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Un altro successo di Trump: anche il Marocco fa pace con Israele, si rafforza la svolta in Medio Oriente

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Nel giorno in cui il mondo ebraico festeggia il primo giorno della Chanukka, la festa delle luci, una nuova luce di pace si palesa in Medio Oriente, con l’annuncio dell’adesione del Marocco agli Accordi di Abramo. Dopo Emirati Arabi Uniti, Bahrain e Sudan, ora anche il Marocco normalizzerà le relazioni diplomatiche con Israele, aprendo una ambasciata a Tel Aviv e permettendo allo Stato ebraico di aprirne una a Rabat.

L’annuncio è stato dato ieri sera dal presidente Usa Donald Trump che, come parte dell’accordo, riconoscerà per conto degli Stati Uniti la sovranità marocchina sul Sahara Occidentale. Un riconoscimento annunciato dal presidente americano in una telefonata con il Re del Marocco Mohammed VI (erede diretto del Profeta Maometto). La chiave di volta dell’accordo tra Marocco e Israele, ovviamente, è proprio la questione del Sahara Occidentale. Ma la decisione di Rabat di annunciare l’adesione agli Accordi di Abramo prima del (probabile) arrivo alla Casa Bianca di Joe Biden, è probabilmente anche la conferma che il mondo sunnita moderato teme che il prossimo presidente americano non segua la strada aperta da Donald Trump.

A questa notizia storica, ne va aggiunta un’altra che gira nell’aria, ovvero la probabile prossima decisione della Turchia di rimandare, dopo due anni e mezzo se ricordiamo bene, un ambasciatore in Israele. Mossa che arriverebbe dopo il recente forte riavvicinamento tra Arabia Saudita e Turchia, che ha portato Riad a dichiarare finito il boicottaggio delle merci turche. A cosa si deve questo cambio della politica di Erdogan? In questo caso, probabilmente, le ragioni sono prettamente economiche. Erdogan ha aperto troppi fronti insieme, senza avere le capacità di poterlo fare in termini economici. È probabile che Erdogan abbia pensato di risolvere la crisi economica turca esternalizzando il problema – in maniera imperialista – ma che alla fine si sia accorto di non aver ottenuto nulla (o quasi) in cambio. La lira turca, infatti, continua a perdere valore costantemente. In questo senso, per Erdogan pacificare i rapporti con i sauditi e con Israele, significa riaprire le porte del commercio verso il Golfo, incanalare verso Ankara gli investimenti non solo dell’alleato qatariota, ma anche quelli sauditi, e garantirsi il sostegno americano (leggi Nato) per riuscire a confrontarsi seriamente con le altre medie potenze presenti nella regione (Russia, ma anche Iran, teoricamente alleate di Ankara, ma spesso concorrenti se non talvolta avversarie).

Come abbiamo sempre detto, gli Accordi di Abramo hanno avuto il merito di fondarsi sul realismo e di ribaltare completamente il paradigma diplomatico mediorientale, ritornando al principio della risoluzione del conflitto arabo-israeliano prima di quello israelo-palestinese (ovvero ritornare alle origini del problema). I palestinesi sembrano averlo capito e, con la scusa della (probabile) sconfitta di Trump, hanno deciso non solo di riattivare il dialogo con gli Stati Uniti, ma anche la cooperazione con Israele (cosa che ha spaccato l’Olp). In ballo ci sono i soldi, tanti soldi, ma anche la sopravvivenza stessa della causa palestinese. Abu Mazen lo sa bene e sa anche che, passato questo treno, difficilmente ce ne sarà un altro…

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