Venezuela, Trump con Guaidò fa infuriare Putin, mentre l’Ue resta nel guado

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Da quando la situazione in Venezuela è gravemente precipitata in una spirale di miseria e violenza, ciò che stupisce dei commenti, delle dichiarazioni e delle analisi che si ascoltano e si leggono qui in Italia ma non solo, è lo stupore, come se ci trovassimo di fronte a un fenomeno politico nuovo, di cui scopriamo solo oggi gli effetti catastrofici. Si fa ricorso ancora in queste ore ad ogni genere di acrobazie semantiche, dallo chavismo al “modello venezuelano”, fino al bizzarro termine di nuovo conio “democrature”, per evitare di riconoscere esplicitamente che la tragedia venezuelana ha un riferimento politico ed ideologico ben preciso, vecchio e stranoto: si chiama socialismo.

Ma il fatto nuovo, la notizia delle ultime ore che può diventare un “game changer”, o almeno un elemento di chiarezza, è la decisione del presidente americano Donald Trump di riconoscere formalmente Guaidò come legittimo presidente ad interim del Venezuela. Guaidò non si è “autoproclamato presidente” da leader dell’opposizione, ma ha semplicemente “giurato” come tale da presidente dell’Assemblea Nazionale, per effetto di un articolo della Costituzione venezuelana che prevede, quando la presidenza della Repubblica sia vacante (e lo è da quando l’ultima elezione di Maduro è stata dichiarata illegittima), che sia il presidente dell’Assemblea Nazionale ad assumere i poteri di presidente ad interim per convocare nuove elezioni.

Dopo pochi minuti dal giuramento è arrivato il riconoscimento ufficiale della Casa Bianca, poi del Canada, del Brasile di Bolsonaro e di quasi tutti gli stati sudamericani (tranne Cuba, Bolivia e Messico), nonché dell’Organizzazione degli Stati americani.

A sostegno di Maduro, denunciando le ingerenze statunitensi negli affari interni venezuelani, si sono invece prononunciati Russia, Cina, Iran e Turchia, mentre l’Unione europea dopo qualche ora di silenzio si è espressa per il ripristino della democrazia nel Paese tramite nuove elezioni, ma senza riconoscere ufficialmente l’autorità di Guaidò.

Con la sua mossa Trump non solo torna alla dottrina Monroe-Roosevelt (Theodore), dimenticata negli anni di Obama e di Bush jr, ma sfida apertamente gli interessi soprattutto russi, cinesi e iraniani, che hanno nel regime di Maduro una testa di ponte nel giardino di casa del loro principale rivale. Il traffico di droga con cui si finanzia Hezbollah passa anche per Caracas, come emerse da un’indagine della DEA fatta chiudere da Obama per non compromettere l’accordo sul programma nucleare di Teheran.

La mossa inoltre fa emergere con chiarezza lo scenario di cui abbiamo parlato più volte su Atlantico, sia online che cartaceo. Quello di una sfida aperta alla democrazia liberale posta da un asse di potenze, guidate da Cina e Russia, che promuovono un modello politico ed economico autoritario – i soli Paesi guarda caso che si sono subito schierati a difesa di Maduro, contro gli Usa. Al contrario di Obama, l’amministrazione Trump sembra avere ben presente tale minaccia all’ordine liberale e sembra intenzionata a contrastarla.

Nella crisi venezuelana, dove oltre agli interessi sono in gioco principi fondamentali come democrazia e diritti umani, gli schieramenti si sono manifestati secondo uno schema ideologico che ricorda quello semplice della Guerra Fredda: l’America di Trump da una parte, Russia e Cina dall’altra (con Iran e la new entry Turchia, sempre più distante dai valori dell’Alleanza atlantica, di cui fa ancora parte). Fino ad ora l’Unione europea, con la sua risposta, ha purtroppo confermato il rischio che abbiamo paventato di una tendenza in atto verso una sua pericolosa equidistanza tra Washington da una parte e Pechino e Mosca dall’altra, di un progressivo distacco dall’ormeggio transatlantico nell’illusione di poter “fare da sola”, una sorta di autonomia strategica che rischia di fare il gioco delle ambizioni delle potenze autoritarie a ridisegnare a loro vantaggio l’ordine mondiale.

La questione stavolta era particolarmente delicata. L’atto rispetto al quale posizionarsi era, ed è, il riconoscimento ufficiale di Guaidò da parte della Casa Bianca: insomma, o Guaidò, o Maduro. Tertium non datur. O di qua o di là. Non basta una presa di posizione a favore della democrazia e una generica solidarietà al popolo venezuelano. Ci mancava solo che dall’Ue non arrivasse nemmeno questo “minimo sindacale”… Troppo facile, scontato. No, stavolta sul tavolo c’era un atto politico-diplomatico ufficiale, da compiere o meno.

Ecco perché il passo di Trump ha spiazzato l’Europa, mettendo in imbarazzo non solo quei governi (quelli di Italia, Spagna e Grecia, per esempio) sostenuti da forze politiche che da anni flirtano con l’esperimento venezuelano e con il putinismo, ma anche quei molti in difficoltà con l’idea di schierarsi con Trump (e Bolsonaro), dando un dispiacere a Pechino e Mosca. Proprio perché un riconoscimento ufficiale di Guaidò avrebbe rappresentato un atto politico-diplomatico gravido di conseguenze concrete, l’Ue si è astenuta dal compiere lo stesso passo degli Stati Uniti e della stragrande maggioranza degli stati americani, limitandosi invece a schierarsi a parole a favore del “ripristino della democrazia e dello stato di diritto” in Venezuela, a sostegno dell’Assemblea Nazionale “democraticamente eletta”, chiedendo “l’avvio di un processo politico che porti a elezioni libere e credibili”, ma tutto questo senza nemmeno citare Maduro, né la nuova carica assunta da Guaidò.

Parliamo nello specifico della dichiarazione di mercoledì sera dell’Alto rappresentante Ue Mogherini. Non a suo nome, ma “a nome dei 28”, come precisato ieri dalla sua portavoce. “È la posizione dell’Ue, bisogna comprenderlo”. Confermando che l’Ue ha deciso di non riconoscere ufficialmente Guaidò come presidente pro tempore del Paese (ma “abbiamo espresso chiaramente il nostro sostegno all’Assemblea Nazionale” e “consultazioni” sono ancora in corso), così ha motivato la decisione: bisogna tenere conto del fatto che molti cittadini venezuelani hanno la doppia cittadinanza, sono cittadini anche europei, e che riconoscere Guaidò come presidente legittimo potrebbe voler dire metterli in pericolo. “Abbiamo chiarito quale tipo di futuro crediamo debba avere il Venezuela e restiamo pronti a sostenere il ripristino della democrazia e dello stato di diritto in Venezuela”, ha aggiunto. Come, in concreto?

Rubando la scena agli altri leader e parlando a nome di tutta l’Europa, non si sa in base a quale mandato, in un tweet il presidente francese Macron è andato un po’ oltre, citando l’elezione “illegittima” di Maduro. Un passo ulteriore dal presidente del Parlamento europeo Tajani (“contrariamente a Maduro, Guaidò ha legittimità democratica”), che però non ha un ruolo esecutivo. Per quanto riguarda il governo italiano, ha praticamente recitato tutte le parti in commedia, coprendo tutti i fianchi politici. Tweet filo-Maduro del sottosegretario per gli affari esteri Di Stefano (M5S), che ricorda il principio di non ingerenza; copia-incolla della posizione Ue dal premier Conte; mentre bisogna riconoscere che le parole del vicepremier Salvini sono quelle più esplicite, più vicine a Trump e più distanti da Putin.

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