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Un’edizione di ordinaria propaganda “cinese” del Tg1 a 5 Stelle

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C’era una volta una setta. Voi direte: o che storia è questa? E che c’entra poi con l’informazione? Ma se avete la bontà di seguitare un momentino a leggere senza interrompere, tra poco lo scoprirete. C’era una volta una setta, dunque, che si chiamava 5 Stelle; l’aveva fondata un vecchio comico in debito di battute insieme a un informatico chiamato “visionario”, forse perché aspettava l’avvento della Gran Madre Gaia che avrebbe decimato la popolazione del mondo, lasciando solo gli adepti della setta. Ma aspettare con pazienza l’apocalisse cosmica non si poteva, che sarebbe arrivata era sicuro, quando, molto meno. E così i due si dissero: dobbiamo fare qualcosa, dobbiamo trasportare la setta nella politica. E così fecero, e, mentre l’informatico visionario restava dietro le quinte, il vecchio cabarettista riscopriva il brivido dell’avanspettacolo davanti a folle sempre più oceaniche nelle piazze. Tracimanti e furibonde. “Vaffanculo a tutti!”, urlava il vecchio caratterista, e poi: “Vi veniamo a pigliare! Mai con la sinistra! Siete morti, siete zombi!”. Ma il meglio, lo riservava all’informazione: “Schifosi, ladri, corrotti, merde, non vi crede nessuno, quando comanderemo noi sarà tutta un’altra cosa, basta con la politica nelle notizie, tutto trasparente, tutto per il popolo, tutto quello che sai è falso, tutto quello che non sai è vero!”.

Come andò a finire, è storia nota. Siccome l’Italia è un manicomio, ma anche un campo dei miracoli per chi ci sa fare, la setta non solo sbarcò alle elezioni: ma le vinse, e, sempre al grido “fuori la politica dalle informazioni”, prese ad occuparle una per una con piglio militare; quelle che non occupava, comunque le controllava. A cominciare dalla massima espressione dell’informazione di regime, il Tg1.

Ed ecco una edizione qualsiasi del Tg1 delle 20, per la precisione quella di venerdì 24 luglio scorso, seguendo la scaletta passo passo. L’apertura è con una intervista, ma sarebbe più corretto definirla agiografia, di Davide Casaleggio, il figlio dell’informatico visionario, nel frattempo deceduto. In altri casi, lo si definirebbe un figlio di un cognome, un raccomandato come tanti: ma, per l’occasione, Davide passa per un genio genetico, uno che ha assorbito la visionarietà del padre, uno che parla poco perché ha troppo da dire: non perchè non ha niente da dire. L’intervista è al di sotto di qualsiasi servilismo, dura quasi un quarto d’ora. Davide, il piccolo genio, parla di alcune iniziative un po’ da luna park, però illustrate come la scoperta della penicillina, della fisica quantistica e del vaccino anti-Covid. Tutte insieme.

Segue un servizio quasi altrettanto misticizzante – quasi – per il Grande Timoniere Mao Zedong. Sembra di stare alla Porta Tienanmen anziché a Saxa Rubra, si magnificano le doti del democratico condottiero stella polare della meglio gioventù degli anni ’70 e dei peggio adepti di oggi, manca solo lo slogan: “La Cina è vicina, dal Celeste Impero a Mao”. Ma il senso, alimentato dall’inviata, impeccabile almeno in questo, è chiarissimo. La setta a 5 Stelle è legata a gaffa, ma per gli italiani a nodo scorsoio, con la democratica dittatura di Pechino, e il Tg1 stellare non lo dimentica; qui si esalta la sagacia, la cura, l’amore che gli eredi di oggi, permeati dallo spirito infuso di Mao, hanno riservato e riservano al loro popolo nella gestione della post emergenza virale.

La terza notizia in agenda sposta il tg più seguito dagli italiani in America, dove c’è una sincera pasionaria democratica, Alexandra Ocasio Cortez, idee e ricette a sinistra del Partito Comunista Cinese ma attico a Manhattan, che ha fatto non si sa bene quale concione che però pare abbia commosso tutti tranne quel criminale cannibale di Donald Trump. Che aspettano a candidarla presidenta dell’America? Quindi assistiamo alla processione della beata Alexandra, una che quanto a odio verso il maschio bianco dà del filo da torcere perfino alla “nostra” Rula Jebreal.

Segue un ritratto imperiale di Erdogan, il turco, magnificato nell’impresa di avere trasformato la basilica di Santa Sofia in Moschea, faccenda dalle implicazioni chiarissime – e difatti i turchi islamici mostrati nelle immagini appaiono piuttosto galvanizzati, per non dire bellicosi – ma che non sembra abbia turbato più che tanto, giusto un battito di ciglia distratto, il nostro irrilevante Papa cattolico. Per non sbagliare, la notizia viene corredata da un breve intervento farfugliante del capo supremo della Comunità di Sant’Egidio (peraltro spottizzata ad ogni edizione), Andrea Riccardi, che tifa apertamente per Erdogan e l’ascesa islamica: “Basta che ci sia posto”, come cantava Vasco Rossi.

Siamo alla seconda parte del notiziario e non si può prescindere dalla “emergenza Covid”. Che in realtà non c’è, tecnicamente il virus è messo a cuccia, ma proprio per questo occorre terrorizzare come se fosse il Babau. E allora giù con il tifo, apertis verbis, per i contagi, la desolazione per la mancanza di cadaveri, i vaticini lugubri dei virologi a tassametro, la gogna per chi fornisce cattivo esempio, cioè respira, una inviata va in un circolo di vecchi e li obbliga a mettersi la mascherina sul naso, proprio così, segue un sacrosanto odio, condito da proposte di torture ed altre soluzioni finali, per negazionisti e movidari; si lascia largo spazio al decesso di una bimba belga di 3 anni che in realtà è morta di gravissime patologie pregresse cui il Covid ha fornito l’ultimo pretesto – ma avrebbe potuto essere qualsiasi altro malanno. La chiusura è affidata ad una breve mitopoiesi in stile cinese del ministro della salute, si fa per dire, Roberto Speranza, il quale ammonisce severamente i vigliacchi sovranisti che praticano terrorismo virale.

Questa – si controlli pure nell’archivio digitale sul sito della Rai – una sera di ordinario notiziario del telegiornale controllato dalla setta a 5 stelle, quella che un tempo urlava: “fuori la politica dall’informazione, quando comanderemo vi faremo vedere noi cosa è la vera democrazia!”. Hanno mantenuto, purtroppo. E nessuno dice niente, nessuno si ribella. Il Tg1 della Rai è la pagina più imbarazzante in 66 anni di pratiche informative di regime, la più surreale, sgrammaticata, plateale. La più mortificante al punto da legittimare quello slogan delirante del vecchio buffone: “Tutto quello che sai è falso, tutto quello che non sai è vero”. Ed è così tutti i santi giorni, edizione dopo edizione, senza tregua, senza deflettere mai. Un telegiornale di legno dove ogni fatto viene sfasciato, distorto, piegato alla propaganda. Qualcosa che non si era mai visto in nessuna democrazia occidentale per quanto sballata. Qualcosa che non pare nemmeno reale a vedersi. Salvini ha protestato in un tweet: “Anche questa domenica gli italiani hanno pagato il canone per assistere ad un Tg1 sovietico”. Sovietico? Non scherziamo, senatore, qui siamo alla Cina, alla Nord Corea, manca solo l’annunciatrice piccoletta e fanatica. Ma, in fin dei conti, ce n’è davvero bisogno?

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