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Tutto quello che Alberto Negri non vi dice su Hezbollah e il Libano

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Che idea può farsi un lettore che non conosce la storia e i nodi irrisolti del Medio Oriente che si trova di fronte un articolo di Alberto Negri? Quel lettore, non v’è dubbio, si farà un’idea univoca e molto netta: in Medio Oriente esiste un “cattivone”, chiamato Stati Uniti, che vuole il male di tutti e tutto e che realizza questi suoi piani malefici con la complicità di due altri “cattivoni”, chiamati Israele e Arabia Saudita. Di contro, sempre in quella regione, esistono una serie di vittime che, guarda caso, corrispondono sempre alla Repubblica Islamica dell’Iran e ai suoi alleati, Assad in testa.

Si tratta di un approccio estremamente semplicistico e fortemente ideologizzato che, un po’ come avviene per Sergio Romano, resiste solamente grazie a coloro che presentano l’autore come un “esperto”, permettendogli dietro la falsa immagine dell’osservatore distaccato di promuovere in realtà una lettura della storia e del presente unilaterale e parziale.

Ne è ultimo esempio l’articolo scritto da Negri sulla situazione in Libano, pubblicato da il Quotidiano del Sud. La tesi è semplicissima: esiste un piano americano per far fallire l’economia libanese, all’unico scopo di cancellare Hezbollah. Tesi chiara, semplice, univoca.

Peccato che questa tesi si basa sull’omissione di una inconfutabile verità di fondo sul Libano: il Paese dei Cedri non è sulla via del fallimento, ma è già fallito da almeno trent’anni. A farlo fallire non sono stati i “cattivoni” americani, ma la Repubblica Islamica dell’Iran. È questo Paese infatti che, ad inizio degli anni ’80, ha creato un gruppo terroristico chiamato Hezbollah – Partito di Dio – che è diventato non solo un movimento politico, ma soprattutto un vero e proprio esercito parallelo a quello nazionale.

Da decenni, quindi, Hezbollah rifiuta di rispettare quelle che a Negri piacciono tanto quando si parla di Israele, ovvero le risoluzioni delle Nazioni Unite. Ne esistono ben due – la 1559 e la 1701 – che chiedono esplicitamente che tutti i gruppi armati presenti in Libano, escluso ovviamente l’esercito nazionale, rimettano le armi e diventino gruppi politici normali, integrati nel sistema nazionale. Per Hezbollah però, come Negri sa benissimo, ciò non è possibile.

E non è possibile, non perché gli occorrono per fare la “resistenza” a Israele o combattere gli Yankees – questi sono alibi – ma perché Hezbollah non ha alcuna indipendenza politica, essendo una mera derivazione dei Pasdaran iraniani. Hezbollah è nato per esportare la rivoluzione khomeinista fuori dai confini dell’Iran e la sua funzione geopolitica è quella di servire gli interessi di Teheran. In che modo? Dando all’Iran una proiezione verso il Mediterraneo, garantendo che il Libano non sia mai uno stato unitario e attaccando – alla bisogna – Israele quando è necessario per gli interessi del regime iraniano. È solo per questo motivo, tra l’altro, che i jihadisti di Hezbollah sono stati trasferiti in massa in Siria per combattere la fianco di Bashar al Assad, pur rappresentando questa scelta un rischio drammatico per il Libano, non solo per il suo possibile diretto coinvolgimento nel conflitto, ma anche per i fragilissimi equilibri interni libanesi.

All’Iran, però, degli equilibri interni libanesi per anni non è interessato nulla. Quando qualcuno diventava troppo scomodo per Teheran, si arrivava semplicemente alla sua eliminazione in pieno stile mafioso, come successo a Rafiq Hariri. Quando il governo libanese provava a far valere la sua autorità sulle milizie armate, l’Iran ordinava a Hezbollah di agire per impedire che ciò accedesse, come nel 2008, quando Nasrallah ordinò ai suoi di occupare l’aeroporto internazionale di Beirut, davanti alla prospettiva che venisse disinstallato il sistema di telecomunicazioni controllato da Hezbollah e il capo di sicurezza dell’aeroporto Eafiq Shugeyr.

Tutto questo Alberto Negri, guarda caso, omette di raccontarlo al lettore. Non perché sarebbe troppo lungo farlo – abbiamo appena dimostrato che non è così – ma solo perché distruggerebbe il suo elementare schemino di “buoni e cattivi”. Però lo chiamano “esperto”…