Mentre il presidente Trump dà corso al suo annuncio e sospende i fondi Usa all’Oms, secondo il Washington Post molti alti funzionari dell’amministrazione ritengono l’uscita del virus da un laboratorio di Wuhan una ipotesi molto più probabile della storia del mercato del pesce: già nel 2018 l’allarme dei funzionari dell’ambasciata Usa
“Oggi ordinerò alla mia amministrazione di bloccare il finanziamento all’Organizzazione mondiale della sanità in attesa che sia condotta una revisione per valutare il ruolo dell’Oms nella cattiva gestione e nell’insabbiamento della diffusione del coronavirus“. Detto, fatto. Così ieri sera il presidente Trump ha annunciato di voler dar corso alla sospensione dei fondi Usa all’Oms minacciata qualche giorno fa. L’Oms, ha ribadito, “ha fallito nel suo compito basilare e deve essere ritenuta responsabile”, “la realtà è che non è riuscita a ottenere, controllare e condividere adeguatamente le informazioni in modo tempestivo e trasparente”. Dure, ma fondate, come abbiamo più volte rilevato su Atlantico, le accuse del presidente americano: ha ripetuto “a pappagallo” le affermazioni del Partito comunista cinese ignorando “un’informazione credibile” del dicembre 2019 (da Taiwan) sulla trasmissibilità del virus da uomo a uomo; ha privato la comunità scientifica internazionale di informazioni fondamentali sul Covid-19; ha promosso la disinformazione e il cover-up di Pechino.
A cominciare dall’origine del virus. L’ipotesi che la pandemia di Covid-19 abbia avuto origine da un incidente in uno dei due laboratori presenti a Wuhan non si può liquidare a cuor leggero, per una serie di motivi che su Atlantico Quotidiano abbiamo trattato già alcuni giorni fa.
Ad ormai cinque mesi dall’inizio dell’epidemia in Cina non abbiamo ancora una tesi scientifica ufficiale da parte delle autorità cinesi su come e quando il nuovo coronavirus sarebbe passato dal pipistrello all’uomo. Le ipotesi iniziali del pangolino come specie di transizione, e del mercato del pesce di Wuhan come luogo dove sarebbe avvenuto il passaggio animale-uomo, sembrano sempre meno convincenti, non essendo emersi elementi a supporto. Il primo paziente noto non aveva alcun legame con quel mercato, dove tra l’altro nemmeno si vendevano pipistrelli.
Quello che sappiamo è che Pechino sta censurando gli studi dei suoi scienziati ed accademici sulle origini del virus.
Come riportato dalla Cnn, una direttiva del Dipartimento di tecnologia e scienze del Ministero dell’istruzione diffusa online – e poi rimossa – da due università del Paese dispone che ogni documento sull’origine del virus prima di essere pubblicato debba essere sottoposto ad una revisione supplementare e ricevere il nulla osta di una task force di funzionari del governo centrale.
La Cina non ha fornito campioni biologici del virus trovato nei primi pazienti, ha chiuso il laboratorio di Shanghai che aveva sequenziato e condiviso il genoma del Covid-19 l’11 gennaio scorso, e diversi medici e giornalisti che hanno seguito l’epidemia dagli inizi sono desaparecidos. Tra questi, la dottoressa Ai Fen, che per prima lanciò l’allarme sul nuovo coronavirus simile alla SARS.
È ormai chiarissimo, nei nostri articoli di questi mesi lo abbiamo documentato, come prima che l’aspetto sanitario ed economico, al centro delle preoccupazioni del regime di Pechino ci sia il controllo rigidissimo della narrazione della pandemia, sia al proprio interno che all’estero. E uno dei temi più delicati della narrazione è proprio l’origine del virus, dove e come il paziente zero si è infettato.
Dopo aver accusato i militari Usa di aver portato il virus a Wuhan, e persino alluso ad un’origine italiana del nuovo coronavirus, il Ministero degli esteri cinese si limita a dire che quella sulla sua origine è una domanda alla quale spetta agli scienziati dare una risposta.
Di giorno in giorno però i sospetti sui laboratori cinesi sembrano sempre più fondati, a partire dall’incredibile coincidenza che due dei laboratori più specializzati nello studio dei coronavirus si trovino proprio a Wuhan e dai quattro precedenti incidenti nel Paese, a causa di errori umani, già accertati negli scorsi anni.
Ieri, sul Washington Post, Josh Rogin ha riportato che nel 2018, funzionari dell’ambasciata Usa hanno visitato diverse volte il Wuhan Institute of Virology – il primo laboratorio in Cina di massima sicurezza biologica, livello 4, autorizzato quindi a lavorare con gli agenti patogeni più pericolosi al mondo – e hanno inviato a Washington due “warnings” ufficiali sulle inadeguate misure di sicurezza di questo laboratorio, che stava conducendo pericolosi studi sui coronavirus dei pipistrelli.
“I dispacci – scrive il WaPo – hanno alimentato discussioni all’interno del governo degli Stati Uniti sul fatto che questo o un altro laboratorio di Wuhan fosse la fonte del virus, anche se non sono ancora emerse prove conclusive”.
I funzionari Usa che visitarono il laboratorio furono a tal punto preoccupati per quello che avevano visto e sentito, da voler lanciare un doppio allarme, “con particolare riguardo alle ricerche condotte nel laboratorio sui coronavirus dei pipistrelli”.
Il primo dispaccio, ottenuto da Rogin, avverte che “il lavoro del laboratorio sui coronavirus dei pipistrelli e la loro potenziale trasmissione umana rappresentava un rischio di una nuova pandemia come la SARS”.
Nel dispaccio del 19 gennaio 2018, si afferma che “durante le interazioni con gli scienziati al laboratorio, essi hanno rilevato che il nuovo laboratorio ha una grave carenza di tecnici addestrati in modo appropriato e che i ricercatori dovevano gestire con cautela questo laboratorio ad alto contenimento”.
La delegazione Usa, guidata dal console generale a Wuhan, Jamison Fouss, e dal consigliere dell’ambasciata per ambiente, scienza, tecnologia e salute, Rick Switzer, incontrò anche Shi Zhengli, a capo del progetto di ricerca, che ha pubblicato per molti anni studi sui coronavirus dei pipistrelli. Nel novembre 2017, poco prima della visita dei funzionari Usa, il team di Shi aveva pubblicato una ricerca che mostrava come i pipistrelli “a ferro di cavallo” raccolti in una grotta dello Yunnan erano molto probabilmente dalla stessa popolazione di pipistrelli da cui era originato il coronavirus della SARS nel 2003.
Come riportato da Enzo Reale su Atlantico, tra novembre e dicembre 2019, proprio in corrispondenza con i primi casi accertati di infezione nella zona di Wuhan, l’istituto pubblicava due bandi di concorso per un progetto riguardante “coronavirus della famiglia della SARS in pipistrelli”, aggiungendo che era stato identificato “un gran numero di nuovi virus” con caratteristiche simili. Nello stesso periodo il WIV era costretto a smentire ufficialmente la notizia secondo cui il paziente zero dell’epidemia sarebbe stata una sua ricercatrice, Huang Yanling, prima negandone l’esistenza e poi ammettendo che questa persona aveva lavorato nel centro ma attualmente non ne faceva più parte. La sua foto, in ogni caso, è stata rimossa dall’archivio dell’istituto. Di lei non si hanno notizie certe.
“Soprattutto – avvertiva il dispaccio del 2018 dell’ambasciata Usa riportato dal Washington Post – i ricercatori hanno anche dimostrato che svariati coronavirus simili alla SARS possono interagire con ACE2, il recettore umano identificato per il coronavirus SARS. Questa scoperta suggerisce fortemente che i coronavirus simili alla SARS nei pipistrelli possono essere trasmessi agli esseri umani e causare malattie simili alla SARS. Da un punto di vista di salute pubblica, ciò rende la sorveglianza continua dei coronavirus simili alla SARS nei pipistrelli, e lo studio della connessione animale-uomo, fondamentali per la futura previsione e prevenzione di epidemie di coronavirus emergenti”.
Come ricorda il Washington Post, “anche nel 2015 altri scienziati si chiesero se il team di Shi non si stesse assumendo rischi non necessari“.
Fatto sta che nell’ottobre 2014 il governo degli Stati Uniti ha imposto una moratoria sul finanziamento di qualsiasi ricerca che renda i virus più mortali o contagiosi, esperimenti di “gain-of-function” (acquisizione di funzione).
Rogin è attento nel ricordare che l’opinione prevalente al momento tra gli scienziati è che il Covid-19 non sia un prodotto di laboratorio, il che però “non vuol dire che non sia uscito da un laboratorio che ha passato anni a studiare i coronavirus dei pipistrelli negli animali”, osserva Xiao Qiang, ricercatore dell’Università di Berkeley. “Il dispaccio – aggiunge – ci dice che ci sono state a lungo preoccupazioni sulla possibilità della minaccia per la salute pubblica derivante dalla ricerca di questo laboratorio, se non fosse stata condotta e protetta adeguatamente”.
“Nell’amministrazione Trump, molti funzionari della sicurezza nazionale sospettavano da tempo che il WIV o il CDC di Wuhan fossero l’origine dell’epidemia del nuovo coronavirus. Secondo il New York Times, la comunità d’intelligence non ha fornito prove per confermarlo. Ma un alto funzionario dell’amministrazione – scrive Rogin – mi ha detto che i dispacci forniscono un’ulteriore prova a supporto della possibilità che la pandemia sia il risultato di un incidente di laboratorio a Wuhan”.
“L’idea che sia stato un evento del tutto naturale è circostanziale. Le prove che sia uscito dal laboratorio sono anch’esse circostanziali”, ma in questo momento, conclude il funzionario sentito da Rogin, sul lato di quest’ultima ipotesi c’è un elenco di punti, sull’altro lato quasi nulla.
Dunque, ricapitolando, non sappiamo come e dove il Covid-19 sia passato agli esseri umani, ma sappiamo che nei laboratori di Wuhan vengono studiati coronavirus presenti nei pipistrelli di tipo “RaTG13”, raccolti nello Yunnan, e geneticamente molto simili al Covid-19, per il 96 per cento, e che i funzionari Usa dopo aver visitato il WIV erano rimasti allarmati dalle inadeguate misure di sicurezza e dal rischio di una nuova pandemia da coronavirus. E sappiamo anche che il regime di Pechino ha insabbiato le prove e messo a tacere i testimoni dell’inizio dell’epidemia e sta ancora oggi sottoponendo a censura ogni studio sull’origine del virus.