E’ molto probabile che la Catalogna resterà ancora per molto tempo una delle grandi questioni europee ed è quindi utile provare a capire qualcosa in più di quello che si muove dalle parti di Barcellona dal punto di vista politico e culturale.
Certamente è interessante chiedersi in che misura la connotazione ideologica prevalente a sinistra del movimento indipendentista possa condizionare le scelte di un’eventuale nuovo stato sovrano. Non è un mistero, del resto, che una delle ragioni della freddezza, anche da noi, di alcuni liberali e conservatori riguardo all’indipendentismo catalano sia il peso politico che le tendenze di sinistra ed in qualche caso apertamente anticapitaliste rivestono al suo interno. E’ sensato stabilire un’equivalenza diretta tra indipendentismo e socialismo? Ed è ragionevole spingersi al punto di temere per una Catalogna fuori dalla Spagna addirittura un futuro “bolivarano”?
Si tratta probabilmente di semplificazioni sbrigative. La Catalogna è, in realtà, un paese plurale, una delle aree culturalmente ed economicamente più vive del Sud Europa, e le idee di libero mercato, come altrove, hanno la possibilità di “entrare in partita” nella dinamica politica di un nuovo Stato. Ne abbiamo discusso con il vice-presidente del think tank liberale Catalans Lliures (“Catalani Liberi”), Martí Jiménez. Catalan Lliures è nato nel 2016, a partire da un manifesto per uno “Stato indipendente catalano e liberale” firmato da molte personalità tra cui quel Quim Torra che proprio in questi giorni si è insediato come nuovo presidente, in sostituzione dell’esiliato Carles Puigdemont.
MARCO FARACI: Signor Jiménez, com’è nato e come opera il vostro think tank?
MARTI JIMENEZ: Siamo un gruppo di persone di età e background diverso che condividono l’idea che manchi una prospettiva liberale nel dibattito politico catalano e che pertanto ritengono necessario portare le idee e le soluzioni liberali all’interno del movimento indipendentista. Da due anni abbiamo dato il via a Catalan Lliures, come think-tank apartitico con l’obiettivo di promuovere i principi liberali nel dibattito pubblico e di mettere in campo ragioni forti a loro sostegno. Ci stiamo muovendo su tre livelli. Innanzitutto ci occupiamo dell’elaborazione di policies, preparando analisi e report su vari temi che vanno dal commercio, al mercato del lavoro, fino all’immigrazione ed alle libertà civili. In secondo luogo organizziamo conferenze per la diffusione delle idee liberali. Infine ci poniamo l’obiettivo di influenzare le istituzioni politiche creando una rete di relazioni con persone chiave.
MF: Voi siete liberisti ed indipendentisti. Come vi ponete riguardo al problema dell’egemonia che la sinistra pare esercitare sul movimento indipendentista?
MJ: Che ci sia un’egemonia culturale di sinistra è incontrovertibile. Le sue radici storiche affondano nell’opposizione al regime di Franco e più in generale nella presenza di una destra che in Spagna è sempre stata giacobina e centralista – diciamo “alla francese” – favorendo la convergenza tra il sentimento indipendentista e le idee di sinistra radicale. Inoltre, paghiamo un pregiudizio generalizzato sul libero mercato, legato alla sua identificazione con un capitalismo clientelare – e questa è purtroppo una delle eredità del malgoverno spagnolo. Noi cerchiamo di guadagnare spazio nel dibattito indipendentista, adottando un approccio inclusivo. Siamo aperti al dialogo con tutti e spesso mettiamo in luce le nostre posizioni liberali sui temi civili come elemento di ponte verso le aree più di sinistra dell’indipendentismo. Soprattutto, però, cerchiamo di essere pedagogici sul rapporto che esiste tra liberalismo e prosperità. Cerchiamo di far capire come le idee liberali e liberiste siano fondamentali per una Catalogna economicamente praticabile. Spesso ribattiamo alle posizioni socialiste evidenziando come esse non facciano altro che replicare lo statalismo spagnolo: ci piace dire che richiedere più Stato non è molto diverso da richiedere “Más España”.
MF: Ritenete che la Catalogna sia ricettiva delle vostre posizioni?
MJ: Ci troviamo a lavorare in un contesto difficile, perché la dinamica insurrezionalista innescata dalla repressione spagnola favorisce naturalmente posizioni più radicali e “rivoluzionarie”, ma abbiamo la sensazione che le idee di libero mercato comincino a farsi strada nel dibattito catalano.
MF: Che rapporto avete con la politica partitica catalana? Ad esempio il Partito Democratico (PDeCAT) di Puigdemont, erede della vecchia Convergencia i Unió, è spesso a grandi linee classificato come un partito “liberaldemocratico”. Siete d’accordo con questa definizione?
MJ: Il Partito Democratico, come il suo predecessore, è un partito plurale nel quale convivono posizioni diverse; alcuni dei suoi esponenti hanno tendenze liberali, ma in generale la sua linea complessiva storicamente è quella che viene modellata dai suoi leader. Per esempio Jordi Pujol aveva connotato il partito di una direzione social-cristiana, mentre Artur Mas l’aveva spostato su posizioni più liberalconservatrici. Più in generale preferiamo non interloquire con un partito nel suo complesso, ma con singoli esponenti o singoli dipartimenti. Possiamo dire che abbiamo buone relazioni anche con alcune persone chiave nella Sinistra Repubblicana Catalana (ERC).
MF: In realtà anche Ciudadanos viene generalmente considerato un partito liberale sui temi economici. A vostro modo di vedere lo è davvero?
MJ: Ciuatadanos, malgrado le sue origini come scissione social democratica, ha probabilmente in questo momento un programma meno statalista degli altri tre grandi partiti spagnoli – anche se siamo convinti che si tratti più di marketing politico che di un convincemento ideologico. Tuttavia, le sue politiche repressive ed aggressive squalificano totalmente Ciutadanos come partito “liberaldemocratico”. E’ il partito del nazionalismo spagnolo estremo.
MF: Siamo curiosi di sapere cosa ne pensano delle vostre idee i liberali spagnoli. Almeno tra di loro state trovando qualche alleato?
MJ: Sì, ci sono alcuni liberali spagnoli che comprendono e sostengono il nostro punto di vista. Altri non lo fanno, ma semplicemente la ragione è che non sono veri liberali. Ci piace in particolare citare Juan Ramon Rallo, direttore dell’Instituto Juan de Mariana, che non ha paura di sostenere frequentemente sulla stampa spagnola le ragioni del “dret a decidir” (diritto di decidere) dei catalani.
MF: Al di là della Spagna, vi muovete anche sul piano internazionale?
MJ: Abbiamo ottimi rapporti con varie fondazioni e think-tank, tra i quali l’Institute of Economic Affairs e l’Adam Smith Institute in Gran Bretagna, il Cato Institute negli Stati Uniti e la Friedrich Naumann Foundation in Germania. Poi in questi giorni abbiamo partecipato alla convention organizzata a Madrid da New Direction, il think-tank dei Conservatori e Riformisti Europei (AECR) per dibattere sulle prospettive del processo indipendentista catalano. Stiamo trovando che l’AECR rappresenti un terreno fertile per un dibattito senza pregiudizi.
MF: Ma in definitiva, in che modo ritenete che l’indipendenza della Catalogna possa far bene alle prospettive liberali? Perché ritenete che un catalano che abbia a cuore le ragioni liberali non debba aver paura a lasciare le certezze di una Spagna unita?
MJ: Noi crediamo, con qualche buon motivo, che gli stati piccoli siano più efficienti, liberi e globalizzati perché l’indipendenza crea un quadro di incentivi al buon governo. Da un lato c’è un collegamento più diretto tra la spesa pubblica ed il suo finanziamento; dall’altro gli Stati piccoli hanno molta più urgenza di competere per attrarre capitali. Le ragioni del nostro ottimismo su una Catalogna indipendente è che l’autodeterminazione, in molti casi, rende per necessità liberale anche chi non lo sia per propria vocazione. Ad esempio i Paesi Baschi che godono di uno statuto molto avanzato di autonomia hanno il bilancio migliore e più in pareggio di tutta la Spagna – e questo non dipende certo dal fatto che i Baschi siano culturalmente o ideologicamente liberisti. E’ interessante notare che la Sinistra Repubblicana Catalana, ideologicamente un partito socialista, ha recentemente proposto di abbassare le tasse alle aziende tecnologiche in una Catalogna indipendente, in risposta alla decisione di Rajoy di alzarle. Si chiama “concorrenza istituzionale” e funziona.