nella Repubblica Islamica per cercare una nuova vita? Rifugiati mandati a morire per Assad, in cambio di una carta verde, della promessa di un passaporto iraniano e di un salario mensile che si aggira tra i 500 e gli 800 dollari al mese.

La forte presa di posizione del Cremlino è figlia di una evoluzione crescente, che è sfuggita a diversi osservatori. In primis tutto è cominciato con le parole del vice ambasciatore russo a Tel Aviv, Leonid Frolov. Ad una domanda molto chiara “con chi si schiererebbe la Russia in caso di guerra tra Israele e Iran”, Frolov ha risposto senza mezzi termini “in caso di aggressione contro Israele, non solo gli Stati Uniti starebbero dalla parte israeliana, ma anche la Russia”.

Dopo le parole di Frolov, l’attenzione di Mosca è stata dedicata molto a chiarire la strategia in Siria nel post-Isis. In primis, ha iniziato Alexander Lavrentiev, inviato speciale di Putin a Damasco. E’ stato proprio lui il primo a dire chiaramente che, a fronte della sconfitta di Isis, tutte le forze straniere “inclusi americani, turchi, Hezbollah e iraniani”, devono lasciare la Siria. Posizione ribadita direttamente dal presidente Putin ad Assad, quando il dittatore di Damasco è stato convocato a sopresa a Sochi.

Il regime iraniano, ovviamente, ha fiutato subito il malvento. Per questo, poco dopo le parole di Putin, sia il portavoce del Ministero degli esteri iraniano Qassemi, che lo stesso ministro degli esteri Zarif, hanno affermato che Teheran non ha alcuna intenzione di lasciare la Siria, perché le forze di Teheran si trovano in quel Paese su espressa richiesta del Governo siriano. A Mosca però non scherzano: ecco perché, davanti alle ritrosie iraniane, sono giunte anche le parole del forte ministro degli esteri russo Lavrov. Come riportato dalla Tass, Lavrov non ha solo ribadito quando affermato in precedenza dal presidente Putin, ma ha anche intimato alle milizie filo-iraniane di abbandonare immediatamente il sud della Siria, come richiesto sia da Netanyahu che dal Re giordano Abdallah II.

Il giorno dopo le parole di Lavrov, il ministro della difesa russo Sergey Shoigu riceveva a Mosca il suo omologo israeliano Avigdor Lieberman, per discuture della questione siriana, in particolare della situazione nel sud della Siria nelle aree di “de-escalation”.

Non è dato sapere come questo scontro di posizioni tra Mosca e Teheran finirà, ma quello che è noto è che in Iran alcuni giornali, hanno già iniziato ad accusare Putin di essersi ormai schierato definitivamente con Israele. La questione però è più ampia e l’Europa dovrebbe assolutamente tenerne conto.

In primis, gli interessi di Putin. Il presidente russo non ha alcuna intenzione di arrivare ad uno scontro con Israele, ne tantomeno con i principali attori sunniti della regione (ormai in guerra aperta con l’Iran). Per quanto riguarda Israele, nello Stato ebraico vivono oltre un milione di russi, che rappresentano per il Cremlino un soft power di assoluta importanza. Senza contare l’importanza per Putin di mantenere tranquille le basi di Latakia e Tartus, fondamentali per Mosca per avere un piccolo sbocco in un mare caldo (oltre a quello, fragile, in Crimea). Per quanto concerne il mondo sunnita, Putin non ha alcuna intenzione di scontrarsi con Paesi come l’Arabia Saudita, l’Egitto, la Giordania, per far felice Teheran. Si tratta di Paesi che possono essere estremamente preziosi per la Russia sia in chiave diplomatica, ma anche in termini commerciali (petrolio, nucleare, armi) e di sicurezza (contrasto al jihadismo sunnita in Russia).

C’è poi una questione tutta interna alla Russia: per Mosca l’Iran non è solo un alleato, ma anche un importante competitor. Soprattutto nel settore oil & gas, ove il regime iraniano – se completamente rilegittimato – potrebbe contribuire a diversificare l’export di energia verso l’Europa a danno proprio della Russia, ma anche verso alcuni Paesi asiatici (ad esempio la Cina e il Giappone). Senza contare i rapporti con la Turchia, il centro di passaggio per eccellenza dei pipeline verso l’Europa, considerata da Mosca strategica anche in ottica della costruzione del Turkish Stream, importante per aggirare l’Ucraina e ridurne l’importanza geopolitica.

La domanda finale è: che posizione prenderà il Governo siriano in questa partita? Attualmente, non è possibile avere una risposta definitiva, considerando anche che, fino a qualche giorno fa, le forze siriane erano impegnate a riprendere tutte le aree di Damasco anche con il sostegno delle milizie controllate da Teheran.

Forse, però, qualche indizio lo si può trovare in merito alla posizione siriana. Un indizio è dato dalla recente decisione diplomatica recentemente presa dal Governo siriano: il riconoscimento ufficiale dell’indipendenza delle regioni georgiane dell’Abkhazia e del Sud Ossezia, da anni sotto il controllo russo (con annessa decisione di stabilire relazioni diplomatiche bilaterali). Il secondo indizio, è l’intervista concessa in esclusiva da Assad a Russia Today. In quella intervista, ovviamente piena di teorie complottistiche, Assad ha negato la presenza sul suo territorio di truppe iraniane, parlando di “presenza limitata a qualche ufficiale”. Apparentemente sembrerebbe una risposta negativa verso Putin, ma non è così. Anzi, la risposta di Assad rappresenta una grande delusione per Teheran.

Assad, infatti, non solo ha negato la presenza di truppe iraniane, ma lo ha fatto affermando che “non ci sono mai state e se le avessimo invitate non ci saremmo vergognati a dirlo”. In altre parole, Assad ha negato le giustificazioni che proprio l’Iran sta dando per mantenere le sue truppe in Siria (“siamo stati invitati dal Governo siriano!”). Indirettamente, quindi, Assad ha dato il suo sostegno all’idea del ritiro dei militari iraniani dalla Siria, sostenendo la posizione russa. Un messaggio probabilmente anche dettato dall’incapacità dimostrata da Teheran di rispondere agli attacchi dell’aviazione israeliana contro obiettivi iraniani all’interno della Siria.

Questi due indizi – riconoscimento zone separatiste in Georgia e intervista di Assad – lanciano indubbiamente dei segnali importanti. Segnali che l’Europa dovrebbe cogliere. L’Ue, infatti, farebbe bene a smettere di considerare l’Iran una opportunità e aprire gli occhi: quando le sanzioni secondarie saranno definitivamente approvate dalla Casa Bianca a girare le spalle a Teheran saranno in molti, a cominciare da quelli che oggi sono considerati gli “alleati” della Repubblica Islamica.

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