La correttezza politica imporrebbe al sottoscritto di accodarsi, sul caso ucraino, alle innumerevoli voci che tacciano Vladimir Putin di malvagità assoluta, di imperialismo retrogrado, di ansia di dominio sull’Europa dell’Est e – perché no? – sul mondo intero. Invece preferisco uscire da tale coro superaffollato e ritrovarmi con i pochi (anzi pochissimi) che nutrono dubbi e preferiscono esprimere opinioni più o meno discordanti. E pazienza se verrò accusato di russofilia insensata.
Tra i pochi che si staccano dal coro mi limito a citare Pietro Senaldi. Il 22 febbraio il condirettore di Libero ha espresso sul suo giornale tesi che trovo in gran parte condivisibili. Non credo sia un simpatizzante di Putin e della Grande Madre Russia. Avendo sempre in mente il nostro interesse nazionale, si limita a ragionare in modo freddo e preciso su quanto sta avvenendo, dopo che il capo del Cremlino ha riconosciuto ufficialmente l’indipendenza delle due repubbliche separatiste che costituiscono il maggiore casus belli – ma non certo l’unico – tra Ucraina e Federazione Russa.
Pur avendo ben chiaro che Putin è un autocrate e non certo un campione della liberal-democrazia, Senaldi si chiede a chi giova questa crisi tanto pericolosa e a ridosso dei confini europei. E avanza l’ipotesi, peraltro già adombrata da altri, che a trarne giovamento, in questo particolare periodo storico, siano soprattutto gli Stati Uniti. Un presidente in grave difficoltà come Joe Biden, a capo di un Paese tremendamente diviso, si vede offrire su un piatto d’argento l’occasione giusta per uscire dall’angolo e riposizionarsi al centro del ring.
Senaldi si chiede anche, come tanti altri, quale senso abbia avuto la continua espansione della Nato a oriente (visto che l’Unione Sovietica non c’è più) e perché i molti segnali d’allarme lanciati dai russi in questi anni siano stati puntualmente ignorati, se non derisi. La spiegazione non è affatto semplice, pur se è possibile azzardarne una che a me non sembra campata per aria.
Anche dopo la fine della Guerra Fredda e il crollo dell’Urss, nei circoli politici (e soprattutto militari) di Washington Mosca continua ad essere percepita come l’avversario principale. Difficile cambiare abitudini. Anche se tanti analisti ci hanno detto che Biden ha realizzato la disastrosa ritirata dall’Afghanistan perché, seguendo in questo caso Donald Trump, si è finalmente accorto, a differenza del premio Nobel per la pace Barack Obama, che il vero nemico mortale dell’America, e dell’intero Occidente, è la Cina comunista, e non la Russia.
Usa e Nato hanno illuso il governo ucraino con dichiarazioni di solidarietà. Tuttavia Biden ha subito chiarito di non essere disposto a scontrarsi militarmente con i russi né ha promesso di inviare truppe sul terreno. Del resto non può permetterselo, considerato che buona parte dell’opinione pubblica Usa (che non lo ama) è schierata su posizioni isolazioniste. Mano libera, quindi, agli europei, abituati da tempo immemorabile a stare sotto le coperte lasciando agli americani le incombenze belliche. E criticandoli pure senza remore quando bombardano.
Ora stanno montando le solite sanzioni, ma un fatto dev’essere chiaro. A soffrirne sarà in modo pressoché esclusivo la Ue, e non gli Usa che, al contrario, proprio dalle sanzioni potrebbero guadagnare tanto in termini economici quanto politici. Mi chiedo, per esempio, come si possa criticare la Germania per la sua presunta “timidezza”, quando si sa benissimo che i tedeschi dipendono in maniera essenziale dalla Russia per i loro approvvigionamenti energetici. Lo stesso discorso vale per l’Italia, forse in misura ancora maggiore, anche se non pare che i nostri politici ne abbiano piena contezza.
Dulcis in fundo, si noti che finora la Cina di Xi Jinping ha adottato sulla questione ucraina un atteggiamento di grande prudenza. Nessun segno, finora, di voler seguire Putin nel riconoscimento delle repubbliche separatiste. Al contrario, l’atteggiamento di Pechino è stato piuttosto ambiguo. Non si può escludere che stia giusto ad osservare per giocare un ruolo di mediazione. Scontentando Putin, ma riguadagnando punti presso un Occidente che la considerava addirittura un pericolo mortale.
Si scopre l’acqua calda notando, una volta di più, che l’Unione europea non ha una strategia e si limita a vivacchiare sul piano diplomatico e militare. Solo che, in certe situazioni, vivacchiare non basta, né è sufficiente che la Nato schieri navi e aerei rischiando uno scontro diretto sul quale gli stessi vertici dell’Alleanza nutrono dubbi. Come dar torto a Senaldi, quindi, quando scrive che “l’Europa può giusto combattere la guerra sei bottoni”, giacché ciò che più le fa difetto non sono i denari e le armate, bensì la visione?