Nel breve volgere di alcuni mesi, la Tunisia sembra essersi trasformata da unico sistema politico-istituzionale nato dall’esperienza delle ”Primavere arabe” e ancora in vita, a potenziale nuovo fronte di instabilità del Nord Africa. La recentissima missione NATO, che vede coinvolta anche l’Italia, prevede un’azione di sostegno al governo tunisino, finalizzata al contrasto del terrorismo jihadista e al controllo dei confini. Se il rientro in patria di diverse migliaia di foreign fighters tunisini dal teatro siriano rappresenta senza dubbio un importante elemento di preoccupazione per la stabilità del paese, esso costituisce tuttavia soltanto un ulteriore fattore destabilizzante in un quadro che annovera numerose incognite.
La Tunisia, paese da cui ebbe origine il moto dirompente delle ”Primavere arabe”, rappresenta infatti il sistema in cui l’avanzata del cosiddetto Islam “popolare” ha raggiunto i traguardi più solidi, legittimandosi di fronte all’Occidente in virtù della sua netta contrapposizione all’Islam radicale, nonché della contemporanea adesione ad un modello di governo democratico.
Oggi, tuttavia, in concomitanza con il settimo anniversario della “Primavera Tunisina”, il paese sembra trovarsi di nuovo di fronte alle difficoltà dalle quali scaturì il processo di trasformazione politico-istituzionale più rilevante e duraturo dell’intera area, ossia a rivolte di piazza contro il carovita, a scontri e ad arresti di massa. Analogamente infatti, seppure in un quadro politico-istituzionale profondamente diverso, una serie di dilaganti manifestazioni di protesta contro il rincaro dei beni di prima necessità e la disoccupazione elevata aveva costretto il presidente Ben Alì ad abbandonare il paese all’inizio del 2011.
La crisi e il successivo crollo del cosiddetto modello di “contrattazione-autoritaria” tunisino, caratterizzato da un utilizzo spregiudicato di politiche di welfare volte ad ottenere una stabile legittimazione del regime di fronte alla popolazione, avevano aumentato l’incidenza sul piano sociale dell’efficiente sistema di welfare “orizzontale” messo in piedi dal partito islamico-popolare Ennahda. Tale sistema, che riusciva a garantire supporto economico per le famiglie, assistenza sanitaria e mutuo sostegno tra studenti, consentì a Ennahda, formazione legata fin dalle sue origini alla Fratellanza Musulmana, di esercitare un ruolo politico di primo piano nella fase che determinò la fuga del presidente Ben Alì, nonché negli sviluppi successivi. Sin dalle prime fasi della rivoluzione, il movimento islamico-popolare si è caratterizzato per una decisa azione di contrasto all’Islam radicale, ostile ad ogni forma di partecipazione alla vita pubblica organizzata secondo schemi occidentali, e dunque individuato quale principale rivale strategico.
Tuttavia, la scelta che ha maggiormente connotato sul piano politico il partito islamico-popolare tunisino è stata la rinuncia all’inserimento della shari’a nel sistema delle fonti costituzionali, questione interpretata come centrale dagli osservatori occidentali al fine di stabilire il livello di apertura, democraticità e laicità del nuovo sistema costituzionale. In realtà, la presenza della shari’a quale fonte preminente del sistema costituzionale rappresenta l’elemento centrale di una concezione “statale” dell’Islam, strutturata secondo il modello egiziano e dunque antitetica rispetto ad un orientamento volto viceversa ad “islamizzare” la società, qual è quello sostenuto dalla Fratellanza Musulmana.
In un tale sistema, infatti, il controllo della conformità delle leggi alla shari’a spetta alla Corte Costituzionale, nominata dal potere politico e in misura minore dalla magistratura stessa, e dunque assolutamente indipendente dalle autorità religiose islamiche, di cui, al contrario, riduce enormemente peso e rilevanza. Di conseguenza, in una tale prospettiva, anche lo stesso Ennahda avrebbe subito un ridimensionamento di fronte a quell’elettorato che identifica in esso il vero “custode” dell’identità religiosa islamica del popolo tunisino. Benché il partito islamico-popolare abbia ottenuto circa il 27 per cento dei voti alle elezioni del 2014, attestandosi quale seconda forza del paese dopo il partito laico Nidaa Tounes (37,5 per cento), e si prepari a vincere le prime elezioni municipali del paese, tanto da indurre l’insieme delle altre forze politiche a chiederne il rinvio dal 17 dicembre 2017 al 25 marzo 2018, il mutato quadro internazionale pone Ennahda di fronte ad una serie di incertezze circa il proprio futuro politico.
La messa al bando in numerosi paesi islamici della Fratellanza Musulmana, considerata alla stregua di una formazione terrorista, il rovesciamento della linea Obama relativa al mondo islamico operato dall’amministrazione Trump, il “nuovo corso” saudita sia in tema di Islam radicale che di Islam politico, nonché l’indebolimento dei due principali sostenitori della Fratellanza, ossia Qatar e Turchia, pone il movimento islamico-popolare tunisino in un quadro di oggettiva debolezza. Sebbene già nel 2016 il leader di Ennahda Rashid Gannouchi, in occasione del decimo congresso del suo movimento, abbia sottolineato la totale adesione alla prassi democratica e l’abbandono dell’Islam politico, ottenuto imponendo agli Imam eletti in Parlamento di scegliere tra l’attività politica e quella religiosa, sono in molti a ritenere tale linea essenzialmente strumentale, volta a rassicurare l’Occidente e a celare il progetto a lungo termine del movimento, ossia la costituzione dello Stato Islamico.
Il quadro tunisino, caratterizzato da una forte instabilità sociale e da una crisi economica perdurante, appare dunque estrememente composito, segnato da un lato dal ritorno di fiamma dell’Islam radicale, e dall’altro dalle incognite legate all’autentico protagonista dei mutamenti politici degli ultimi anni, qual è l’Islam popolare. Sarà interessante vedere come l’Occidente, dopo un iniziale deciso sostegno alle “Primavere arabe”, intenderà interpretare l’attuale scenario. Non è infatti sufficiente definire l’obiettivo della stabilizzazione della Tunisia, ma è necessario assumere delle scelte chiare e definite su “quale”processo di stabilizzazione sostenere.