Il lungo tramonto della Merkel e la balcanizzazione del Parlamento europeo
Almeno una cosa è certa dopo la conferma per il rotto della cuffia di Ursula von der Leyen come presidente della Commissione europea: non è vero che non è cambiato niente con le elezioni del 26 maggio scorso, come più di un commentatore e inviato ha invece continuato a sostenere prima, durante e dopo – e fino a qualche ora prima del voto di ieri a Straburgo, prevedendo addirittura per Ursula una larga maggioranza di 431 voti. E non è vero che hanno stravinto PPE, SD e liberal-macroniani solo perché, sulla carta (molto sulla carta, come abbiamo visto), la somma dei loro eurodeputati fa 444, un numero che avrebbe dovuto garantire alla von der Leyen una facile incoronazione.
Come è potuto accadere, allora, che ha raccolto 383 voti, solo 9 in più della maggioranza richiesta di 374? Se si considerano le stampelle dei polacchi del PiS e del Movimento 5 Stelle, dai gruppi europeisti che avrebbero dovuto appoggiarla mancano circa 100 voti, ben oltre le defezioni attese alla vigilia.
È accaduto che la spallata sovranista e verde non avrà assestato il colpo decisivo – e d’altronde nessuno poteva realisticamente aspettarsi un ribaltone al Parlamento europeo – ma tanto è bastato a rompere il giocattolo, a far esplodere le contraddizioni nel delicato equilibrio di ingranaggi che governava fino a ieri stabilmente le istituzioni europee.
Paradossi e contraddizioni sono letteralmente eruttati in pratica lungo tutto l’emiciclo di Strasburgo, tranne che nei gruppi usciti davvero vincitori dalle europee – verdi e sovranisti – rimasti coerenti sulle loro posizioni. Sotto pressione per la crisi di consensi, sia socialisti che popolari sono implosi, le tradizionali famiglie politiche che hanno fino ad oggi governato l’Ue appaiono frammentate e il Parlamento balcanizzato. Forse per la prima volta, i palazzi comunitari di Bruxelles e Strasburgo conosceranno una instabilità politica “all’italiana”.
Complici il fatale indebolimento della Merkel, ormai una leadership al tramonto, e le mosse spregiudicate di un Macron che suscita più irritazione di quanto riesca ad aggregare, non è stata trovata la “quadra”, una sintesi, una nuova formula in grado di tenere insieme, come in passato, sia gli equilibri tra i gruppi politici in Parlamento che gli interessi dei governi. La striminzita maggioranza raccolta dalla presidente von der Leyen mostra quanto la sua candidatura sia stata un ripiego, una toppa dell’ultimo minuto dopo che Gruppo di Visegrad e Italia avevano affossato il pacchetto preconfezionato da Parigi e Berlino che vedeva Timmermans a capo della Commissione.
Certo, qualcuno avrà ancora la faccia tosta di scrivere e raccontare che hanno vinto gli europeisti, che una federalista convinta è comunque presidente, che i leghisti brutti e cattivi sono isolati, ma la von der Leyen parte da anatra zoppa, si ritrova con una maggioranza risicata, traballante, precaria. Una “maggioranza Frankenstein”, l’ha definita Daniele Capezzone, che “va da Macron a Giarrusso, da Kaczynski a Sassoli” ed è appesa ai voti, e agli umori, di grillini e destra polacca.
È saltato lo schema europeisti vs sovranisti che banalmente aveva caratterizzato la narrazione elettorale dei mainstream media e il retroscenismo sulle trattative per i top jobs. Europeisti come socialisti, verdi e forse anche qualche libdem, non hanno votato o hanno votato contro la von der Leyen, mentre nazionalisti come Orban e Kaczynski l’hanno sostenuta, determinando uno spostamento a destra della maggioranza, pur variegata e mobile, che sostiene la neo presidente. Facile prevedere che nelle prossime settimane, a partire dal processo di conferma dei nuovi commissari, assisteremo a ulteriori tensioni e rimescolamenti.
Guardando all’Italia, la contraddizione è deflagrata nella maggioranza di governo, con la Lega che ha votato contro la von der Leyen e il Movimento 5 Stelle che l’ha appoggiata, insieme a Pd e Forza Italia. E a Macron: acqua passata evidentemente il flirt con i gilet gialli e la polemica sul franco coloniale. I 5Stelle si confermano capaci delle più imprevedibili contorsioni. Se è tutto da verificare l’impatto sul proprio elettorato di una scelta che appare dettata dal premier Conte, per dimostrare al Quirinale e a Berlino la conversione di un movimento diventato “adulto”, qualcuno già intravede in questa inedita convergenza con Pd e FI le prove di una possibile coalizione di “responsabili” nel caso in cui il contratto con la Lega venisse rescisso anzitempo. Alla luce del voto di ieri, la scelta del commissario italiano si fa materia ancora più incandescente e potrebbe diventare il casus belli.