La settimana appena trascorsa non è stata solo quella di Sanremo. Mentre Amadeus presentava il Festival della canzone italiana, centinaia di piazze italiane vedevano sfilare cortei di studenti che protestavano contro il ritorno degli scritti all’esame di maturità, invocando le dimissioni del ministro dell’istruzione Bianchi. “Hanno voltato le spalle a noi studenti, non vogliamo che questa maturità venga svolta così, lasciandoci totalmente fuori dal percorso decisionale”, spiegano gli manifestanti, lamentando inoltre che quella presa dal governo e dal ministro Bianchi è una scelta che non tiene conto dei problemi che la pandemia e la Dad hanno causato agli studenti.
Una gestione, quella scolastica, alla quale su Atlantico Quotidiano non abbiamo mai risparmiato critiche proprio perché consapevoli dei danni alla didattica che avrebbe provocato.
Ma è necessario fare un passo indietro, perché ci troviamo di fronte una generazione di studenti che tranne isolate eccezioni, non hanno saputo mai alzare la voce di fronte alle assurde regole a cui sono stati e sono tutt’ora sottoposti, che non sono mai scesi in piazza per chiededere che le lezioni venissero svolte nella maniera più sicura e continuativa possibile, che non hanno mai saputo far sentire la propria ‘rabbia’ di fronte al vergognoso stato in cui versano le strutture scolastiche e ad una gestione delle cattedre che da anni lascia lacune ovunque, né di fronte alla mancanza di opportunità, all’orribile gestione dell’alternanza scuola-lavoro, alla scarsità di innovazione, materiali, fondi.
Insomma, la scuola Italiana è piena di problemi, eppure questa generazione ha saputo alzare la voce solo contro il ritorno degli scritti nella maturità 2022. Occore però fare un’altra doverosa considerazione. Purtroppo, questa generazione rappresenta alla perfezione la nostra società: ragazzi che crescono credendo che tutto gli sia dovuto, non abituati a meritarsi e costruirsi i propri risultati, non abituati ad essere valutati per le proprie capacità e ad assurmesi le proprie responsabilità, che nemmeno concepiscono l’idea che i risultati vadano conquistati. Un processo, questo, che è partito da lontano, viene spontaneo a pensare al ’68, e che continua ancora oggi a dare i propri frutti.
Occorrerebbe un repentino cambio di visione della società, non solo dell’ambito scolastico, ma è evidente che ad oggi parliamo di utopia, perché i segnali che ogni giorno vediamo vanno nella direzione opposta. La scuola ha ormai perso il proprio ruolo istituzionale, così come i professori hanno perso il loro, incapaci d’imporsi e spesso attaccati anche dai genitori che tendono sempre di più a proteggere e difendere i propri figli anche di fronte a casi di maleducazione e violenza.
Le manifestazioni di questi giorni ci rattristano ma non ci sorprendono, purtroppo.