Mentre Trump è a Davos nella tana del libero commercio mondiale, i media italiani danno ampio risalto allo sgarbo fatto al Presidente degli Stati Uniti – e alla sua famiglia – dal Museo Guggenheim. La First Family aveva chiesto in prestito un Van Gogh da esporre nella residenza privata della Casa Bianca, e la curatrice della collezione – notoriamente non una fan di Trump – ha risposto che quell’opera non era disponibile, proponendo, come alternativa, un cesso d’oro massiccio realizzato da Maurizio Cattelan, intitolato “America”.
Si tratta di argomenti che, in effetti, a prima vista, nulla c’entrano tra loro. Sono giustapposti dai media che sono solo contenti di potersi tuffare su quello che sembra un vero e proprio insulto alla First Family, e di non dover, così, dedicare troppo spazio a questioni complicate – come l’effettivo andamento del Forum di Davos – o scomode – come la vicenda degli inquietanti sms anti Trump degli agenti dell’Fbi, prima perduti, ed ora, a quanto pare, ritrovati.
Ma una piccola analisi, proprio stando a questo giochetto dei media, è possibile farla.
Il Guggenheim si rivela avanguardia dell’estremismo radical chic, e riesce a fare pubblicità al suo cesso d’oro massiccio, considerato opera d’arte fino a prova contraria.
Trump, invece, che di oggetti d’arredamento d’oro ne possiede già più di qualcuno, è lontano mille miglia a fare affari per il suo Paese proprio a Davos, nella tana del globalismo. Consiglio di guardare il video della parte pubblica della cena che ha avuto ieri sera con vari capi di aziende europee. Si apre con il Presidente della Siemens (colosso tedesco) che fa i complimenti a Trump per la sua politica economica, e dice che, grazie al taglio delle tasse, la sua azienda svilupperà la prossima generazione di turbine a gas proprio negli Stati Uniti, dove ha già 56.000 dipendenti. Immagino che Angela Merkel abbia apprezzato molto.
In tutto questo, in Italia, piuttosto che prestare troppa attenzione all’insulto del Guggenheim a Trump, varrebbe la pena di concentrarsi su un piccolo particolare: al tavolo con il Presidente degli Stati Uniti, tra i vari “business leaders”, non c’era nemmeno un italiano.
Insomma: il Guggenheim valorizza gratis la sua opera d’arte (come detto, tale fino a prova contraria), e Trump fa “acquisti” presso le aziende globali europee per conto del suo Paese.
E a noi – all’Italia intendo – cosa resta? Solo il fatto di aver dato i natali a Maurizio Cattelan, l’autore del cesso d’oro.
È un’adeguata consolazione?