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Ue sempre più “Rogue State”: pensano di risolvere con bullismo anti-mercato i loro fallimenti sui vaccini?

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Ci risiamo. Con un brutto fallo di frustrazione, una volta accortasi delle falle nei suoi contratti per i vaccini anti-Covid, Bruxelles aveva già provato, poco più di un mese fa, a bloccare le dosi destinate ad altri Paesi. Come riportammo in quei giorni, la Commissione aveva deciso infatti di bloccare le forniture di vaccini dirette verso l’Irlanda del Nord, senza nemmeno avvertire il governo di Dublino e rompendo unilateralmente il Northern Ireland Protocol (NIP) firmato a latere dell’accordo sulla Brexit – violazione che aveva pochi mesi prima contestato al governo Johnson il quale, al contrario, voleva assicurarsi che beni alimentari e medicinali arrivassero a Belfast.

Ieri è venuto fuori che il governo italiano ha bloccato la spedizione in Australia di 250 mila dosi di AstraZeneca prodotte in Italia, nello stabilimento della società americana Catalent ad Anagni, vicino Roma. Primo governo europeo ad avvalersi del meccanismo ad hoc studiato dalla Commissione europea – che infatti ha dato il suo via libera – per “punire” le aziende che non rispettano, stando a quanto dicono a Bruxelles, gli obblighi contrattuali con l’Ue.

Diciamo subito che se ci sono violazioni contrattuali da parte delle case farmaceutiche, queste dovrebbero essere contestate per le vie legali, non sanzionate unilateralmente con misure di embargo. Se invece un contraente è stato sbadato e superficiale, e si è accorto di non essere riuscito a tutelare i suoi interessi, se ne dovrebbe assumere la piena responsabilità.

In ogni caso, arrivare al blocco delle esportazioni di una azienda privata destinate ad un altro Paese, soprattutto in un ambito così delicato come quello farmaceutico e in piena pandemia, rappresenta un atto ostile sia nei confronti di quel Paese sia nei confronti del libero mercato. Un atto di pirateria, sebbene commesso da uno Stato con l’avallo di un wannabe Superstate. Si abusa del potere statale per interferire, fino a bloccarla, in una compravendita tra privati. Il che – e chi meglio di Draghi dovrebbe in teoria rendersene conto – non suona certo come un incentivo ad investire in Italia. È un enorme red alert per le aziende che pensano di aprire stabilimenti nel nostro Paese, e nell’Ue in generale, dando lavoro a migliaia di persone: i tuoi contratti con terze parti potrebbero essere di fatto cancellati arbitrariamente.

Tra l’altro, prima di pensare di bloccare le dosi di vaccino destinate ad altri Paesi, decenza vorrebbe di riuscire a somministrare le milioni di dosi ancora nei propri frigoriferi. In particolare, proprio l’Italia non può evocare lo “stato di necessità”, avendo ancora da somministrare quasi 1,2 milioni di dosi AstraZeneca sulle 1,5 ricevute, e avendo le autorità sanitarie italiane irresponsabilmente deciso di escludere da questo vaccino gli over 65 (e inizialmente persino gli over 55). Insomma, al momento il governo italiano non può giustificare la sua decisione con la carenza di dosi, né in generale né in particolare di AstraZeneca, riuscendo a somministrare solo una minima parte delle sue scorte.

E provate a immaginare le reazioni se questo blocco l’avesse deciso un governo Salvini, o anche il precedente governo Conte 2: sarebbero stati presi a pernacchie, si sarebbe parlato di nazionalismo alle vongole, sarebbero subito saliti in cattedra i “Competenti” bocconiani… Ma Draghi, il sommo sacerdote del culto eurofederalista, lui può. Un Paese che non riesce ad esercitare sovranità sui propri confini, permettendo a delle ong, che rispondono agli interessi di chissà chi, di decidere chi entra nel suo territorio, tutt’a un tratto, scolapasta in testa, si mette a fare l’embargo vaccinale…

Si torna a parlare di “sovranismo vaccinale” e sono senz’altro lungimiranti gli sforzi per produrre nel nostro Paese il fabbisogno nazionale di vaccini e di altri farmaci di cui abbiamo e avremo bisogno nel prossimo futuro. La pandemia ha portato in primo piano infatti il tema della sicurezza nazionale in campo sanitario.

Ma qui l’interesse nazionale e la sovranità, almeno quella che si esercita in uno stato di diritto, non c’entrano nulla. Siamo nel campo dell’arbitrio del sovrano assoluto, che decide di conferire a se stesso la piena disponibilità di un certo bene solo perché prodotto nel territorio sul quale regna. Nel nostro caso, l’arbitrio serve ai “sovrani” di Bruxelles e di Roma per coprire i propri fallimenti, è la protervia tipica dell’impotente, alzare la voce per nascondere la mancanza di argomenti. Ma come detto, la decisione italiana rientra in un meccanismo “punitivo” messo in piedi a Bruxelles e questo ci dice molto della stessa Unione europea, che diventa sempre più un “Rogue State”.

Ricordiamo perfettamente quando gli eurolirici ci spiegavano che la Brexit avrebbe alimentato l’egoismo nazionale, innescato guerre commerciali, comportamenti aggressivi e persino autoritari. Come ha osservato Daniele Capezzone, la previsione era esatta, è risultato errato “solo” il lato del Canale della Manica dove ciò sarebbe accaduto. Il bullismo “sovranista” non viene da Londra, ma da Bruxelles.

Almeno su questo, su Altantico Quotidiano avevamo visto giusto. Il bullismo è stato praticato da Bruxelles fin dall’inizio dei negoziati con Londra per la Brexit. Come hanno dimostrato le pretese dei negoziatori europei (persino l’allineamento dinamico alle future normative Ue), il tentativo era quello di sabotare l’economia del Paese reprobo. Non il reciproco beneficio del libero scambio era l’obiettivo, ma l’economia e il commercio come armi per affermare il potere politico dell’Ue.

Se nel caso dei vaccini, come della Brexit, l’Ue ricorre ad un bullismo anti-mercato è perché, come ha mirabilmente spiegato Italians4Brexit, l’Ue è fondamentalmente un progetto illiberale. “È lungi dall’essere una creatura del liberalismo economico, come pretende di convincerci una sovrarappresentata minoranza euro-liberista italiana, ed è lungi dall’essere un motore di ‘crescita smithiana’”. Le istituzioni europee sono invece le “armi geopolitiche” di Berlino e Parigi, “il prodotto di una visione del mondo profondamente illiberale e paranoica”, “irrimediabilmente a somma zero”, e sono rette da “una nomenklatura troppo devota alla propria secolare ideologia per recepire le istanze altrui, se non opportunisticamente, per i propri scopi”.

“La nostra priorità è proteggere il mercato unico e ribadire il potere politico del continente europeo”, ha dichiarato apertamente il ministro delle finanze francese Le Maire nel 2019 alla presentazione del suo libro, dal titolo piuttosto eloquente, “Il Nuovo Impero: l’Europa nel ventunesimo secolo”. “Impero pacifico”, assicura lui (e d’altra parte, tutti gli imperi della storia proclamavano di agire per assicurare la pace), necessario per resistere ai “tentativi di vassalizzazione” di Cina e Stati Uniti (messi sullo stesso piano).

L’enfasi sul “potere politico del continente europeo” è però “una rivendicazione del potere che l’Ue può esercitare nella sfera economica, il che rende l’Ue ostile non solo al libero scambio, ma allo stesso libero mercato”.

Vale per i tentativi di aggressione ai Paesi membri che adottano sistemi fiscali competitivi; vale per gli attacchi alle multinazionali americane e la difesa dei campioni pubblici franco-tedeschi; vale per l’espansione del bilancio e della fiscalità Ue, per le misure protezionistiche, per la pianificazione degli investimenti e per le “transizioni” ideologicamente motivate; vale, come detto, per la Brexit e ora per i vaccini. Più Europa vuol dire meno libero mercato.

La storia recente, concludeva Italians4Brexit (consiglio vivamente lettura integrale), ci dice come l’Ue sia diventata un “progetto geopolitico particolarmente disinibito nell’ignorare la razionalità economica (ma anche democrazia, legittimità politica, sicurezza del blocco atlantico, concordia internazionale…) pur di perpetuarsi”.