Il voto di qualche giorno fa in Canada ha riconfermato al potere il Partito Liberale del premier Justin Trudeau che sarà a capo stavolta di un esecutivo di minoranza, avendo ottenuto 12 seggi in meno della maggioranza parlamentare.
I Conservatori di Andrew Scheer hanno ottenuto più voti popolari – il 34,4 per cento contro il 33 dei Liberali – ma sono arrivati abbastanza indietro come numero di seggi, in virtù di una distribuzione di voti meno efficiente rispetto al funzionamento del sistema elettorale uninominale maggioritario.
In realtà i Conservatori non possono recriminare più di tanto in merito alle tecnicalità del voto, in quanto è evidente che in Canada si è riconfermata un’ampia maggioranza progressista e che la competitività dei Tories è stata resa possibile solamente dal vote-splitting tra le forze di sinistra e di centro-sinistra.
A sinistra del Partito Liberale, che rappresenta la politica liberal più istituzionale, sono presenti, infatti, due forze progressiste più radicali, il Nuovo Partito Democratico, di orientamento socialdemocratico e laburista, e i Verdi, in lenta ma costante crescita. I primi si sono attestati al 16 per cento ed i secondi al 6,5.
La questione è che i Tories, pur guadagnando voti rispetto al 2015, non sono stati in grado di cambiare il quadro della situazione nelle due grandi province dell’Ontario e del Québec.
Il rammarico c’è, perché non si trattava di un’elezione proibitiva per i Tories, visti i recenti affanni del primo ministro Trudeau.
Nei fatti, la guida di Andrew Scheer non è apparsa sufficientemente incisiva. Scheer, pur muovendosi più che dignitosamente sulle questioni economiche, non è stato in grado di imporre una “narrazione” in grado di fare breccia oltre le consituency tradizionalmente più fedeli.
Di ben altra caratura sarebbe stata in teoria una leadership di Maxime Bernier, il libertario di destra che nel 2017 è arrivato ad un soffio dalla guida dei Tories, ma che poi ha compiuto un vero e proprio suicidio politico uscendo dal partito, per formare, alla sua destra, il piccolo Partito Popolare. La nuova creazione di Bernier ha avuto un impatto irrilevante sull’elezione, attestandosi all’1,6 per cento complessivo e risultando competitiva in un solo collegio, la roccaforte storica di Bernier, che comunque non è stato eletto, superato dal candidato conservatore “ufficiale”.
L’analisi “post-mortem” del voto è ormai in corso all’interno del Partito Conservatore. Il partito è davvero “plafonato”, oppure c’è la possibilità di riuscire a coinvolgere segmenti di popolazione più vasti? E in tal caso è più efficiente un riorientamento al centro, specialmente sui temi sociali, che possa parlare meglio al Canada metropolitano e cosmopolita, o una via “trumpiana” mirata alla ricerca del consenso dei ceti popolari?
Certamente per vincere un’elezione federale serve veicolare il messaggio conservatore anche in province meno a loro agio con l’immagine tradizionale del partito.
La questione è che in Canada, qualunque forza politica è in grado di parlare veramente solo ad una parte della federazione, mentre in altre parti non è semplicemente “minoritaria” – cosa che di per sé garantirebbe la possibilità di diventare in un’altra occasione maggioranza – ma è proprio culturalmente “straniera”.
In Canada ogni provincia ha un suo sistema partitico diverso ed una dinamica politica specifica. I “partiti federali” competono solo per le elezioni per il parlamento federale di Ottawa. Anche in tali elezioni, tuttavia, le differenze di comportamento tra le varie aree del paese sono così nette che la semplice somma algebrica dei risultati fornisce una visione comunque “bugiarda” di quello che pensano “i canadesi”.
Il Partito Liberale ha vinto le elezioni senza conseguire praticamente alcun seggio ad Ovest dell’Ontario (fatta eccezione per la sola città di Vancouver).
Le praterie votano compattamente per i Conservatori con punte di consenso per i Tories oltre l’80-85 per cento in alcune aree dell’Alberta.
I Verdi ed in larghissima parte il Nuovo Partito Democratico riescono a vincere seggi solamente nella British Columbia – mentre in Québec risorgono gli indipendentisti del Bloc Québecois che si spartiscono con i Liberali la maggior parte dei seggi della provincia.
In questo contesto così complesso – con i Tories largamente fuori gara in Québec – spesso le elezioni canadesi si giocano primariamente in Ontario, la provincia più popolosa e al tempo spesso più oscillante tra i due maggiori partiti, Liberali e Conservatori.
È sostanzialmente vincendo l’Ontario che Justin Trudeau ha portato a casa questo secondo mandato.
Sono troppe, tuttavia, le aree del Paese destinate a sentirsi frustrate da un governo che sostanzialmente basa la sua “parliamentary plurality” solamente sull’Ontario, sull’area di Montréal e sulle roccaforti storiche rappresentate dalle piccole province atlantiche.
Ci sono pochi dubbi che questo assetto finirà per alimentare il sentimento di “Western alienation”, il malessere delle province occidentali che da sempre vedono il Paese governato da Est ed i propri interessi economici e culturali subordinati alle dinamiche delle province “nobili” del’Ontario e del Québec.
La verità è che il Canada è un Paese troppo diversificato perché possa essere governato efficientemente in maniera unitaria. Ulteriori passi di devoluzione devono probabilmente essere effettuati per venire incontro alle diverse aspirazioni delle sue componenti.
Per Trudeau si preannuncia, stavolta, un governo in condizioni più difficili e non necessariamente in grado di andare avanti fino alla prossima scadenza naturale del 2023, dato che nessuno degli ultimi governi di minoranza è durato a lungo.
Bisognerà vedere in che misura l’azione del premier sarà adesso condizionata dalla necessità di trovare, per i suoi provvedimenti, un appoggio parlamentare anche al di fuori del proprio partito.
Sarà anche necessario capire se sentirà il bisogno di riaprire il tavolo di una riforma elettorale in senso più proporzionale, come potrebbe essere richiesto dal Nuovo Partito Democratico per un sostegno, anche se ultimamente il premier aveva chiuso decisamente quel fronte di dibattito, sostenendo che una riforma elettorale avrebbe dato troppo peso a forze estremiste e militanti, penalizzando il futuro del paese.
Insomma, lo scenario canadese è destinato a rimanere fluido e dalla relativa debolezza del premier potrebbero emergere nuove opportunità per una futura alternativa.