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L’Ue e due docenti italiani al servizio della propaganda islamista di Erdogan

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SETA è l’acronimo di un think tank turco che ha sede ad Ankara: la Foundation for Political, Economic and Social Research, creata nel 2006. Si proclama indipendente, ma ha rapporti stretti con il partito di governo, l’AKP del presidente Recep Tayyp Erdogan, e difatti organizza molte iniziative volte a legittimarne le politiche. SETA ha pubblicato da poco il “Rapporto 2018 sull’islamofobia in Europa”, un volume di 848 pagine a cura di due ricercatori turchi, Enes Bayrakli e Farid Hafez. Qualche quotidiano italiano ne ha parlato perché il rapporto contiene un capitolo dedicato all’Italia e perché il leader della Lega Matteo Salvini compare in copertina insieme a Herbert Kickl, del Partito della Libertà austriaco, e a Horst Seehofer, presentato come esponente “integralista” del partito di Angela Merkel, l’Unione cristiano-democratica.

Se i rapporti sui 34 Paesi considerati assomigliano tutti a quello relativo all’Italia, allora l’opera non è altro che un costoso strumento di propaganda che disegna un’immagine razzista, xenofoba e, appunto islamofoba, dell’Europa: più precisamente, di alcune forze politiche, quelle di destra, e della parte di popolazione che ne è influenzata.

Il capitolo sull’Italia va da pagina 473 a pagina 497 e la sua stesura si deve ad Alfredo Alietti, docente di sociologia urbana all’Università di Ferrara, e a Dario Padovan, docente di sociologia presso il dipartimento di culture, politica e società dell’Università di Torino. I due accademici o non hanno preso molto sul serio l’incarico oppure quello è il loro consueto modo di fare “ricerca”, sta di fatto che non hanno scritto un vero rapporto, basato su risultati di indagini svolte da loro o da colleghi. In Italia, dicono, non sono reperibili dati ufficiali su razzismo e discriminazione, salvo un unico documento del ministero dell’interno risalente al 2016 che parla di 33 incidenti razzisti. Così hanno “rimediato” raccogliendo in maniera non sistematica fatti di cronaca e affidandosi a organizzazioni non governative come Vox diritti (“Mappa dell’intolleranza in Italia”) che, a loro volta, di ricerche vere e proprie non ne hanno svolte.

Alietti e Padovan in sostanza si riducono a elencare 17 episodi di violenza verbale e fisica e, secondo loro, di discriminazione. Oltre e insieme a quattro casi di aggressione, come atti di islamofobia citano ad esempio quello di Matteo Salvini che in campagna elettorale prometteva di mettere fine alla presenza di musulmani irregolari; la scritta “Maometto era un pedofilo” sulla serranda di un negozio di egiziani; una ditta che ha “punito”, questo il termine usato, un dipendente che chiedeva di non fare turni di notte nel mese di Ramadan trasferendolo in un’altra sede; un giudice che ha impedito l’ingresso in aula a una giovane avvocato che indossava il velo…

I due accademici ammettono che in Italia non esistono limitazioni alle pratiche islamiche. Sono consentiti: il velo, salvo casi eccezionali, la macellazione halal, le moschee, la circoncisione rituale, il burka e le preghiere. Ma il problema, spiegano, sono la Lega, Fratelli d’Italia, con la loro campagna anti immigrazione che suscita sentimenti di odio nella popolazione, e, tra i mass media, Libero, La Verità e altri quotidiani che secondo loro gronderebbero anch’essi odio, pregiudizi e false notizie.

La loro descrizione della situazione italiana è un attacco politico a Matteo Salvini e a Giorgia Meloni. Non una volta i due docenti accennano al fatto che a suscitare tensioni e preoccupazione in Italia non sono gli immigrati, ma i problemi di sicurezza e ordine pubblico creati dall’immigrazione illegale. Si legge nell’abstract in italiano del loro contributo:

“Il consenso elettorale verso la Lega Nord e il suo leader Matteo Salvini si è accresciuto lungo tutto il 2018 sulla spinta di una retorica anti-immigrazione all’interno di questo frame discorsivo la questione dell’Islam e delle comunità musulmane ha avuto una particolare attenzione attraverso il solito stereotipato armamentario collegato all’incompatibilità con la nostra cultura cristiana e occidentale, e con i richiami ad una religione del terrore. Il clima xenofobo e anti-Islam alimentato dai tradizionali attori politici della destra, Lega Nord e Fratelli d’Italia, dei movimenti di estrema destra (Casa Pound a Forza Nuova) e dai settori più conservatori dei mass-media, come ad esempio Il Giornale, ha avuto effetti molto negativi a livello sociale legittimando comportamenti di stampo razzista. Si sono accresciuti sia al Nord che al Sud gli attacchi fisici e verbali nei confronti dei migranti, richiedenti asilo, rifugiati e cittadini musulmani. (…) Inoltre, come rilevato dalle ricerche (vedi Vox Diritti) è aumentato nel corso del 2018 il discorso d’odio nei confronti delle comunità islamiche, specchio di una diffusa penetrazione nella società italiana di ostilità verso le diversità culturali. La risposta della società civile, delle associazioni democratiche e di una parte importante del mondo cattolico è stata sicuramente ampia, ma appare inefficace a contrastare questa deriva. Sempre più urgente diventa la collaborazione tra queste realtà e le NGOs musulmane al fine di arginare questa situazione che mette in crisi gli stessi assetti democratici e il futuro della convivenza civile in Italia”.

L’ideologia, l’avversione all’Occidente compromettono la capacità di osservazione e analisi di Alietti e Padovan al punto da negare, o forse persino di non capire, che gli italiani hanno il massimo rispetto per i rifugiati, che i principi fondanti dell’Islam sono effettivamente incompatibili con quelli della civiltà cristiana occidentale e che il jihad, combattuto anche con lo strumento del terrorismo, è prescritto nel Corano e nella Sunna, benché la maggior parte dei musulmani non lo pratichino.  

L’operazione di propaganda realizzata dal think tank turco si potrebbe semplicemente ignorare, salvo deplorare che vi si siano prestati due docenti italiani che purtroppo infliggono lezioni di propaganda anti occidentale ai loro studenti.

Si potrebbe ignorare, se non fosse che è stata l’Unione europea a finanziare il rapporto. Come ricorda Burhanettin Duran, il coordinatore generale di SETA, nella prefazione: “L’Ue ha generosamente finanziato l’intero progetto incluso il presente libro, i tavoli di discussione, i workshop e molte altre attività relative a questo studio (video, info-grafica, siti web e via dicendo)”.

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