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Uno sguardo sull’Afghanistan: dai Talebani a un futuro ancora incerto

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Chiara Giannini, corrispondente di guerra per Il Giornale, ha scritto numerosi reportage, tra cui su Afghanistan e Tunisia. In questi giorni sta girando per l’Italia per presentare il suo ultimo libro “Come la sabbia di Herat”, un bel reportage sull’Afghanistan, ma anche una raccolta di memorie, di pensieri e di storie.

GRAZIANO DAVOLI: Sappiamo che i talebani hanno avuto diversi finanziatori a livello internazionale, chi sono?
CHIARA GIANNINI: Le forze di sicurezza e di polizia afghane dicono che dietro i talebani ci sarebbero, soprattutto, Russia, Cina e Iran.

GD: Come si collocano, attualmente, i talebani nell’attuale scenario mediorientale?
CG: I talebani sono stati molto potenti in Afghanistan per diverso tempo. Ultimamente, hanno mostrato una volontà di legalizzarsi e lo hanno dimostrato sedendosi al tavolo delle trattative in occasione della conferenza di Mosca. Forse hanno capito che la strada del terrorismo non è la migliore per prevalere. Potrebbero aver capito che il dialogo potrebbe portare a risultati migliori.

GD: I talebani hanno avuto un periodo di egemonia totale in Afghanistan, dal 1996 al 2001, che regime è stato il loro?
CG: È stato un regime di buio totale. Negli anni ’60 le donne, in Afghanistan, passeggiavano per la strada senza velo, in minigonna e con i capelli sciolti. Durante il regime dei talebani le donne erano segregate come schiave, costrette a mettere il burqa senza opporsi. L’arrivo della coalizione internazionale ha portato ad un periodo di grandi scontri con molti morti, gli Stati Uniti hanno pagato un costo molto gravoso in termini di vite umane. La vittoria della coalizione internazionale ha sicuramente portato a una maggiore serenità. Il 2001 ha anche fatto conoscere al mondo il terrorismo internazionale di matrice islamica, come minaccia incombente da combattere con ogni mezzo.

GD: Parlando di terrorismo internazionale, in questo contesto storico e geografico come muove i suoi primi passi Al Qaida?
CG: Al Qaida muove i suoi primi passi cercando di terrorizzare il più possibile, sia in Afghanistan sia fuori. Sinceramente credo molto poco alle tesi complottiste che parlano di questa organizzazione come prodotto degli Stati Uniti. Quello di Al Qaida è un controllo sull’area che nasce facendo leva sull’estremismo e il fondamentalismo religioso presente in numerosi settori della popolazione. Ma per rendersi conto di questo, basta vedere i video dei suicider dei talebani che si fanno esplodere contro i mezzi della coalizione internazionale: credono che immolandosi per Allah sia garantito loro l’accesso al paradiso.

GD: In questo contesto, la frammentazione etnica che contraddistingue l’Afghanistan ha avuto un peso importante
CG: Certamente. La frammentazione in diverse tribù non aiuta. Perché se su un fronte vi sono certamente tribù disposte a combattere i talebani, dall’altro vi sono tribù che sono impaurite o conniventi con loro. I talebani hanno spesso convinto a collaborare con loro alcune fasce della popolazione afghana con il metodo del do ut des, offrendo aiuto: tu mi indichi la posizione dove posso trovare il mezzo americano o italiano e io aiuto tuo figlio o la tua famiglia.

GD: Cosa puoi dirmi circa l’equipaggiamento militare dei talebani?
CG: I talebani hanno sempre avuto ottimi equipaggiamenti altrimenti non avrebbero potuto compiere attentati così gravi. In realtà essi sono anche in grado di creare ordigni esplosivi rudimentali. Basta una lattina di Coca-Cola o materiali di fortuna con un po’di esplosivo, non servono per forze tecnologie avanzate. Le armi le acquistano spesso dal mercato nero. Hanno armi molto sofisticate, come i night vision e questo lo sappiamo dalle forze di sicurezza afghane.

GD: Trump, oltre che dalla Siria, ha manifestato l’intenzione di ritirare le truppe americane anche dall’Afghanistan. Questo ha destato la preoccupazione di molti congressmen, anche repubblicani. Sono preoccupazioni fondate o ha ragione Trump?
CG: Per come ho imparato a conoscere l’Afghanistan, sono convinta che se gli Stati Uniti dovessero abbandonare il Paese, questo ricadrebbe nel caos e nell’instabilità. La popolazione adesso è tranquilla grazie alle missioni dei Paesi occidentali e della coalizione internazionale. La coalizione internazionale ha istruito le forze regolari afghane, ha insegnato delle tecniche di difesa e di intelligence più avanzate. Quindi se gli Stati Uniti dovessero ritirare i propri soldati dall’area tornerebbe il caos. La decisione di Trump, tuttavia, è comprensibile: gli Stati Uniti in Afghanistan hanno pagato un prezzo veramente alto in termini di vite umane. Le operazioni militari in Afghanistan sono comunque molto costose e forse Trump è anche interessato a investire in altri settori, come il muro al confine con il Messico, o magari vuole indirizzare i propri sforzi bellici verso altri teatri, come ad esempio l’Iran. Giustamente il ministro della difesa Elisabetta Trenta ha dichiarato che anche l’Italia ridimensionerà la portata dei propri contingenti e ascolterà gli alleati sul da farsi, ma dovrà decidere sempre e comunque in base alle proprie esigenze.

GD: L’ultima domanda è invece sul tuo libro, come nasce e da quale idea ha origine?
CG: L’idea del libro è nata quando sono venuta in contatto con la mamma di David Tobini, uno dei caduti, morto in Afghanistan nel 2011. Parlando con questa donna, mi sono accorta di come le famiglie dei caduti siano spesso abbandonate, non tanto dallo stato ma dall’opinione pubblica. Si parla di loro un mese, al massimo un anno, e poi ci si dimentica. Bisogna tenere vivo il ricordo di questi eroi, anche se un uomo muore non per una pallottola ma di infarto in Afghanistan è comunque un eroe che è andato lì a lavorare per il suo Paese. Non solo, ho voluto raccontare anche la storia della mia vita, una vita molto intensa. Ho sofferto molto, ho sofferto di bulimia, mi sono ammalata di cancro, tutto questo nel libro è scritto. Un libro che nasce per dimostrare come, anche nei problemi peggiori, ci si possa rialzare e si possa ripartire.

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