Con una lettera breve ma dai toni decisi, Boris Johnson ha informato la First Minister scozzese, Nicola Sturgeon, della sua intenzione di non concedere al Parlamento di Edimburgo la possibilità di attivare la Sezione 30 dello Scotland Act per la concessione del potere di indire un nuovo referendum sull’indipendenza scozzese, il cosiddetto Indyref2. Johnson, che in settimana aveva brokerato l’accordo per la nascita di un nuovo esecutivo nordirlandese a Stormont, ha affermato che la decisione è stata presa dal governo sulla base delle affermazioni di Sturgeon e dell’allora First Minister Alex Salmond nel 2014, quando i due avevano definito il referendum di allora “un voto una volta per tutte per una generazione”.
La questione dell’indipendenza della Scozia si affianca, apparentemente, a quella della ormai imminente Brexit. Dopo che nel 2014 i nazionalisti dell’SNP persero per 55 a 45 il referendum sull’indipendenza, il voto per l’uscita del Regno Unito dall’Ue nel 2016 vide gli scozzesi votare a favore del Remain a dispetto di un’Inghilterra e di un Galles favorevoli al Leave. Questo, unito all’ottimo risultato dei nazionalisti il 12 dicembre scorso – 48 seggi su 59 in Scozia sono andati a Sturgeon e ai suoi – ha dato nuovo fiato alle rivendicazioni di Edimburgo. Il Parlamento di Holyrood ha già votato una richiesta di ottenere pieni poteri per indire un referendum costituzionale sull’indipendenza ma da Londra il governo Tory ha risposto picche.
Se da un lato l’Unione europea nel 2014 si mostrava alquanto fredda sulla separazione della Scozia dal Regno Unito, ora le cose sono cambiate: da Bruxelles fanno sapere che accoglierebbero a braccia aperte Edimburgo, visto che il Regno Unito si appresta a far le valigie entro il 31 gennaio. Proprio il cambiamento innestato da una Brexit che gli scozzesi non vogliono è uno dei motivi che ha portato Sturgeon a riproporre la questione. Il diniego di Londra non risolve la questione per i nazionalisti scozzesi: esclusa l’ipotesi catalana, Sturgeon sta meditando sulle prossime mosse da fare e non esclude nemmeno un ricorso alla Corte Suprema del Regno Unito, anche se l’attesa della sua pronuncia renderebbe vana la promessa di indire l’Indyref2 entro il 2020. Inoltre, la pretesa di svolgere un referendum poiché la situazione politica è cambiata rispetto al 2014 sembra piuttosto vaga: il Parlamento di Westminster è infatti il Parlamento di tutto il Regno Unito e ha poteri di indirizzo della politica estera britannica (Scozia, quindi, compresa).
Il nazionalismo scozzese vorrebbe dunque secedere dal Regno Unito per poi entrare da stato indipendente nell’Unione europea, dove la sovranità della Scozia verrebbe sicuramente ridimensionata al pari di quella delle altre 27 nazioni. Non è chiaro, così come non lo era nel 2014, quale moneta potrebbe utilizzare il nuovo stato scozzese: c’è chi ha parlato di mantenere la sterlina, chi di un’unione monetaria con Londra (sterlinizzazione), chi di un ingresso nell’euro, chi di una valuta nuova di zecca. Un’incertezza che, di certo, non favorisce la causa dell’indipendenza specie nel mondo degli attori finanziari. Così come, allo stesso modo, i nazionalisti non hanno mai chiarito se il nuovo stato avrà un nuovo Capo o se offriranno il ruolo alla Regina: Salmond in passato ha parlato in questo senso, ma se la Scozia manterrà la sterlina e dunque la dipendenza nei confronti della Bank of England e poi anche la Regina come figurehead, di che razza di indipendenza si tratta?
Quello che è certo è che i nazionalisti scozzesi nel 2014 hanno puntato più sull’aspetto ideologico che non su quello romantico-nazionalistico per ottenere i voti per l’indipendenza. Le questioni “vive” come quella della lingua, della cultura, della stessa religione sono state sminuite ma l’SNP ha puntato su quel civic nationalism che punta sull’indipendenza per creare una Scozia più attenta alla giustizia sociale, al welfare state, alla sanità e all’istruzione (queste ultime due materie sono peraltro già devolute al Parlamento scozzese). Da molte parti, Bruxelles e giornali affiliati in primis, si punta sul nazionalismo scozzese e, in modo molto più surrettizio, sul ravvivarsi della questione nordirlandese, per mettere in difficoltà il Regno Unito, ormai identificato, erroneamente, con la sola Inghilterra. Se da un lato Johnson è stato chiaro, dall’altro Sturgeon e gli scozzesi non demorderanno. In attesa delle prossime mosse, un appuntamento va segnato sul calendario: nel 2021 si tornerà a votare per Holyrood. Lì, ne vedremo delle belle.