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Una commissione orwelliana per imbavagliare le opinioni “scorrette” e criminalizzare gli avversari politici

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Non dovrebbe esserci bisogno nemmeno di spiegare perché astenersi, o anche opporsi all’istituzione di una commissione parlamentare “straordinaria” non significa in alcun modo mancare di rispetto alla senatrice a vita Liliana Segre, che l’ha proposta, né significa avere a che fare con chi l’ha vigliaccamente offesa, essere antisemiti e razzisti. Che invece i due piani siano stati volutamente confusi e sovrapposti, che coloro i quali hanno espresso perplessità, o contrarierà all’istituzione della commissione, siano stati immediatamente e violentemente etichettati come antisemiti e razzisti, è la più lampante dimostrazione della totale malafede dell’operazione che si sta mettendo in piedi. E spiace che in mezzo a questa strumentalizzazione sia finita la senatrice Segre, con tutto ciò che rappresenta, un patrimonio di storia e di valori di tutti che finisce nell’arsenale di una parte per imbavagliare e demonizzare gli avversari politici. Un po’ come accaduto al 25 aprile, alla Festa della Liberazione, sequestrata dalla sinistra con il mito della Resistenza, dove peraltro è tradizione fischiare e contestare la presenza della Brigata Ebraica…

Ad essere posta in votazione nell’aula di Palazzo Madama non era la storia della senatrice Segre, né una semplice condanna della Shoah e dell’antisemitismo, ma una mozione per l’istituzione di una commissione “straordinaria” con poteri di indagine, controllo e indirizzo. Dunque, un’iniziativa che si potrebbe ritenere inopportuna, inefficace, incoerente, pur in teoria condividendone le buone intenzioni, giudicando le motivazioni a suo sostegno e soprattutto i mezzi adottati. Ma quanti si sono presi il disturbo di andare a leggere il testo messo ai voti?

Dalla mozione infatti emerge chiaramente come i “fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza”, che la Commissione è chiamata a contrastare, vengano in realtà strumentalizzati per lanciare delle fatwa contro i cosiddetti haters, che altro non sono, ovviamente, che gli avversari politici. La Commissione serve come postazione istituzionale da cui muovere campagne di intimidazione e censura, esercitare pressioni sui media mainstream e sui principali social media, al fine di bannare o almeno delegittimare moralmente le voci indesiderate. Una tendenza già in atto (ce ne parla Adriano Angelini Sut nel suo articolo di oggi) da parte degli amministratori di Twitter e Facebook, ma che si vorrebbe accentuata e ampliata.

Tra i “poteri” che la mozione conferisce alla Commissione c’è infatti quello di “segnalare agli organi di stampa ed ai gestori dei siti internet casi di fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza nei confronti di persone o gruppi sociali sulla base di alcune caratteristiche, quali l’etnia, la religione, la provenienza, l’orientamento sessuale, l’identità di genere o di altre particolari condizioni fisiche o psichiche, richiedendo la rimozione dal web dei relativi contenuti ovvero la loro deindicizzazione dai motori di ricerca”.

Ma il punto a nostro avviso dirimente è che il nostro codice penale sanziona già gli insulti, la diffamazione, così come l’incitamento alla violenza o alla discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi – e forse già oggi sul terreno scivoloso dei reati d’opinione. La Legge Mancino punisce infatti non solo chi istiga a commettere violenza e atti di discriminazione, ma anche chi “propaganda idee”. In ogni caso, quando un’opinione diventa insulto, o peggio istigazione alla violenza e alla discriminazione, lo stabilisce già la legge. E le nostre leggi contemplano una casistica già abbastanza ampia. Dunque, nell’ipotesi che sia stato commesso uno di questi reati, è alla magistratura che dev’essere “segnalato”. Ma con la Commissione Segre si vuole dichiaratamente andare oltre il penalmente rilevante. Quindi, di che stiamo parlando esattamente, se non di un preoccupante attacco politico al free speech?

L’intera mozione infatti va molto oltre le fattispecie configurate dalla Legge Mancino o i casi di diffamazione a mezzo stampa e social, si basa sul concetto assai fumoso di hate speech, ammettendo che di esso “non esiste ancora una definizione normativa”. Ma non importa, perché all’attenzione della Commissione finiranno comunque “parole, atti, gesti e comportamenti offensivi e di disprezzo di persone o di gruppi (che) assumono la forma di un incitamento all’odio, in particolare verso le minoranze, (che) anche se non sempre sono perseguibili sul piano penale, comunque costituiscono un pericolo per la democrazia e la convivenza civile”.

Il termine, si legge ancora, “copre tutte le forme di incitamento o giustificazione dell’odio razziale, xenofobia, antisemitismo, antislamismo, antigitanismo, discriminazione verso minoranze e immigrati sorrette da etnocentrismo o nazionalismo aggressivo“. Una discriminante decisiva, quest’ultima. Viene escluso infatti qualsiasi riferimento all’antisemitismo e al razzismo di matrice islamica o di ideologie diverse dal nazionalismo, ignorando la realtà incontestabile che oggi la stragrande maggioranza degli atti più o meno violenti di antisemitismo in tutta Europa proviene dagli ambienti dell’islam radicale. Così come non vengono menzionate istigazioni all’odio e discriminazioni contro donne e gay praticate quotidianamente dai musulmani, anche non integralisti, nelle nostre città, un vero e proprio fenomeno sociale. Ma tutto questo non si poteva scrivere nella mozione, perché avrebbe significato introdurre contraddizioni nella narrativa che la Commissione è chiamata ad alimentare al di là di qualsiasi evidenza contraria, quella degli ebrei e degli immigrati vittime del razzismo e dell’antisemitismo dei movimenti “sovranisti”, e magari creare le condizioni per un sostegno bipartisan.

A conferma di ciò, non viene contemplato nemmeno l’odio politico: evidentemente bruciare in piazza pupazzi raffiguranti Salvini non è ritenuto abbastanza odioso da rappresentare un “pericolo per la democrazia e la convivenza civile”. E se è un leader politico donna, come Giorgia Meloni, a ricevere manifestazioni d’odio continue via carta stampata, tv o web, che se la cavi da sola, alla Commissione Segre non interessa.

Ma proseguiamo nella lettura della mozione: “Il termine incitamento può comprendere vari tipi di condotte (…) anche sostenere azioni come l’espulsione di un determinato gruppo di persone dal Paese o la distribuzione di materiale offensivo contro determinati gruppi”. Si parla di “nazionalismo ed etnocentrismo”, di semplici “epiteti, pregiudizi, stereotipi”. Anche lo slogan “Prima gli italiani” sarà considerato incitamento all’odio? Anche sostenere l’espulsione di immigrati irregolari e la non integrabilità di alcuni gruppi di essi? E l’hate speech che prende di mira gli italiani, dipinti sulle colonne dei giornali perbene e competenti, o nelle trasmissioni televisive e sui social, come un popolo di evasori, corrotti, incivili, ignoranti, analfabeti, razzisti e fascisti? Non si tratta forse di pregiudizi, stereotipi offensivi applicati a un determinato gruppo?

La Commissione Segre è orwelliana nella sua smania di censura morale, di controllo del linguaggio e del dibattito pubblico. È ipocrita nel concentrarsi su uno solo dei molteplici volti dei fenomeni che dice di voler contrastare. E inopportuna, perché destinata ad avvelenare ancor di più un clima politico già infuocato, dal momento che ciascuna parte politica pretenderà la censura delle manifestazioni d’odio altrui, provengano esse da leader politici o dall’ultimo sconosciuto militante. Settimane intere passate a rinfacciarsi accuse e a delegittimarsi a vicenda. Una guerra civile permanente.

Riguardo il voto di astensione di Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia in Senato, riteniamo con Nicola Porro che sia stato un errore. Un errore non votare contro questo deliberato attacco al free speech e alla convivenza civile nel nostro Paese. Primo, perché come ha ben spiegato Corrado Ocone, “non si possono giustificare pratiche illiberali nemmeno per correggere idee illiberali; né intolleranti per affermare la tolleranza. Non si può, in poche parole, affermare cosa sia bene prima di stabilirlo, di volta in volta, in modo parziale e imperfetto, come è proprio delle cose umane, in un libero e democratico confronto di idee e opinioni contrastanti”. La battaglia è culturale, di principio, e chi arretra è perduto.

Secondo, perché l’astensione non li ha risparmiati, come vediamo in questi giorni, e non li risparmierà dalla delegittimazione morale e politica, perché criminalizzare i movimenti “sovranisti” e il dissenso sull’immigrazione open border è il solo vero scopo della Commissione. Non avrebbero dovuto accettare il ricatto morale per cui esprimersi contro questa “commissione bavaglio” significa mancare di rispetto alla senatrice Segre ed essere, sotto sotto, antisemiti e razzisti. Al contrario, avrebbero dovuto denunciarlo come la prova di una bieca e sfacciata strumentalizzazione. L’astensione denota insicurezza e che sia dovuta a una coda di paglia o ad un complesso di inferiorità ancora pervasivo e condizionante nella destra italiana, li consegna mani e piedi alla gogna.