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Nel dramma in Siria una notizia positiva: Putin non vuole morire cinese

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Nel dramma del conflitto turco-curdo nel nord della Siria, c’è forse una notizia positiva: Vladimir Putin non vuole morire cinese. Anzi due: perché non solo il presidente russo non vuole morire cinese, ma ha dimostrato di avere ancora un’importante leverage in Siria, soprattutto nei confronti del regime di Bashar al Assad.

È questa infatti la conclusione che possiamo tratte dall’accordo stipulato tra le forze curde siriane e l’esercito di Damasco. Un accordo che prevede l’ingresso nelle zone curde dei soldati delle SAA, allo scopo di contrastare l’azione militare turca nella zona. Non basta: Putin non ha solo mediato l’accordo tra i curdi e le SAA, ma si è anche recato in Arabia Saudita, ormai arcinemico di Ankara, dove ha elogiato sia le relazioni con Riyadh che quelle con gli Emirati Arabi Uniti, definiti un “very close partner“. Una visita, quella del presidente russo, che ha coinciso con la netta condanna da parte della Lega Araba dell’intervento turco nel nord della Siria.

A questo punto, si apre una grande opportunità diplomatica che, se davvero l’Occidente non vuole regalare l’intera area all’imperialismo turco-iraniano-cinese, deve essere immediatamente sfruttata. Già, perché l’offensiva diplomatica di Putin nella zona non potrà resistere a lungo, se non troverà alleati forti a sostenerla. Teoricamente, questi alleati dovrebbero essere proprio i turchi, gli iraniani e i cinesi, ma dietro i grandi sorrisi che si vedono nelle photo opportunity, ad Ankara e a Teheran sognano già una Siria pacificata dalle milizie islamiste sunnite e sciite, economicamente alla mercé di Pechino. Con buona pace di Mosca, economicamente e demograficamente non in grado da sola di reggere la pressione del Dragone.

Ed è qui che dovrebbe intervenire l’Occidente. L’offensiva diplomatica di Putin sia in Siria che nel Golfo, più che una dimostrazione di forza – lo è solo in maniera apparente – è un disperato grido di aiuto. Il senso del messaggio è questo: “Caro Occidente, non voglio veder finire la mia Russia nelle mani dei cinesi. Sono disposto a prendere su di me il tentativo di far fallire i piani di Erdogan, ma voi sostenetemi”. Insomma, l’Occidente si trova davanti ad un bivio drammatico, in cui purtroppo si è ficcato praticamente da solo, auto-portandosi a dover scegliere tra il peggio e quello peggio ancora. Se nessuno da Ovest tenderà una mano a Putin, Mosca non riuscirà a reggere la pressione trilaterale (Turchia, Iran, Cina) per troppo tempo. Ankara, Teheran e Pechino lasceranno fare a Putin la parte del paciere, ma con il prezzo di renderlo praticamente inconsistente e di costringerlo a legarsi mani e piedi ai piani di Xi Jinping.

Nel frattempo, il Sultano Erdogan prosegue la sua campagna militare nel nord della Siria, ordinando all’aviazione turca di bombardare tutto quello che trova sotto le ali dei suoi jet. Perché, come riporta Arab News, oltre a voler avviare una campagna di vera e propria sostituzione etnica nel nord della Siria – cacciando i curdi siriani e le altre minoranze, per sostituirle con i profughi siriani sunniti, considerati la sua quinta colonna – Erdogan ha già anche in mente un piano di ricostruzione dell’area di 27 miliardi di dollari, che prevede addirittura la costruzione di nuove città. Un vero e proprio sfogo potenziale, per l’economia turca, ormai in crisi da mesi. Un imperialismo economico a cui l’Occidente deve reagire, puntando a portare l’asse sunnita moderato – ovvero quello saudita-emiratino – all’interno del processo di ricostruzione dell’intera Siria. Un ingresso che, se ben coperto militarmente e diplomaticamente, potrebbe avere un effetto devastante sui piani islamisti di Ankara e Teheran nell’intera regione.

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