Urne funerarie a migliaia, 45 mila, nella sola Wuhan e parenti in fila per ore. Intanto, frontiere sigillate e giornalisti allontanati: per prevenire casi “importati” dall’estero, o è in atto un secondo insabbiamento?
Ogni giorno emergono nuovi elementi di fatto che inducono a pensare che il regime comunista cinese abbia falsificato i numeri dei contagiati e dei morti per coronavirus. È ripresa oggi da alcune delle principali testate internazionali la notizia delle lunghe code fuori dagli obitori della città di Wuhan per la consegna delle urne funerarie con le ceneri delle vittime dell’epidemia. Equipaggiati di mascherine, i familiari attendono per ore il loro turno per rientrare in possesso dei resti dei loro cari, cremati dopo il decesso nei lunghi giorni della crisi sanitaria nell’Hubei senza la possibilità di celebrare le rispettive cerimonie funebri.
Secondo fonti locali, citate dal quotidiano online Caixin Global, nel mese di febbraio i forni crematori della zona erano attivi 19 ore al giorno per smaltire la mole di cadaveri che arrivavano per l’incinerazione. In base a quanto riportato dal sito AsiaNews, a Wuhan la distribuzione delle urne sta avvenendo in sette sale funerarie, ognuna delle quali smaltirebbe 500 unità al giorno. Ipotizzando che tutte lavorino allo stesso ritmo, il calcolo finale darebbe una cifra di circa 45.000 morti. Anche non volendo attribuire tutti i decessi al virus, è chiaro che si tratterebbe di un numero ben distante dai 3298 morti ufficialmente dichiarati dalle autorità cinesi. In questi giorni i camion starebbero scaricando continuamente urne vuote davanti ai centri deputati alla distribuzione. Questo dato si aggiunge agli altri che Atlantico Quotidiano ha già analizzato in un precedente articolo e contribuisce a dipingere un quadro piuttosto inquietante della situazione reale nella zona più colpita del Paese. Oltre al mancato computo degli asintomatici che sarebbero isolati in casa senza essere inclusi nelle statistiche ufficiali, continuerebbero i ricoveri negli ospedali di pazienti con sintomi compatibili con l’infezione. Il Financial Times riporta oggi le dichiarazioni del dottor Cao Jingchao, di stanza al Wuhan West Union Hospital, secondo cui sarebbero in corso spostamenti di malati da un ospedale all’altro della città: ufficialmente si tratterebbe di infettati già registrati ma in realtà molti di questi sarebbero nuovi casi che non si verrebbero dichiarati come tali. Si sta parlando di centinaia di nuovi contagiati solo negli ultimi giorni, mentre il governo insiste sulla crescita zero e sul controllo totale dell’epidemia. L’8 aprile è prevista la riapertura delle comunicazioni con Wuhan e la ripresa di gran parte delle attività produttive.
Il nuovo mantra delle autorità è che ogni nuovo caso proviene dall’esterno del Paese e quindi la prevenzione deve concentrarsi sui casi “importati“. Da qui le drastiche misure decise dal governo sui voli in entrata e sul divieto di ingresso in Cina degli stranieri. È di ieri il comunicato della Civil Aviation Administration of China che prevede una riduzione del 90 per cento del traffico aereo internazionale in arrivo: le compagnie aeree cinesi saranno autorizzate a mantenere per ogni Paese una sola rotta settimanale. Inoltre, il Ministero degli esteri di Pechino ha stabilito che agli stranieri in possesso di visto valido o di permesso di residenza sarà temporaneamente vietata l’entrata in Cina. Una misura tanto più sorprendente in quanto adottata proprio nel momento in cui si dichiara controllata l’infezione e in contraddizione con le proteste cinesi che accompagnarono analoghi provvedimenti da parte di altri stati all’inizio del contagio. Se la Cina chiude le frontiere, allontana i giornalisti scomodi e fa sparire le poche voci indipendenti al suo interno, non resta che affidarsi ai pochi segnali che attraversano le maglie della censura per disegnare un quadro meno propagandistico e più realistico della tragedia che il mondo sta vivendo. Siamo evidentemente di fronte a un secondo insabbiamento: dopo quello iniziale sull’esistenza e la propagazione del virus, quello sulle conseguenze reali del suo passaggio.