Quale sarà il futuro del famigerato Iran Deal, la risoluzione 2231 delle Nazioni Unite, chiamatosi anche il Joint Comprehensive Plan of Action? Con lo slittamento del voto nel Congresso a dicembre, la decisione rimane al Presidente, che nei prossimi giorni dovrà pronunciarsi sul futuro della risoluzione, mirata a controllare l’arricchimento dell’uranio iraniano. Critico della sua eccessiva clemenza, è previsto il veto di Trump che dichiara di voler ritrattare le condizioni della risoluzione concordate dal suo predecessore.
La posizione dell’esecutivo è motivata dalla percepita debolezza dei termini concordati. Nel breve termine, la mancata collaborazione dalla parte delle autorità iraniane e nel lungo termine la possibilità che l’attuale segretezza iraniana potrebbe portare allo sviluppo effettivo delle capacità nucleari. Una grande preoccupazione è anche quella delle centrifughe dell’acqua pesante, attualmente limitate ad un terzo del livello pre-risoluzione (6.104 su 19.138 ancora aperte). L’ex direttore deputato della CIA, Michael Morell, dichiarava nel 2015 “La risoluzione limita l’Iran ad un numero di centrifughe necessarie per produrre una bomba, ma non abbastanza per un programma di energia nucleare per uso civile”. È proprio questa preoccupazione a spingere il Presidente a preferire una chiusura totale delle centrifughe iraniane, una posizione definita da Obama come una “vaga promessa di forza”. È lo stesso Obama e gran parte dei democratici al Congresso a definire la risoluzione l’unica alternativa alla guerra.
Per Trump, ritrattare la risoluzione comporterebbe la richiesta di una maggior riduzione delle scorte di uranio arricchito, attualmente limitate al 3,67% della quantità già esistente nel 2015. Sostenitori della ratifica definiscono la posizione di Trump eccessivamente dura, che rischia di perdere il dialogo con Teheran, indebolendo a contempo le le alleanze con gli europei, fortemente sfavorevoli ad un veto degli Stati Uniti.