Troppi candidati “civici” improvvisati: così i partiti adattano la politica alla propria inadeguatezza

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Ma dove sta scritto che gli elettori debbano per forza essere grandi esperti di politica? Non sarebbe ampiamente sufficiente che siano persone in possesso del diritto di voto? E non basta: potremmo chiederci altresì cosa intendiamo per “politica”. Non basta sottolineare che troppi erano i candidati con scarso appeal quando si vogliano commentare certe debacles elettorali: questo offriva il mercato e quelli si potevano votare. Per quanto persista l’infinita disputa sull’opportunità di indicare candidati tecnici oppure candidati di spiccato rango politico, non possiamo negare che una considerevole fetta dell’elettorato sia ormai stufo e disilluso rispetto alle promesse di cambiare l’andazzo generale. Inutile, se non fastidiosa, l’apposizione dei soliti ed altrettanto sorpassati nomi alle liste locali più o meno civiche che dovremmo votare. Si parla con sconsolante superficialità, dei triti e abusati concetti quali i “cambiamo la città”, “per una città nuova”, “amiamo la città” ed altri slogan stupidotti che non convincono più nessuno e assomigliano pericolosamente alle pubblicità degli yogurt.

La cruda realtà è che i partiti tradizionali sono morti e sepolti da anni, e quel che ne residua è un’accozzaglia di unioni di scopo e alleanze di comodo tra persone che non riuscirebbero nemmeno a sopravvivere ad una cena senza mettersi le mani addosso. Così succede al governo e nello stesso modo accade a livello locale. Si dimentica troppo spesso che l’elettore, troppo semplicisticamente indicato come renitente e pigro, è totalmente sperso nell’indecoroso mercato delle vacche che lo circonda. I casi sono due e tertium non datur: o chi vota è assolutamente indegno di votare, oppure sono troppi candidati di nessun peso. Probabilmente verrò tacciato di populismo, ma ho la precisa sensazione che tanto assenteismo alle urne, tanto disinteresse per chi ci dovrà amministrare sia quasi esclusivamente il risultato dei tanti schieramenti raccogliticci ed improvvisati che ci vengono contrabbandati come vere e proprie liste elettorali. Basti considerare che le liste civiche, tipiche dei paesini della sterminata provincia italiana, stanno dilagando anche nelle ben più popolose città e gli stessi grandi partiti sempre più assomigliano a grandi liste civiche (improprie) che raccolgono persone delle più svariate colorazioni politiche e sempre meno appartenenti al medesimo gruppo cementato dalla  stessa base ideologica. Appartenere oggi ad una lista civica (non soltanto locale) pare essere diventato un merito ed una patente di imparzialità e correttezza, da cui ne deriverebbe la certificazione di essere degni di governare dalla cittadina alla nazione.

Per un malinteso senso di equità distributiva si pretende oggi di mettere assieme persone assolutamente incompatibili persino dal lato caratteriale ammantandoli di una “civicità” che tutto farebbe passare in secondo piano. Così ci vengono proposte senza ritegno aggregazioni di pluri-trombati in precedenti elezioni, espulsi da vari partiti, rampanti imprenditori del nulla e presuntuosi ragazzotti sospinti dall’onda social che ci vorrebbero governare, almeno formalmente non rispondenti ad alcun partito, ma rigorosamente in linea con un preciso orientamento di parte che, evidentemente, non conviene loro sbandierare. Pur ammettendo che anche all’epoca dei partiti veri si potesse ritrovare tra i loro rappresentanti qualche clamoroso incompetente o impresentabile, oggi abbiamo oltrepassato il limite della decenza. Dietro ad uno slogan risibile (con spiccata tendenza a fare del “cambiamento” un merito di per sé stesso) si stanno mettendo in mostra persone delle quali sappiamo poco o nulla, che ci vengono proposte al voto con una campagna elettorale che di tutto tratta, tranne che dei loro meriti personali e delle loro reali competenze. Questo accade e sfido chiunque a dimostrare il contrario. Da lì ad essere disinteressati, tiepidi, qualunquisti il passo è breve.

L’unico indicativo reale delle ultime consultazioni elettorali sembra essere l’astensione al voto, a cui aggiungerei l’infinita congerie di voti annullati con insulti vari scritti sulla scheda. Vorrei, infine, considerare un aspetto, per così dire, sociologico dell’attuale andazzo politico, che non dovrebbe essere trascurato: non tutti dovrebbero aspirare a governare, almeno in uno Stato ideale. Stare al governo non è cosa di poco conto e non per tutti attuabile in un dato momento storico. Se non si capisce questo concetto si rischia assai. Essere al comando del vascello non è cosa per tutti ed in ogni momento della propria esistenza. Ben ci si potrebbe accontentare dell’indispensabile e nobilissimo ruolo dell’opposizione parlamentare, perlomeno quando non si abbiano candidati con la necessaria esperienza amministrativa e culturale, la dovuta capacità in politica, il necessario consenso a livello personale. Vediamo “signori nessuno” candidati, magari spendibilissimi per un ruolo di opposizione, ma letteralmente “bruciati” da chi li candida al voto popolare ancor prima di fare loro acquisire l’esperienza politica e la conoscenza pratica delle cose amministrative.

D’accordo, non ci si candida per stare all’opposizione, ma converrete con me che se una piccola lista di poco peso elettorale si trova oggi a governare perché unita nel simbolo alle grandi formazioni politiche, ormai deboli anch’esse e talmente timorose di non farcela da sole da portarsi appresso schiere di peones senza futuro politico, tutto sembrerebbe risolversi nel cercare alleanze di comodo più che inserire candidati di valore. Qualcosa, molto più di qualcosa, non funziona in questo inestricabile sistema elettorale che tutti vorrebbero cambiare ma che tutti complicano sempre più.

Anche in questi giorni si parla di candidati di poco peso che hanno fatto flop in questa tornata amministrativa e ciò dovrebbe, perlomeno, suggerire una riflessione: non sarà mica che i grandi partiti di oggi (anche se sarebbe più corretto parlare di aggregazioni di partiti) siano troppo protesi a curare esclusivamente l’immagine del loro leader più che cercare esponenti di secondo piano di indiscutibile valore e competenza che possano portare a casa dei voti per merito proprio più che quelli del capo di quella coalizione? Continuiamo a discutere di Salvini, di Letta, di Renzi e della Meloni come se a fare il sindaco a Milano o a Roma dovessero essere loro, senza nemmeno sapere cosa faccia nella vita uno dei loro candidati in quelle città. L’alternativa sarebbero forse le liste civiche? Può essere, a patto che i cittadini che devono votare per “Insieme per Vattelapesca” o “Cambiamo Vattelapesca” non siano più di cinquecento. Nelle medie e grandi città italiane dovrebbero candidarsi i partiti, quelli veri e senza troppe liste associate. Non se sono capaci? Non hanno i numeri o i candidati? Stiano a casa e cambino mestiere. Troppo facile e scorretto adattare le regole della politica alla propria inadeguatezza.

Ed ancora, un’ultima osservazione: ma cos’è questa storia che al governo ci si voglia stare per “controllare” i propri nemici storici? Coi quali si condividono i ministeri? Chi è al governo, governi, e chi sta all’opposizione faccia opposizione. Rimettiamo le cose a posto, una buona volta.

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