Martin Luther King aveva un sogno. Per non rischiare di essere tacciati di appropriazione culturale, meglio limitarsi a custodire un timido auspicio: la flebile speranza che in una posizione di comando o di grande influenza arrivi al più presto una persona nera di buon senso capace di dire “ora basta”. Il tipo di pigmentazione della pelle ovviamente non dovrebbe contare, ma in questo mondo fuori controllo pare sia un requisito fondamentale per non essere accusati di razzismo e per avere voce in capitolo quando si tratta di parlare di determinati argomenti, come i disordini che, oltre alle menti di ampie fette di popolazione, stanno travolgendo molte città americane (rigorosamente a guida liberal).
Di persone nere di buonsenso ce ne sono, ovviamente, perché ce ne sono (o non ce ne sono) di tutti i colori, ma vengono ignorate, guardate con sospetto in quanto dannose per la causa “progressista” e, se persistono, finiscono per essere ostracizzate. Zittite. Censurate. Tacciate di collaborazionismo. Cacciate (secondo la dottrina Biden, un nero che non sposi la “sua” linea e non voti per lui addirittura non sarebbe nero).
È il caso di John DeBerry, membro del Parlamento del Tennessee che, dopo essere stato estromesso dalle liste elettorali del Partito democratico perché giudicato troppo conservatore (nonostante le 13 elezioni da lui vinte presentandosi con il partito dell’asinello), ha tenuto un discorso potente quanto semplice sulle rivolte in corso. Un discorso che dovrebbe essere fatto sentire e studiare a chiunque si interessi di diritti civili. O, ancora meglio, a chiunque. Altro che le allucinate e violente teorie dei fanatici di Black Lives Matter che, tra gli altri abomini, esultano per l’uccisione a sangue freddo di un sostenitore di Trump per le strade di Portland. Altro che gli ipocriti discorsi di personaggi di Hollywood sconnessi dalla realtà o di sportivi afroamericani milionari i quali, poverini, vengono continuamente discriminati a bordo delle loro fuoriserie, che, traendo le conseguenze da quanto dicono, cederebbero volentieri assieme al resto dei propri immani averi ottenuti col sudore di qualche partitella pur di avere il privilegio di essere bianchi che magari lavorano come imbustatori da Walmart.
Ma torniamo a King e a DeBerry. Il sogno di MLK era che i suoi figli un giorno potessero vivere in una nazione che non badasse al colore della loro pelle, ma al contenuto della loro persona. DeBerry, che ha 69 anni, andò a vederlo, Martin Luther King, nel 1968, a Memphis, assieme a suo padre, in un’epoca in cui i neri in America se la passavano enormemente peggio di adesso. Ha raccontato DeBerry alla Camera del Tennessee:
“Ad ascoltarlo c’erano persone che indossavano vestiti, camicie, cravatte. Marciavano pacificamente e il dottor King voleva che tutto fosse pacifico perché tutto il mondo stava guardando a ciò che stava accadendo a Memphis, Chicago, Detroit e Washington e in tutto il Paese. Abbiamo cambiato il mondo, pagando le tasse e gli affitti e facendo tutto ciò che dovevamo fare per poter poi pretendere quello che ci spettava in quanto cittadini americani come gli altri. Abbiamo cambiato il mondo rimanendo uomini e donne di integrità, classe, buon senso e valori. Quando sono iniziate le rivolte e la gente ha iniziato a bruciare cose, è stato allora che mio padre mi ha preso per il braccio e ce ne siamo andati. Ce ne siamo andati perché non era ciò per cui eravamo lì. Non era per quello che c’era il dottor King. Non è per quello che c’erano altri personaggi famosi ai tempi dei diritti civili. Quella cosa non era pacifica. Non faceva parte del nostro movimento e ha solo fatto male alla causa”.
Fece male anche a Martin Luther King, che quel 4 aprile a Memphis fu ucciso. DeBerry, all’epoca diciassettenne, ricorda le rivolte che scoppiarono:
“Tutto quello in cui il dottor King credeva, tutto quello in cui credeva fu improvvisamente abbattuto, finché non vennero voci più calme, voci più calme a dire che il dottor King era contrario a tutto ciò. Era contrario. Era contrario. La mia famiglia aveva raccolto soldi e aveva mandato mio padre a Washington per quella marcia in cui quell’uomo disse che voleva che i suoi figli fossero giudicati dal contenuto del loro carattere, non dal colore della loro pelle. E tutto quello che facciamo in America in questo momento è parlare di colore. Ogni questione, ogni questione riguarda la razza, riguarda il colore, invece di riguardare noi seduti a un tavolo come uomini e donne di buon senso”.
Perché il presunto antirazzismo vigente, classificando e segregando le persone solo in base al colore, è quanto di più razzista si possa immaginare. “Una protesta pacifica – ha aggiunto DeBerry – si conclude pacificamente. L’anarchia finisce nel caos. E chiunque di noi abbia buon senso, anche solo un briciolo di buon senso, sa che ciò che vediamo in questo momento non è pacifico. Quindi, possiamo continuare a ingannare noi stessi e a giocare con le parole e a usare la retorica e le pubbliche relazioni per coprire questa roba, ma ciò che vediamo è spaventoso, spaventoso”. Perché quelle in corso da mesi negli Usa che i media e i politici complici si ostinano a definire manifestazioni “per lo più pacifiche” sono guerriglia organizzata, saccheggi, devastazioni, intimidazioni, aggressioni, violenze e ora pure omicidi. Su questo DeBerry ha chiamato in causa i suoi colleghi parlamentari:
“Volete dirmi che qualcuno ha il diritto di distruggere una proprietà che i contribuenti hanno pagato? Che tipo di persone siamo diventati, se non siamo in grado di proteggere le nostre cose e se gli eroi sono quelli che violano la legge? Mi state dicendo che qualcuno ha il diritto di gettare feci e urina in faccia a coloro che noi come contribuenti paghiamo per proteggerci e che questo va bene? Cosa ci è successo? Se non lo capiamo subito, non voglio vedere il Paese che avremo tra 5, 10, 15, 20 anni se non iniziamo a comportarci come se avessimo un po’ di coraggio. A partire da adesso, fratelli, sorelle, amici, colleghi, proprio a partire da ora”.