E venne il Recovery Fund: 312,5 miliardi in trasferimenti Covid, 77,5 miliardi in altri trasferimenti, 360 miliardi in prestiti. Da assegnarsi: quasi nulla nel 2020, il 10 per cento nel 2021, il 60 per cento entro il 2022, il 30 per cento entro il 2026. L’ultimo 90 per cento da spendersi dopo l’assegnazione. Per l’Italia, diremmo: 70 miliardi allocati a titolo di trasferimenti (‘grant’), a fronte di 53 miliardi versati a titolo di contributi ed a fronte di un ‘regalo’ di 17 miliardi netti; oltre a una cifra incerta di debito vero e proprio (‘loan’). Piace notare che il ‘regalo’ si materializzerebbe solo nel caso in cui l’Italia fosse capace di impiegare tutti i fondi assegnati, perché di certo ci saranno unicamente i miliardi dall’Italia versati a titolo di contributi. Conte ha presentato numeri più alti, tanto che la stampa amica già lo chiama l’“uomo da 209 miliardi”. Ma non specifica volentieri che si tratta della “tabella migliore”, fra le molte simulazioni prodotte a caldo dal ministro Gualtieri: dunque, tutte le altre sono peggiori. Chi pure i suoi numeri accetta, fa notare che il saldo netto sarebbe più che compensato dal contributo netto al normale bilancio Ue, sicché l’Italia resterebbe comunque complessivamente un contribuente netto. Altri sono più pessimisti, ma nessuno sa di preciso, anche perché la allocazione fra Paesi avverrà in parte sulla base dei dati dei prossimi anni (una soluzione alla quale l’Italia significativamente si era opposta).
Il debito pubblico ne aumenta di conseguenza: direttamente per la parte a debito vero e proprio (a lunga scadenza, plausibilmente a condizioni convenienti ed apparentemente non privilegiato, ma pur sempre debito); indirettamente per i contributi da versare nel futuro, che aggraveranno i futuri bilanci alla maniera di come accade alle imprese che rifinanziano un mutuo (a bilancio) con un debito leasing (fuori bilancio). Dunque, si può dire che il massimo vantaggio che l’Italia ne può trarre sono i 17 miliardi di ‘regalo’: su sette anni lo 0,14 per cento del Pil all’anno. Questo “il gigantesco assegno europeo” ed il “treno ricco che passa uno ogni secolo” che descrive La Stampa.
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Tale ‘regalo’ si materializzerà unicamente se l’Italia avrà già fatto ‘le riforme’ indicate da Bruxelles nel cosiddetto ‘semestre europeo’ e mente chi scrive basti prometterle. Fra le quali, certo, asili nido, digitalizzazione, durata dei processi civili e penali ed altre facezie, delle quali si riempiono la bocca Lorsignori del governo. Ma poi v’è la ciccia, della quale, guarda caso, Lorsignori non parlano mai: attuare pienamente la Fornero, cioè cancellare quota 100 e scordarsi i ‘decreti Esodati’ cari al Pd, ridurre le agevolazioni fiscali cioè le basse aliquote Iva e le detrazioni Irpef, e reimporre Imu prima casa; alzare le rendite catastali, cioè alzare tutta l’Imu; contrastare l’evasione fiscale, cioè rendere obbligatori i pagamenti elettronici e mettere fuori legge il contante. Dipoi, dedicare il tutto ad abbattere il deficit (in quanto, già quando il disavanzo nominale era del 2,1 per cento, era richiesta una riduzione in termini nominali della spesa pubblica primaria netta dello 0,1 per cento, figurarsi oggi che il disavanzo nominale viaggia verso l’11,9 per cento) ed al netto dei futuri contributi da versare al Recovery Fund stesso. Da aggiungere una nuova tassa europea sulla plastica, pesante perché raddoppia il costo della materia prima, come piace a Lorsignori.
In altre parole, la Finanziaria Monti-Plus. Di nuovo, come nel 2011, imposta ad una economia che esce da una gravissima recessione, solo per farla precipitare in una peggio. Di nuovo, come nel 2011, Bruxelles pretende che i propri comandamenti siano volti “al rafforzamento del potenziale di crescita, alla creazione di posti di lavoro”… ma già sappiamo come va a finire. Unica differenza, la neo-lingua della Von der Leyen: non si dice più ‘riforme’, bensì ‘modernizzare l’economia’, “e questo significa lottare contro i cambiamenti climatici, migliorare la digitalizzazione e aumentare la resilienza”; laddove ‘resilienza’ è il nuovo modo di dire ‘avanzo primario’; né si dice più ‘troika’, bensì “task force specifica per l’Italia”.
Insomma, “il gigantesco assegno europeo” è, in realtà, un Recovery-Mes. Conte scrive che c’è da essere “orgogliosi di essere italiani”. A noi pare che, ad essere italiani, ci sia da aver paura. Molta paura.
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La Finanziaria Monti-Plus, ora tocca a Conte convincere il Parlamento italiano a subirla.
Al momento egli sembra impegnato a costruire una narrazione: “il Recovery Fund cancella l’austerità” per Repubblica, “dimostra l’inconsistenza delle austere flagellazioni” per Monti; Conte si è “battuto” con Rutte, “è tornato a Roma con il bottino” ad occuparsi di “come gestire l’enorme flusso di denaro”, “teme l’assalto alla diligenza”, può aspirare a “l’ascesa al Quirinale”; Amendola proclama “austerity, troike completamente spazzate via”; Di Maio userà il Recovery Fund per abbassare le tasse; il ministro Patuanelli per “detassare”. Senza che, nel frattempo, lo stesso Conte imprima alcuna fretta ai propri ministri, nel redigere quei piani che pure Bruxelles attenderebbe per metà ottobre… bontà sua ha individuato un Comitato interministeriale. Chissà, forse, nella speranza che tale narrazione possa ritardare il momento in cui il Paese si accorgerà che i ‘209 miliardi’ non solo ce li mettiamo noi, ma pure vengono non prima di un anno e comunque solo dopo i tagli.
La narrazione di Conte affascina le menti distratte: Giorgio La Malfa, che crede alla “miniera d’oro”, al punto che “se Conte dovesse andare al voto in questi mesi, alla guida di uno schieramento di centrosinistra” vincerebbe le elezioni, anzi “entrerebbe nei libri di storia”… se solo lasciasse la gestione della ‘miniera’ ad “una nuova Cassa per il Mezzogiorno” affidata a Draghi. Perché (qui è dove casca l’asino), se ciò fosse già accaduto, allora i “dubbi dei Paesi frugali verso l’Italia si sarebbero dissolti”. Imbarazzo.
Fuori narrazione, Bruxelles prevede di bollinare i piani nazionali ad aprile 2021, per poi proporli al Consiglio-Ue dove gli stati dovrebbero approvarli a maggioranza qualificata e dunque con potere di veto tedesco-olandese-anseatico… proprio mentre lo stesso consesso starà riprendendo a “discutere” della impossibile riforma del Patto di stabilità, oggi sospeso ma destinato a tornare in vigore nel 2022. L’unica chance di Conte sarebbe presentarsi a quei tavoli dopo aver imposto al Parlamento una prima Finanziaria Monti-Plus, ad esempio procurando uno stato di allarme sui conti pubblici in occasione della nota di aggiornamento al Def di settembre, unito ad un profluvio di bolsa retorica dell’austerità espansiva, allo spossato appello a non fallire per non fare implodere l’Ue e, perché no, a qualche comunque benvenuta liberalizzazione.
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Una scommessa talmente azzardata, da indurre Lorsignori del Pd e la stampa amica ad invitare Conte ad utilizzare la narrazione, piuttosto, per tornare al Piano iniziale: accedere al Mes-Sanitario, per farsi poi traghettare nel Full-Mes e lì chiedere accesso al programma OMT. In tal modo, al Recovery-Mes si aggiungerebbe il Full-Mes e l’Italia passerebbe definitivamente allo stato di colonia d’Europa… e si sa che Lorsignori sono amati più a Bruxelles che in Italia. Aggiunge Stefano Folli di farlo in fretta, subito, perché il costo “dopo le elezioni di settembre potrebbe rivelarsi troppo alto”; suggerisce La Repubblica di profittare del comune scacco a Bruxelles per portarsi dietro pure Spagna e Portogallo. A questo partito si iscrivono: Gualtieri che, alla vecchia barzelletta del Mes-Sanitario incondizionato aggiunge la nuova del Mes-Sanitario “cruciale per evitare problemi alle casse dello Stato”; Enrico Letta, preoccupato da “l’effetto frustrazione”; Prodi che parla di “impegni da fare tremare le vene ai polsi”; Maurizio Molinari: “l’impressione è stata di rivivere gli errori commessi dall’Ue a marzo, quando per lunghe settimane i Paesi più colpiti dalla pandemia vennero lasciati soli dal resto dell’Unione”; come pure quell’economista francese che lunedì, su Libération, asseriva che porsi sotto la tutela del Mes è meno grave che sotto quella di “Paesi-Bassi, Austria, Finlandia”.
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Ma noi già sappiamo che la scommessa di Lorsignori del Pd non è meno azzardata di quella di Conte. Dunque, non è escluso che entrambe falliscano e, in tal caso, l’Italia procederebbe presto all’imposizione del controllo movimenti dei capitali. A meno che Merkel abbia messo in piedi lo spettacolo di Bruxelles al fine di precostituirsi un alibi, nell’auspicabile caso che Weidmann procedesse ad uscire dal QE, il prossimo 5 agosto. Qui vivra verra.