1. Le cause strutturali della crisi ucraina
Il conflitto in Ucraina rappresenta attualmente il più grande sconvolgimento politico a partire dalla fine della Guerra Fredda nel 1991, che vide lo sfaldamento dell’Unione Sovietica e il dissolvimento del Patto di Varsavia. Ciò ha permesso alla NATO e all’Unione Europea di espandersi e di avvicinarsi sempre di più ai confini della Russia, creando, dal punto di vista russo, un problema di asimmetria, o non inclusività dal punto di vista degli interessi economici e di sicurezza della Federazione Russa. Ovviamente gli Stati sono perfettamente liberi, dal punto di vista strettamente giuridico, ma non da quello geopolitico, di aderire a qualsiasi organizzazione economica e di sicurezza che ritengano per loro utile e necessaria. Ciò, in punta di diritto è assolutamente vero e legittimo, anche se ciò di fatto crea un disequilibrio nelle relazioni di sicurezza e di potenza tra gli Stati che non appartengano alle stesse organizzazioni economico-politiche e di sicurezza. A
ciò hanno contribuito le percezioni di insicurezza di alcuni Stati ex sovietici come gli Stati baltici nei confronti della Federazione Russa e allo stesso tempo le pulsioni sostanzialmente anti-russe di una buona parte dell’establishment statunitense. In seguito alla crisi ucraina, l’ordine mondiale non sarà più lo stesso di prima.
In termini geopolitici, l’Ucraina si trova esattamente sulla faglia tettonica che divide l’Europa dalla Russia e proprio per questo la soluzione della questione ucraina appare molto difficile. Anche in passato l’Ucraina si è trovata sulla faglia tettonica tra Impero russo, Polonia, Impero asburgico e Reich tedesco, con relativi cambiamenti di confini che hanno caratterizzato la storia dell’Europa orientale nel corso degli ultimi cinque secoli. Ciò contribuisce a spiegare la forte differenza esistente tra le regioni occidentali dell’Ucraina, come la Galizia, che per secoli hanno fatto parte della Polonia e poi dell’Impero asburgico (in seguito alla spartizione della Polonia tra Austria, Prussia e Russia alla fine del XVIII secolo) e ne hanno quindi assorbito l’humus culturale, compreso il cattolicesimo che in Ucraina occidentale assume la forma dell’uniatismo (che adotta i canoni esteriori dell’ortodossia ma è di osservanza romana), e le regioni a netta maggioranza russa come la Crimea, conquistata da Caterina la Grande di Russia ai turchi dell’Impero ottomano alla fine del Settecento e donata da Kruscev all’Ucraina nel 1954 per motivi politici ed amministrativi. Essa è ritornata recentemente alla Russia con un colpo di mano che ha suscitato l’indignazione della comunità internazionale, o almeno di quella occidentale. E inoltre regioni, come il Donbas, epicentro dell’attuale crisi internazionale, dove l’impronta culturale russa e poi sovietica è ancora oggi nettamente percepibile.
La crisi vera e propria è quindi iniziata a novembre 2013 con il rifiuto dell’allora presidente Viktor Yanukovich di ratificare l’accordo con l’Europa, sia perché, come detto, conteneva clausole troppo gravose per l’Ucraina, che per propri calcoli personali e per una maggiore concretezza delle offerte russe. Contro la decisione di non firmare l’accordo con l’Ue si è scatenata, nel febbraio 2014, una ribellione spontanea, dovuta anche all’estrema corruzione del governo, cui si sono aggiunti anche elementi esterni dei maggiori Paesi dell’area e non, come la Polonia e la Germania. Fondamentale partner economico per la Russia, Berlino ha assunto durante la crisi ucraina un importante ruolo di mediazione, anche scontrandosi tuttavia con la dirigenza del Cremlino, nonostante il tradizionale atteggiamento volto al compromesso da parte della SPD e l’importante legame economico tra i due Paesi, rapresentato tradizionalmente dall’industria manifatturiera tedesca (Ostausschuss der Deutschen Wirtschaft). Quali i motivi alla base di tale decisione? Probabilmente la percezione da parte di Angela Merkel di una potenziale minaccia proveniente dal regime politico russo, ma anche la possibile chiusura dei mercati eurasiatici all’afflusso di merci tedesche in seguito alla creazione dell’Unione Eurasiatica. Ipotesi, quest’ultima, però, tutta da verificare.
Fondamentale anche l’intervento degli Stati Uniti, il cui principale obiettivo di tipo geopolitico è sempre stato quello di impedire un’egemonia della Russia a livello continentale, soprattutto se unita alla tecnologia tedesca, ed una possibile creazione di uno spazio economico continentale in sinergia con la Cina. Il conflitto armato inizia a febbraio 2014, quando sia forze interne ucraine che quelle esterne rovesciano il governo Yanukovich, estremamente corrotto ma, dal punto di vista strettamente giuridico, comunque legittimato dal voto popolare. Ciò è dovuto essenzialmente al tentativo da parte degli esponenti politici provenienti dall’ovest dell’Ucraina, ma non soltanto, e, come detto precedentemente, di forze esterne, di installare un governo pseudo-democratico (con forti infiltrazioni nazionaliste, se non addirittura virulentemente nazionaliste o parafasciste, o almeno una concezione monista della statualità ucraina, cioè legata ad una concezione univoca, e non pluralista del Paese, senza tener conto della diversità linguistica e culturale esistente – Malorossia è la concezione invece secondo la quale in Ucraina esiste anche una tradizione culturale legata alla Russia e alla cultura di lingua russa) e filo-occidentale, di fatto spostando la collocazione geopolitica dell’Ucraina contro gli interessi e il volere di Mosca.
2. L’Ucraina nella NATO: vantaggi, prospettive e problemi per l’Occidente
La questione dei reali interessi, specialmente degli Stati Uniti, nella proiezione della NATO in Ucraina costituiranno, specialmente dopo le elezioni che avranno luogo nel 2019, uno degli elementi di accesa e forte discussione tra i membri dell’Alleanza (in particolare tra quelli occidentali e quelli orientali, più interessati alla funzione dell’Ucraina quale Stato stabile e cuscinetto tra Europa orientale e Russia), fino al momento di una reale decisione sull’adesione del Paese alla NATO, poiché in caso di probabili attriti dell’Ucraina con la Russia, la NATO si troverebbe costretta ad intervenire in base all’articolo 5, che prevede la difesa collettiva nel caso in cui uno dei suoi membri subisca un’aggressione militare, o un’aggressione che possa essere assimilata in una qualche misura ad un’esplicita aggressione militare, a seconda della definizione che si dà della stessa. Tema quest’ultimo estremamente importante perché la “Guerra ibrida”, che prevede un uso sinergico e combinato di strumenti militari, info guerra, ricatti energetici etc… attualmente praticata dalla Federazione Russa ha proprio lo scopo di destabilizzare e ottenere importanti risultati politici senza che a ciò corrisponda una formale dichiarazione di guerra o l’uso esplicito e giuridicamente riconoscibile in via esclusiva dello strumento militare, secondo la ormai nota “Dottrina Gerasimov” (dal nome dell’attuale capo delle Forze armate russe, che ne ha coniato il termine).
L’integrazione del Paese nella NATO, oltre ai fondamentali aspetti strategici di proiezione e militari suddetti, ha anche un aspetto di normalizzazione e democratizzazione di un Paese sull’orlo del default finanziario, con tutte le conseguenze del caso e l’obbligo derivante, per i Paesi più vicini, di evitarne il crollo con misure finanziarie ed economiche che possano conservare, almeno parzialmente, il tessuto sociale.
3. Gli interessi russi in Ucraina
Quali sono invece gli interessi di Mosca in gioco? In primis, la Russia è interessata a che l’Ucraina non si avvicini alla NATO, ipotesi che appariva, almeno fino a qualche mese fa, poco probabile perché il Paese (e anche la NATO stessa appariva divisa al suo interno) nella sua maggioranza sembrava contrario a tale ipotesi, seppure remota. Mosca è comunque estremamente contraria anche ad un solo accenno a tale ipotesi perché per definizione considera la NATO un suo irriducibile antagonista. Il secondo punto di frizione è rappresentato dal graduale ingresso dell’Ucraina nella UE, il che significherebbe per Mosca la forte diminuzione del proprio commercio con Kiev, calo già fortemente in atto, in particolare per quanto riguarda alcuni settori strategici come quello militare, quello aeronautico, quello ferroviario e altri dislocati prevalentemente nell’est del Paese e in particolare nella zona del Donbas. Settori evidentemente molto importanti per il funzionamento dell’economia russa nel suo complesso, ma soprattutto per la necessità per Mosca di rinnovamento e rafforzamento delle proprie infrastrutture ferroviarie e del proprio apparato militare. Ultimo aspetto preoccupante, dal punto di vista russo, della presenza politico-economica dell’Unione Europea in Ucraina, è l’effetto osmotico o di trascinamento che la lenta penetrazione delle regole democratiche europee in Ucraina potrebbero avere per il modello politico autoritario russo, il cui carattere autocratico si è ulteriormente rafforzato nel corso degli ultimi due anni in seguito alle manifestazioni di piazza a Mosca nel dicembre 2011, seguite alle elezioni presidenziali e alla crisi ucraina. Oltre a ciò, ovviamente, il principale problema è rappresentato dalla difficile, se non impossibile convivenza di due organizzazioni economico-politiche come l’Unione Europea e l’Unione Eurasiatica all’interno di uno stesso Stato che, per estensione e collocazione geografica, il Cremlino reputa o reputava fondamentale per la riuscita del progetto dell’Unione Eurasiatica.
L’altro progetto importante per Putin, di tipo strategico, ma non necessariamente di facile realizzazione per le ovvie resistenze da parte ucraina e internazionale, è il controllo della costa ucraina che va da Sebastopoli fino alla Transnistria e che consentirebbe alla Russia di controllare le sponde settentrionali del Mar Nero e quindi tutti i traffici energetici e non che vi si svolgono. La recente costruzione del ponte di Kerch consente alla Russia di collegare la Crimea direttamente alla Russia ed allo stesso tempo le consente di danneggiare seriamente l’economia ucraina legata alla pesca, al commercio ed all’estrazione di materiali fossili sulla piattaforma continentale di pertinenza ucraina in base al diritto internazionale. E’ però evidente che il possesso dei porti ucraini, in particolare di quello di Odessa, consente alla NATO di controllare le rotte energetiche che si diramano dal Mar Caspio, dal Caucaso e dal Medio Oriente. Il controllo del porto di Odessa si rivela infatti particolarmente importante per la NATO dal punto di vista del controllo del Mar Nero in opposizione alle importanti forze strategiche russe dislocate in Crimea, pur con la limitazione delle regole di permanenza imposte dal Trattato di Montreux del 1936, ma soprattutto anche in funzione del controllo della Turchia di Erdogan, che negli ultimi anni ha manifestato ostilità e reticenza nei confronti della NATO, e quindi, pur continuando a farne parte integrante, non è più unanimamente considerata dagli occidentali un Paese del tutto affidabile, se non apertamente ostile. Pur tenendo conto che i militari turchi sono sempre stati sostenitori di uno Stato laico, le purghe seguite al tentativo di colpo di stato in Turchia potrebbero averne giocoforza mutato gli orientamenti ideologici nei confronti delle istituzioni occidentali, tra cui ovviamente la NATO. E’ quindi evidente come l’Ucraina giochi un ruolo strategico di primo piano nella proiezione della NATO verso il Mar Caspio e il Medio Oriente, e soprattutto di contenimento della Federazione Russa in un mare assolutamente strategico come il Mar Nero.
Siria e Ucraina sono infatti strettamente connesse dal punto di vista della strategia globale in primis per gli Usa, ma anche per la Russia, che “gioca” su entrambi i tavoli, strettamente connessi sia dal punto di vista energetico che da quello degli equilibri di potenza tra Usa e Russia in senso più generale, soprattutto per quello che riguarda il concetto di parità di diritti (ravnopravie) o di status di grande Potenza (velikoderzhavnost) e di parità strategica che tanto interessa alla leadership russa.
Di qui un’intrinseca rivalità strategica tra Russia e Usa e NATO per il controllo dei flussi energetici che si estende in un continuum fino al Medio Oriente. E’ evidente che chi controllerà i flussi energetici, controllerà anche la crescita industriale e quindi la potenza a livello globale. Gli Stati Uniti sono appunto impegnati a contrastare la crescita di potenze regionali e anche continentali come Iran, Russia e soprattutto Cina, mediante il controllo dei flussi energetici eurasiatici. L’Ucraina rappresenta quindi un tassello in un gioco molto più complesso e articolato, che ha per scopo ultimo la ridefinizione del potere a livelllo globale tra Usa e Unione Europea, almeno in una qualche misura, rispetto alle potenze eurasiatiche fortemente in espansione.
In conclusione, le condizioni per cui la Russia lotta sono essenzialmente le seguenti: 1) la neutralizzazione dell’Ucraina, cioè la sostanziale non appartenenza dell’Ucraina a organizzazioni militari, in primis la NATO, tuttora percepita dalla Russia quale una potenziale minaccia a ridosso dei suoi confini; 2) la costruzione di un modello federalistico per l’Ucraina, cioè il mantenimento delle relazioni economiche e culturali delle regioni sud-orientali dell’Ucraina con la Russia; 3) il russo quale lingua ufficiale per alcune regioni sud-orientali dell’Ucraina; 4) la compresenza di Unione europea e Russia a livello commerciale in Ucraina, cioè delle misure di compromesso per quanto riguarda il commercio ucraino con l’Unione Europea e la Russia, quindi la non esclusività del commercio ucraino con la Ue.
4. Il problema dell’integrazione dell’Ucraina nel blocco euratlantico o eurasiatico
In particolare, uno dei punti nodali della questione ucraina riguarda le modalità integrative dello spazio eurasiatico, cioè se esso debba essere inquadrato secondo modalità euroatlantiche oppure secondo un modello integrativo eurasiatico, esemplificato ad esempio dalla SCO (Shanghai Cooperation Organization), dalla CSTO, (l’Organizzazione del Trattato di Cooperazione e Sicurezza che gestisce gli aspetti della sicurezza tra la Russia e l’Asia Centrale, specialmente in ambito antiterroristico), dall’Unione Eurasiatica etc. La Russia ha deciso di intraprendere la costruzione di uno spazio economico eurasiatico in cui può esercitare la sua leadership anche a causa della maggiore compatibilità e livello tecnologico tra gli Stati ex sovietici. In sostanza, il progetto di integrazione eurasiatico per la Russia assume soprattutto la valenza di salvaguardare le esportazioni russe a basso contenuto tecnologico che altrimenti non troverebbero uno sbocco nei mercati tecnologicamente più avanzati dell’Europa occidentale e degli Stati Uniti. Importante poi notare la sostanziale differenza tra la concezione economica statunitense e quella russa. La prima è basata essenzialmente sulla capacità delle aziende private Usa di conquistare i mercati senza affidarsi troppo alle istituzioni politiche Usa, mentre il capitalismo di Stato russo viene appoggiato sinergicamente dallo Stato russo nella penetrazione dei mercati degli Stati dell’area postsovietica.
La politica e l’economia nella concezione russa proseguono quindi spesso di pari passo nella penetrazione dei mercati, in contrasto con la concezione statunitense che concepisce gli interssi privati delle aziende statunitensi come spesso diversi dal governo statunitense, come si è avuto spesso modo di vedere in occasione della costruzione da parte di queste ultime nell’area postsovietica di gasdotti che non sono stati approvati dal governo Usa. Di qui il tentativo russo di costruire un mercato e istituzioni indipendenti rispetto a quelle occidentali o euroatlantiche. In gioco, in sostanza, c’è la modalità di integrazione dello spazio eurasiatico secondo un modello occidentale, oppure secondo un modello eurasiatico indipendente dalle istituzioni euratlantiche, quindi del peso specifico dell’uno o dell’altro modello integrativo e in definitiva degli equilibri di potere continentali e mondiali. Lo scopo degli Stati Uniti, in una qualche misura condiviso anche dall’Unione Europea, è quindi quello di preservare il proprio modello economico-politico e il proprio potere internazionale rispetto ad altri blocchi economici, modelli politici e modelli integrativi che lo minacciano, in particolare la Cina, che costituisce in prospettiva l’avversario più temibile per la supremazia Usa e in generale per il blocco euratlantico. Si veda ad esempio la questione della “Via della Seta”, che costituisce un progetto di connessione ed integrazione economica del continente eurasiatico e africano secondo l’impronta cinese e non euratlantica. Una sfida diretta al potere prevalentemente talassocratico degli Usa, cioè basato su basi militari presenti in tutto il mondo, su tecnologia avanzata e su istituzioni finanziarie molto forti, in primis la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, che in Ucraina svolgono un ruolo fondamentale nel sostegno al Paese e soprattutto al processo di riforme, che nonostante le fortissime resistenze interne dovrebbero condurre nel giro di alcuni anni alla riforma del sistema politico e soprattutto economico dell’Ucraina, rendendola così indipendente da prestiti internazionali concessi ormai sempre più a fatica dalle istituzioni occidentali, tanto da far parlare alcuni media e ambienti politici internazionali di un’incipiente e progressiva “Ukrainian fatigue”.
Il problema di fondo, infatti, è che oltre alla burocrazia statale, compresa quella del complesso militare-industriale – Voenni Promisclenni Komplex, o Oboronni Promisclenni Komplex, secondo la dizione russa – con le relative gravi conseguenze del caso per la capacità difensiva del Paese, anche lo stesso Poroshenko fa parte integrante di quel meccanismo oligarchico che le istituzioni internazionali vorrebbero riformare e alle quali il presidente non ha in realtà intenzione di facilitare il compito, come ampiamente dimostrato dal difficile avvio del Tribunale anticorruzione che lo stesso Poroshenko avrebbe dovuto approvare e controfirmare, e che lederebbe i suoi stessi interessi. Il problema dell’eliminazione della corruzione è particolarmente grave perché implicherebbe, almeno in teoria, non soltanto l’introduzione di una legislazione completamente nuova, ma potrebbe/dovrebbe mettere in moto anche un complesso e lungo processo di lustrazione di gran parte dell’attuale classe politica e amministrativa dello Stato ucrano. Poroshenko approfitta quindi del ruolo che svolge quale presidente di un Paese in guerra e che, proprio per questo, non può essere così facilmente sostituito, fatto su cui fa evidentemente leva.
In ultima analisi, come detto precedentemente, in Ucraina si svolge al contempo un acceso conflitto tra fazioni ideologicamente avverse, cioè tra i fautori di una concezione monista dell’identità ucraina e fautori di una più aperta alla diversità e pluralista. Esiste una lotta altrettanto violenta e senza esclusione di colpi tra le diverse fazioni oligarchiche per il potere e lo spartimento delle ricchezze, in particolare quelle derivanti dallo sfruttamento degli oligopoli energetici e dalle industrie manifatturiere. Non da ultimo, esiste anche una feroce lotta tra le fazioni prorusse negli ambiti della sicurezza ucraina e quelle che hanno più a cura gli interessi nazionali, come il recente caso del giornalista russo Andrey Babchenko sembrerebbe dimostrare. Infatti, negli scorsi giorni dalle autorità ucraine è stata inscenata pubblicamente la sua morte per fare venire in superficie le trame dei mandanti e degli esecutori legati in una qualche misura alla Russia e alle sue strutture di sicurezza.
5. Problemi politico-strategici ancora aperti e possibili soluzioni
E’ chiaro che, per quanto riguarda un possibile definitivo settlement della questione ucraina, mentre alcuni interessi russi potranno essere in una qualche misura percepiti dai negoziatori occidentali come vitali per la sicurezza o legittimi dal punto di vista economico (ad esempio gli accordi di commercio tra UE e Ucraina che concedono a quest’ultima uno status commerciale preferenziale a danno di fatto delle relazioni economiche con la Russia), invece la presenza di forze militari e infrastrutture russe nel Mar Nero, oltre le acque territoriali di pertinenza russa, rappresenta una minaccia strategica molto seria e non può essere quindi in alcun modo considerata legittima dall’Occidente, perché non soltanto giuridicamente illegittima, ma interpretabile come esplicitamente offensiva in termini militari e strategici, cioè volta ad acquisire un vantaggio strategico attraverso la creazione di un corridoio territoriale sulle coste settentrionali del Mar Nero e non a difendere interessi legittimi precostituiti.
Alcuni interessi politico-economici russi possono essere quindi essere considerati legittimi, altri hanno invece una valenza puramente offensiva. Quali quindi le possibili soluzioni per risolvere il conflitto in Ucraina? Il problema principale, ma risolvibile qualora ci fosse la volontà politica da entrambe le parti, è costituito dalla difficile compresenza di Unione Europea ed Unione Eurasiatica/Russia all’interno di uno stesso Stato, che presenta un’elevata dicotomia economica e politica a livello regionale. Come risolvere questo problema? Il grado di autonomia preteso e concesso alle regioni orientali di Donetzk e Lugansk dal governo di Kiev rappresenterà il punto centrale della questione su cui verteranno i negoziati di pace. Quale sarà il ruolo che giocherà il presidente Poroshenko, in seguito alle ormai prossime elezioni che si terranno nel 2019, nel processo di pace in cui egli dovrà necessariamente equilibrare i suoi interessi personali di oligarca con quelli della nazione e dei Paesi circostanti? E’ evidente che cercherà di essere rieletto perché in Ucraina soltanto il potere politico assicura la rendita economica derivante da oligopoli o monopoli, mentre in economie più avanzate il potere economico è generalmente slegato dall’appartenenza al potere politico. Non ritengo che ciò sia però probabile, perché Poroshenko ha ormai sostanzialmente perso l’appoggio della società ucraina a causa della sua sostanziale connivenza con il sistema oligarchico e quindi della sua sotanziale mancanza di volontà politica di portare avanti le riforme necessarie alla crescita economica e civile. La soluzione ai tanti problemi politici che riguardano la questione ucraina troverà forse una, seppure provvisoria, soluzione dopo le elezioni che si terranno nel 2019 e che molto probabilmente vedranno uno slittamento dell’attuale regime in senso politicamente più radicale. Rimarrà però da vedere se verrà eletta una efficace classe politica, autenticamente riformatrice oppure no.
La reintegrazione del Donbas nell’ambito dell’Ucraina appare chiaramente agli osservatori quale una esplicita limitazione di sovranità dell’intera Ucraina ed un fattore di spesa per la ricostruzione che potrebbe avere conseguenze devastanti per la già debole economia del Paese, che a causa della guerra e dei disordini ha già perso oltre il 10 per cento del Pil, mentre una rinuncia ad esso implicherebbe una grave amputazione territoriale, ma allo stesso tempo la possibilità di mantenere la propria indipendenza da Mosca, senza che le scelte in politica interna ed estera dell’Ucraina ne vengano ulteriormente condizionate. Nelle prossime settimane assisteremo ad una ripresa delle trattative sulla base dei pur precari e imperfetti accordi di Minsk tra le parti in lotta, dagli esiti ancora incerti. Al processo di pace in corso potranno fornire un essenziale contributo l’Unione Europea, gli Stati Uniti, ovviamente il governo ucraino e gli insorti spalleggiati apertamente dalla Russia. La Russia stessa, che però ufficilamente non si definisce quale parte in causa nel conflitto che insanguina il Donbas da oltre quattro anni, e l’OSCE, l’organizzazione internazionale che gode di una riconosciuta autorità nel campo della mediazione dei conflitti nazionali ed internazionali e che opera in Ucraina orientale con una sua Special Monitoring Mission.
6. Conclusioni
Molti elementi della crisi ucraina appaiono al momento di difficile risoluzione. Ciò che invece è sicuro è che il periodo di pace in Europa è finito. Ed è finito il modello di politica basato sull’idea prevalentemente anglosassone che l’interdipendenza economica e il diritto internazionale possano garantire una convivenza armoniosa e “post-nazionale” tra gli Stati, mentre si fa ritorno ad un’epoca post-westfaliana di duro confronto e scontro geopolitico tra diverse visioni del mondo e diversi interessi geopolitici, come quello che caratterizza attualmente il rapporto Russia-Usa. Soltanto una forte volontà politica da entrambe le parti potrebbe riportare la relazione tra i due Paesi ad una maggiore costruttività basata su obiettivi comuni, come ad esempio la condivisione di regole comuni del commercio internazionale, la comune lotta, nonostante le divergenze politiche che li dividono, contro il terrorismo internazionale etc.
Se l’azione del DCFTA, il Trattato di libero scambio firmato da UE e Ucraina, sicuramente porterà benefici all’economia del Paese, è però altrettanto vero che non tutte le aziende ucraine saranno in grado di competere sul mercato con le merci di provenienza europea, e perciò alcune fasce di popolazione soffriranno necessariamente a causa del modello liberista proprio della UE. Ma almeno dovrebbe aumentare la trasparenza dell’amministrazione statale, viziata, come è noto, da gravissimi e radicati problemi di corruzione. Tuttavia, il nodo cruciale della questione è costituito dalla possibile futura adesione dell’Ucraina alla UE, possibilità che, nonostante i progressi compiuti in questi ultimi anni, appare al momento piuttosto remota. Dal punto di vista dell’adeguamento agli standard NATO, l’esercito ucraino ha indubbiamente migliorato in misura sostanziale le sue capacità di combattimento, anche grazie all’esperienza sul campo di battaglia in Ucraina orientale, muovendo quindi un passo significativo dal punto di vista delle chances dell’Ucraina di aderire all’Alleanza Atlantica in un lasso di tempo di 5-10 anni.
Dal punto di vista dell’avanzamento delle riforme dello Stato ucraino, invece, le prospettive appaiono decisamente sfavorevoli ad un’adesione anche a medio termine dell’Ucraina alla NATO. Quando tra alcuni anni si arriverà al momento della decisione sull’adesione o meno dell’Ucraina alla NATO, la discussione assumerà toni piuttosto accesi tra i favorevoli (Svezia, Polonia, Romania, che teme fortemente la predominanza della Russia sul Mar Nero, Paesi Baltici, Stati Uniti, Canada, con la sua numerosa comunità della diaspora ucraino-occidentale, in questi anni visibilmente a favore della causa ucraina) e i contrari. Contro si esprimeranno presumibilmente Italia, Spagna, forse la Germania e la Francia e gli Stati dell’Europa orientale come Bulgaria, l’Ungheria (oggi impegnata a rallentare l’adesione dell’Ucraina alla NATO ufficialmente per una disputa sulla legge che ha per oggetto l’educazione linguistica delle minoranze ungheresi nella Transcarpazia ucraina, ma anche in accordo con Mosca per motivi di vicinanza politica ed interessi energetici), la Repubblica Ceca e la Slovacchia, ma anche altri Paesi dei Balcani interessati, per motivi storico-culturali ed economici, ma soprattutto energetici, in primis la Serbia, a non danneggiare eccessivamente le loro relazioni con Mosca. Poiché alla NATO le decisioni vengono prese per consensus, cioè sulla base dell’unanimità degli Stati, è probabile che la questione dell’adesione dell’Ucraina alla NATO non sia di facile risoluzione, nonostante il peso preminente degli Stati Uniti in seno all’alleanza e la forte volontà politica degli Stati europei orientali caratterizzati maggiormente in senso anti-russo.
L’Italia ha alcuni importanti interessi nelle attività estrattive che avvengono a ridosso della costa della Crimea da parte delle compagnie russe. Le sanzioni Usa potrebbero però interrompere o danneggiare sensibilmente l’attività estrattiva delle compagnie energetiche italiane. Per questo motivo, l’Italia ha un fondamentale ed evidente interesse a contribuire, nei limiti delle sue possibilità politiche ed economiche (l’Italia non fa infatti parte del “formato normanno” e degli accordi di Minsk) e insieme agli alleati europei, statunitensi e alla Russia, ad una definitiva risoluzione del conflitto ucraino.
*Gregorio Baggiani è osservatore elettorale dell’Osce e analista dello spazio postsovietico