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Tutti i limiti e le fragilità politiche del Movimento di Greta

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Ogni volta che sento parlare di un movimento d’opinione, in genere, mi vengono i brividi. Sappiamo che l’uomo è condannato, per sua natura, a vivere in branco e a socializzare, ma ogni volta che qualche buona idea del singolo viene propagata e condivisa da troppi cominciano i guai. Parliamo oggi del fenomeno collettivo che riempie le piazze in questi giorni per “Salvare la Terra”, perché quello è il tema che apoditticamente si ritiene appropriato. Non è cosa da poco considerare quanta parte delle buone iniziative, al netto degli inevitabili sviamenti ed aggiustamenti in corso d’opera, finiscano per ottenere risultati assai diversi da quelli che si proponevano i primi aggregatori d’idee.

Mai come in questi giorni, in cui l’ubriacatura collettiva per la difesa dell’ambiente sta dimostrandosi un vero e proprio esercito, sorge spontanea la domanda: ma chi comanderà questo esercito? E qui casca l’asino. Non si riterrà, spero, che mettere in piazza milioni di persone (soprattutto giovani) in tutto il mondo possa sortire qualche effetto pratico senza un adeguato coordinamento! D’altra parte, sarebbe davvero tempo perso se da tanta mobilitazione non derivassero decisioni politiche e soluzioni tecniche concrete e praticabili…

In realtà, l’esperienza, parte minima della Storia, c’insegna che i grandi movimenti popolari hanno avuto futuro e naturale evoluzione in partiti, organizzazioni, istituzioni soltanto quando l’elemento aggregante era tangibile e di periodo ragionevolmente breve quanto a fattibilità. Altrimenti, si parla di religioni. Ove il risultato che s’intende ottenere attraverso la mobilitazione collettiva sia, per forza di cose, generico, come lo è, in sostanza, la protezione dell’ambiente, le cose si complicano. Non potendo o non volendo farne una religione (che sappiamo, quale essa sia, non si cura più di tanto delle cose di questo mondo, in attesa di uno migliore) anche il c.d. ambientalismo dei nostri ultimissimi giorni, rischia di fare una brutta fine e ciò, a mio avviso, per diversi motivi, vediamone soltanto quattro:

1) Manca un obiettivo specifico, ben determinato e tangibile, che possa fare da vero collante, al di là di concetti quali “meno CO2” oppure “fermare il riscaldamento globale” sui quali il dibattito scientifico ufficiale è assolutamente aperto e discordante in termini deterministici. Prevedibilmente, una volta superata la prima fase d’entusiasmo collettivo, inizieranno le discordanze interne, i distinguo e le correnti e vi sarà certamente l’intrusione degli immancabili surfisti dell’onda del momento.

2) Molto inciderà la scarsa inclinazione dei nuovi ambientalisti allo studio approfondito della Fisica dell’Atmosfera, della Geofisica, della Meteorologia, della Climatologia e, in generale, di tutte le discipline accademiche troppo ostiche ed impegnative per la maggioranza di quelli che preferiscono manifestare in piazza, piuttosto che approfondire sui libri la materia. Conseguenza prevedibile? Che si ostenteranno acriticamente terminologie imparate sul web o sentite in tv, con ragionamenti che di scientifico avranno davvero poco, quando non vere e proprie stupidaggini propalate da sedicenti “competenti” alla velocità straordinaria del web. In un periodo storico come quello presente, in cui il vero studio delle vere materie scientifiche sta perdendo fascino, a favore del desiderio di comunicare (anche oltre ragione) la vedo dura. Conosco pochissimi giovani desiderosi di calarsi nella veste del paziente discepolo, disposto ad apprendere ed umilmente attendere di essere veramente esperto in materia prima di fare accoliti a sua volta, mentre molti sono gli aspiranti “influencer”. Nella Scienza, i “like” contano zero. Adesso si vuole tutto e subito, magari con poche lezioni online, anche raffazzonando nozioni dove capita. Non funziona così. Per certe tematiche ci vuole studio, sui libri.

3) Non trattandosi, perlomeno per adesso, di una nuova religione, con tanto di dogmi inesplicabili, qualcuno dovrà pur cercare di essere il teorico di punta, l’ispiratore scientifico, di questo movimento “scientifico” come, per fare un esempio, fu James Lovelock ispiratore della “Teoria di Gaia” (che comunque non aveva ricadute politiche). Qualcuno, nell’immenso mondo della scienza applicata, ambirà pure a farsi promotore di tanta teoria globale, magari con l’aspettativa di candidarsi al Nobel! A tal punto, qualcosa cambierà. Se, ad oggi, non possiamo identificare uno studioso che ben definitamente possa essere indicato come il padre delle teorie ambientaliste in stile Greta Thunberg, il giorno in cui uno scienziato di fama mondiale (e speriamo abbia almeno quella) avallerà tanto catastrofismo con argomentazioni inoppugnabili, certamente, in quel preciso istante, si sveglierà lo sfaccettato consesso accademico internazionale e nasceranno gli oppositori, per quanto spesso accada che siano mossi da rivalità personali o prettamente accademiche. Altro motivo di prevedibile criticità nel movimento globale delle piazze inneggianti a Greta.

4) Surfisti a parte, ossia quelli che cavalcano l’onda per scopi personali, dove la mettiamo la grande industria mondiale? Dimentichiamo forse l’industria farmaceutica dopo la scoperta dei vaccini, o quella delle energie alternative, dopo la “scoperta” che il petrolio sta (forse) terminando? Come non considerare che in questo momento di grande fermento per la tematica del “salvataggio del Pianeta” vi sia altrettanto fermento nei centri studi e ricerche delle grandi industrie internazionali? È del tutto evidente che da tutto ciò vorranno trarne un imponente beneficio economico. Qui, gli scenari possibili sono infiniti, ma tutti possibili, almeno in astratto e non tutti rassicuranti. Utili idioti i manifestanti di oggi? Non lo penso di certo io, ma non vorrei che lo pensasse lo spregiudicato CEO di qualche multinazionale, perché, diciamolo, un po’ di odore di soldi si avverte, dietro a tutto ciò. E pure i ragazzi che saltano la lezione (con tanto di irrituale placet ministeriale) per andare in piazza con striscioni e fischietti fanno bene o fanno male? Dipende dalle lezioni che hanno saltato, perché da quelle piazze, probabilmente, impareranno pochino di realmente utile alla salvaguardia del Pianeta. Comunque vada, qualcuno ringrazierà.

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