Qualche giorno fa, su queste pagine, vi parlavo della mia personalissima idiosincrasia per il pensiero contorto e troppo complesso. Da sempre convinto che le cose più importanti della vita siano lineari e prive di troppe sfaccettature, non ho mai fatto mistero di mal sopportare troppi distinguo, troppe argomentazioni surrettizie e posticce quando si tratti di attenersi ai principi etici di base che dovrebbero guidare ogni formazione civile. Non credendo molto ai termini “liberale”, “garantista” o “ democratico”, almeno per quanto mi riguarda, e col massimo rispetto per chi ritenga di fregiarsene, mi accontenterei di essere considerato una persona civile. Niente da obiettare su liberali, garantisti assoluti e persino democratici, beninteso, ma sono, a mio modo di vedere, concetti tanto alti ed impegnativi da segnare la vita intera di un individuo e così impegnativi da obbligarlo a contenere dentro sé anche la minima espressione di intolleranza per quanto sta accadendogli intorno. Tutti noi abbiamo limiti, dei quali siamo più o meno consapevoli, perché l’uomo è tutt’altro che perfetto e mirare alla perfezione assoluta non può chiedersi nemmeno ai santi. Mi accontento, in osservanza del principio per cui non tutti possiamo tutto, di non spararle troppo grosse in materia di solidarietà con chicchessia quando so benissimo che poi penserò, prima di tutto, ai fatti miei e a casa mia, ammettendo un mio enorme ma indiscutibile limite e, personalmente, la menata di quelli “no limits” mi ha sempre fatto ridere, come chiunque si atteggi a spaccamontagne.
Ciò premesso, per tornare alle cose più serie di cui si possa dibattere in questi giorni di quasi-guerra, osservo con tristezza quanta variabilità di pensiero stiano dimostrando i tanti che, troppo pervasi dalla smania di sembrare giusti e liberali, ondeggiano come sugheri sul mare in tempesta, ora facendosi sostenere da quell’onda, ora da quell’altra, a seconda di quella che appaia più in vista. Per quanto l’intera società mediatica (forse l’unica che conti oggi) sia ormai compatta nel celebrare la sfida ai propri limiti come un valore assoluto e come schema di vita, non cessa di stupire noi poveri limitati per scelta, quanto si possa dire una cosa ed il suo contrario anche quando una risposta ferma e severa sia palesemente l’unica auspicabile in tempi di emergenza. Ma, lo ricordo a me stesso, lo stesso concetto di emergenza, magari complice il governo italiano in tema di Covid-19, sembra essersi talmente esteso in senso orizzontale da fare apparire la normalità come la vera emergenza che faccia eccezione alla regola.
Passiamo bellamente da un’emergenza all’altra con una disinvoltura che lascia presupporre l’assoluto disinteresse statale per quello stato di quiete e pace sociale che tutti noi potremmo ben pretendere da chi ci governa, perché più che di condottieri, più o meno valorosi e disposti pagare di persona, avremmo bisogno di qualcuno che ci lasci vivere in pace una già non sempre semplice vita. Ciò nondimeno, quando si tratti di prendere decisioni gravi e solenni, per intenderci, quelle riservati ai pochissimi che contano, ben potremmo aspettarci polso e coerenza. Certo, lo sanno anche i bambini, avere polso comporta imprescindibilmente commettere qualche errore e la coerenza è certamente la qualità individuale più difficile da mantenere in politica, ma tanta verbosa retorica non aiuta ad avere né l’una ne l’altra virtù e troppo spesso assomiglia all’excusatio non petita di chi mette le mani avanti per non pagare dazio.
Purtroppo, tale strabordante comunicazione mediatica, arrivata ben oltre il necessario e la ragione ci mostra un triste spettacolo di governanti che perdono tempo a spiegarci le decisioni che stanno (forse) per prendere, in sostanza mirando più al consenso preventivo che all’esercizio di un diritto-dovere di governare che hanno in quanto perlomeno nominati, se non eletti, dalla collettività. Se un dittatore può permettersi di decidere “a muzzo”, come molti italiani dicono in dialetto, non altrettanto possono fare i capi di governo nei Paesi ove viga la democrazia parlamentare e proprio su questa netta demarcazione dei poteri dovrebbe risiedere la vera forza di tali governi. Per quanto non abbiamo oggi necessità alcuna dell’”uomo solo al comando”, non è nemmeno auspicabile che chi governa debba eternamente sondare il terreno dell’opinione pubblica con inutili ed irrituali conferenze stampa ogni due per tre, se non addirittura con vere e proprie mezze-leggi di prova alle quali seguiranno altre che magari disporranno il contrario.
Allo stesso modo, certe dichiarazioni d’intenti del tutto generiche ed aperte alle più svariate interpretazioni su temi importanti come la guerra, risultano fastidiose ed insufficienti a formare quel sentimento coeso di Italia che farebbe certamente bene tanto a noi che a chi tratta con noi nelle sedi diplomatiche. Se dovessimo rappresentare come la commedia dell’arte il teatrino al quale assistiamo, osservando con attenzione certe facce perplesse nelle dichiarazioni in mondovisione e certe frasi agrodolci che dicono tutto ed il contrario di tutto, potremmo convenire che oggi si recita a soggetto. Innanzi tutto, bisognerebbe scegliere da che parte stare, con tutto ciò che ne deriva, accettandolo serenamente e facendosene carico, perché le regole del gioco sono quelle, da sempre. Le scelte di campo non sono un optional, come non è affatto facoltativa la consapevolezza di appartenere, e con qualche riconoscenza, ad uno schieramento internazionale di tipo eminentemente militare, che non prevede chiacchiere ma azioni militari quando le regole di tale schieramento, liberamente deciso dagli Stati sovrani che vi hanno aderito, lo prevedano.
Cadiamo dal pero nell’apprendere che nel trattato costitutivo della Nato, risalente al 1949 e mai messo in dubbio o sconfessato da alcun Parlamento o esecutivo italiano, si parli d’intervento in armi e di supporto (anche) con le armi agli altri Stati che fanno parte del Trattato Nord Atlantico, per una forma di amnesia selettiva che non ci frutta certamente rispetto e considerazione nel mondo. Ormai avvezzi a tirarci indietro da qualsiasi impegno ed in qualsiasi momento, addirittura su richiesta di formazioni politiche non rappresentate in Parlamento o su istanza di ong varie e financo perché gradito alle gretine di turno, saremmo in grado persino di minare la Nato dall’interno, guadagnando un’altra “medaglia” se non ne avessimo già abbastanza appuntate al petto. Facciamo addirittura i sorpresi quando ci venga chiesto di contribuire con il 2 per cento del Pil alle spese Nato, come fanno da molto più tempo di noi una ventina di Paesi europei senza battere ciglio, ma tuttavia speriamo nell’intervento Nato per nostro conto, se le cose si mettessero male per noi. Ovviamente, se possibile, non inviando né uomini né mezzi in tale contingente del quale siamo partecipanti per trattato.
Anche in questo caso e su questa materia, siamo veri e propri forgiatori di una congerie infinita di eccezioni, distinguo, magari con pandette che vorremmo fossero aggiunte ai trattati per diversificarci e tenere posizioni più defilate, nel più sconsolante spettacolo di una vera ed instancabile fucina dell’incoerenza assoluta che, spiace ammetterlo, siamo diventati ed ampiamente conosciuti nel mondo.