Un uomo al centro del mirino: domenica notte sapremo chi avrà avuto ragione, se Salvini o i suoi critici

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Sembra che nelle ultime settimane l’immagine di Salvini si sia trasformata da “un uomo solo al comando” in quella di un uomo al “centro del mirino”, sottoposto ad un attacco concentrico massmediatico e giudiziario, fra l’altro ricco di più di un precedente, tanto da risultare quasi scontato a chi è stato spettatore dell’ultimo trentennio, con volta a volta a farne le spese, Craxi, Berlusconi, Renzi. Come per i suoi illustri predecessori si è cercato di trovarne ragione – oltre al
divenire di per sé un bersaglio privilegiato chiunque acquisti il ruolo di primo protagonista – anche in errori commessi, frutto di un crescente senso di onnipotenza, espresso in un presenzialismo e attivismo a tutto campo. Il leader del Lega il primo e determinante errore lo avrebbe commesso col lungo braccio di ferro con Di Maio sull’allontanamento del sottosegretario Siri, indagato per corruzione, che, visto com’è finito, avrebbe fatto molto meglio a farlo dimettere subito, senza dar motivo ad un autentico fuoco di fila moralistico. Di lì in poi avrebbe perso in lucidità, dando l’impressione di essere scomposto nelle sue reazioni, come risulterebbe da altri due episodi enfatizzati a suo danno: l’attacco al procuratore di Agrigento, la stessa sera in cui aveva disposto il sequestro probatorio della Sea-watch con lo sbarco dei migranti ospitati, e il rosario esibito al convegno sovranista di Milano.

Ora, a prima vista la critica appare convincente, perché ci si sarebbe potuto aspettare che il nostro amico gestisse il suo cospicuo vantaggio, confermato da un sondaggio all’altro, senza chiudersi in difesa, sì da dar l’impressione di sentirsi mancare il terreno sotto. Ma bisogna sempre tenere presente che un politico parla al suo elettorato attuale o potenziale, per cui quel che racconta o fa non deve esser misurato secondo una qual sorta di galateo, per quanto condiviso dallo spettatore neutrale, ma secondo il sentire della gente cui il nostro intende rivolgersi. Naturalmente se costui ha avuto fiuto o meno lo dirà il risultato elettorale, che lo si può anche esorcizzare a priori dicendo che parla alla pancia, ma – per quanto questo possa richiamare conferme nelle trasformazioni di democrazie in dittature nella stagione fra le due guerre mondiali, come in Italia e in Germania, battezzate come “moderne”, per aver potuto contare su un largo consenso sia nella presa che nella successiva gestione del potere – continua a costituire un rischio implicito nello stesso essere delle democrazie. Rischio, questo, che non si può esorcizzare a parole, ma con la persistente vitalità del quadro istituzionale, che, nonostante tutto, gode a tutt’oggi in Italia di buona salute, grazie alla
costituzione e all’adesione alla Ue.

Rivisti con l’occhio dell’elettore, sensibile a quei richiami della Lega, che gli risuonano dentro quali evocatori di suoi pensieri o sentimenti vissuti nel profondo come estremamente sensibili, che cosa possono dirci tali episodi? Sono proprio tutti impropri e controproducenti? Può essere, ma forse no. Il braccio di ferro circa l’allontanamento del sottosegretario Siri è possibile abbia toccato la corda dell’anti-giustizialismo, oggi assai più forte di ieri, per l’esperienza fatta con una giustizia penale tanto lenta da non restituire alla sentenza definitiva di assoluzione niente della vita pubblica e privata distrutta, come da ultimo prova la vicenda dell’ex sindaco Marino; nonché con la giustizia civile, non solo ancor più lenta, ma fonte continua di incertezza. Al comune cittadino non è dato difendersi dai processi, ma solo nei processi; e non c’è niente che lo spaventi di più di essere coinvolto in un tormentone di giudici, avvocati, testimoni, con un interminabile calendario di udienze.

Quanto allo scontro col procuratore di Agrigento, peraltro risolto a favore dello stesso Salvini, nel mattino seguente, c’è stato tutto un riproporre di scene televisive degli stessi emigranti, con loro sdraiati in coperta sotto teli di plastica e con una mamma con un bambino piangente in prima fila. Certo uno spettacolo doloroso, ma anche se è stato percepito comunemente come “lasciateli sbarcare”, cosa subito dopo verificatesi, non è detto che non abbia rinforzato in chi già l’aveva il senso di una invasione alla spicciolata, sì da far sbottare “fermateli alla partenza”. Infine, l’episodio del rosario, spiacevole o sconcertante fin che si vuole, ma dopotutto, il solo politico a richiamare, sotto la copertura della fede, la cultura cristiana propria della nostra gente, che se pur non praticante o non credente, si riconosce in una storia che la ha segnata dalla nascita e in una simbologia fatta di croci, campanili, luoghi di culto che la ha accompagnata per tutta la sua vita.

Si vedrà solo domenica notte chi ha avuto ragione: Salvini o i suoi molteplici critici?

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