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Venezuelagate grillino, retroscena e personaggi. Ecco da dove viene il siluro ai 5 Stelle

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Un’intera prima pagina, la foto di un documento ufficiale attribuito al governo venezuelano, un titolo che non lascia spazio a intepretazioni: “Il chavismo finanzió il Movimento 5 Stelle”. È lo scoop del giornale della destra spagnola ABC, piombato sulla politica italiana un lunedì mattina di giugno. Non proprio un fulmine a ciel sereno, se si considera che le affinità ideologiche e le dimostrazioni di appoggio dei grillini nei confronti del regime social-comunista di Maduro sono state frequenti nel corso degli anni: dai convegni organizzati da Di Battista dove si inneggiava al chavismo “contro il capitalismo e l’impero”, ai pellegrinaggi dei rappresentanti del movimento (tra cui il sottosegretario agli esteri Manlio Di Stefano) a Caracas, fino al mancato riconoscimento di Guaidò come legittimo presidente ad interim del Paese, in rottura con la Lega di Salvini in quel momento alleata di governo. Insomma, le premesse politiche per attribuire credibilità all’informazione di ABC ci sono tutte. Certo, se venisse confermata l’autenticità di quel documento, saremmo di fronte a un salto di qualità in grado di far traballare le fondamenta se non dell’Esecutivo guidato da Giuseppe Conte, almeno del dicastero degli Esteri occupato da Luigi Di Maio.

Il documento pubblicato dal quotidiano spagnolo risale al luglio 2010 e contiene un’informativa interna al servizio segreto militare venezuelano, in cui si specifica che la “valigetta inviata al console della Repubblica Bolivariana a Milano” conteneva “3,5 milioni di euro in contanti”, e che il loro destinatario era “un cittadino italiano di nome Gianroberto Casaleggio”. L’invio era stato avallato e autorizzato dall’allora ministro degli esteri Nicolás Maduro e la quantità di denaro era stata prelevata da fondi riservati amministrati da Tarek el Aissami, titolare degli interni all’epoca dei fatti, per appoggiare “un movimento di sinistra rivoluzionario e anticapitalista” in Italia. Il testo si conclude riferendo delle “istruzioni date al nostro funzionario in Italia a non continuare a dare informazioni sull’affare”, al fine di evitare incidenti diplomatici tra i due Paesi. Insomma, nero su bianco, un finanziamento illecito di un Paese straniero a un partito italiano agli inizi della sua folgorante ascesa politica. ABC non cita ovviamente la sua fonte e non spiega nemmeno come sia entrato in possesso del documento. L’informazione è stata immediatamente qualificata come “falsa” sia da fonti governative venezuelane che da Davide Casaleggio, figlio di Gianroberto deceduto nel 2016, che ha minacciato querele. E alcuni dubbi sono emersi nelle ultime ore: il timbro, raffigurante un simbolo un po’ datato, pre-riforma del 2006, sarebbe la prova del falso.

La storia dei finanziamenti del regime chavista a forze politiche di stati esteri per esportare i principi della “rivoluzione bolivariana” è lunga e tristemente nota: dai rapporti più che amichevoli con esponenti di primo piano di Podemos in Spagna (si parla di pagamenti al partito di Iglesias per un totale di 7 milioni di dollari, veicolati in parte tramite fondazioni in parte attraverso le frequenze dell’emittente iraniana HispanTv), alla penetrazione del chavismo in Bolivia, Ecuador, Nicaragua e Argentina, dove Cristina Fernández Kirchner è ancora sotto inchiesta per i presunti finanziamenti ricevuti da Caracas in occasione della campagna elettorale del 2007 che l’avrebbe portata alla presidenza. Quindi, il versamento al Movimento 5 Stelle non dovrebbe destare alcuna sorpresa, non sarebbe un unicum, ma coerente con una pratica consolidata del regime di Caracas.

Ma per comprendere le ramificazioni che lo scoop di ABC lascia solo intravedere, e cercare di risalire all’origine del leak, a chi possa aver passato il documento alla testata spagnola, vale la pena soffermarsi sui personaggi coinvolti e sulla natura del narco-stato chavista.

Il primo nome, forse decisivo, che balza agli occhi nella possibile trama svelata da ABC, è quello di Hugo Carvajal, detto “il pollo“, che nel luglio 2010 si trovava precisamente al vertice dell’intelligence militare di Hugo Chávez. In pratica, l’informazione sui 3,5 milioni a Casaleggio era diretta a lui. Come già riportato su Atlantico Quotidiano, Carvajal fu arrestato nell’aprile del 2019 dalla polizia spagnola su richiesta degli Stati Uniti, con le accuse di traffico di stupefacenti e riciclaggio, come molti esponenti del regime, e per il suo sostegno alle Farc colombiane. L’Audiencia Nacional si pronunciò a favore dell’estradizione solo sette mesi dopo: nel frattempo Carvajal, rilasciato in via provvisoria, era già scappato. Attualmente nessuno sa dove si trovi, almeno ufficialmente: in realtà alcune fonti indicano che l’ex generale stia trattando le condizioni della sua estradizione attraverso i servizi segreti spagnoli direttamente con le autorità americane. Al momento del suo arresto il senatore repubblicano Marco Rubio, uno degli artefici della strategia della Casa Bianca sul Venezuela, dichiarò: “Hugo Carvajal sarà presto negli Stati Uniti dove rivelerà informazioni importanti sul regime di Maduro. Una brutta giornata per la famiglia criminale madurista”. La possibilità, se non la certezza, che Carvajal possa aprire le porte degli affari illeciti del regime e svelarne l’entità e la penetrazione a livello internazionale è ad oggi uno degli incubi ricorrenti del palazzo di Miraflores (la sede della presidenza a Caracas). E in un momento di stallo come l’attuale, in cui diplomazia e opzione militare sembrano avere le polveri bagnate, questa prospettiva potrebbe rappresentare l’unica alternativa possibile per ottenere la fine del regime chavista senza tamburi di guerra.

È lecito pensare che Carvajal (o qualche ex funzionario del regime a lui vicino) sia la fonte del documento pubblicato da ABC? La presenza di Carvajal in territorio spagnolo durante mesi, il suo appoggio esplicito a Guaidò, le trattative in corso con il governo degli Stati Uniti indicano che si tratta di un’ipotesi verosimile. Potrebbero essere molti i documenti di Carvajal già nelle mani delle autorità statunitensi con le quali l’ex generale starebbe trattando.

D’altra parte, è in chiave italiana, non venezuelana, che le tempistiche della rivelazione appaiono piuttosto significative: un governo in piena sindrome cinese, con il “pechinese” Di Maio alla Farnesina, un Movimento 5 Stelle in fase di smottamento interno, un alleato di governo (il Pd) in confusione sul da farsi e quindi politicamente vulnerabile. Sul piano internazionale, l’ennesima dimostrazione dell’azione di disturbo del chavismo sui tradizionali alleati Usa, da inserire nel contesto globale da nuova Guerra Fredda che si sta riproponendo sull’asse Pechino-Washington (con ricadute sui rispettivi satelliti). Dunque, sia l’opposizione venezuelana, che ha visto i 5 Stelle mettersi di traverso al riconoscimento di Guaidò da parte dell’Italia, sia Washington, sempre più insofferente per la deriva filo-cinese del governo Conte, avrebbero buoni motivi per colpire il Movimento nel suo momento di maggior debolezza e divisione interna.

Un secondo nome importante che compare nel documento è quello di Tarek el Aissami, ministro dell’interno che con i suoi fondi riservati avrebbe riempito la valigetta destinata ai grillini. Come avevamo provato a spiegare in un precedente articolo pubblicato su Atlantico Quotidiano più di un anno fa, circa il 60 per cento della droga che entra in Europa e negli Stati Uniti proviene da traffici gestiti dal territorio venezuelano. Il denaro sporco transita nella rete delle imprese statali controllate dal regime, su tutte il gigante petrolifero (PDVSA), oggi sotto il controllo proprio di el Aissami. Di origini sirio-libanesi, è un uomo di fiducia di Maduro, una sorta di factotum passato attraverso le pieghe del sistema messo in piedi da Chávez e proseguito dal suo successore: all’inizio viceministro della sicurezza, poi agli Interni e Giustizia, successivamente incaricato di rimettere ordine nel partito, infine designato al vertice dell’Industria e della Produzione, con competenze dirette sul settore petrolifero (PDVSA, appunto). Ma soprattutto, el Aissami è sulla lista nera della giustizia americana, ricercato dai servizi di immigrazione per narcotraffico e riciclaggio di denaro sporco, con una causa aperta davanti alla Corte federale di Manhattan. Dal febbraio 2017 è anche sotto sanzioni del Dipartimento del Tesoro. Perfino l’Unione europea lo ha sanzionato recentemente in qualità di alto funzionario del Sebin (il servizio segreto del regime) per reiterate “violazioni dei diritti umani”, tra cui arresti arbitrari e torture sui detenuti politici. Insomma, un pezzo da novanta del socialismo del XXI secolo.

Ma anche sulle sue connessioni mediorientali, complice l’origine della sua famiglia (il padre, un emigrante druso siriano, è stato a capo della sezione venezuelana del partito Ba’ath, quello di Saddam Hussein e Bashar al Assad), ci sono diversi dossier aperti: in cima a tutti quello che svela i legami economici e politici tra Venezuela e Iran, in una strategia congiunta che da una parte prevede la penetrazione diretta a livello commerciale e militare di Teheran in America Latina e dall’altra il finanziamento in loco di gruppi terroristici come Hamas e Hezbollah. Una relazione che continua attualmente, come dimostra tra l’altro l’arrivo di cinque navi iraniane cariche di petrolio nel porto venezuelano di El Palito, in piena crisi produttiva interna.

El Aissami è ritenuto l’anello di congiunzione tra il regime venezuelano e Hezbollah, quindi Teheran. Secondo il procuratore distrettuale di Manhattan Robert M. Morgenthau, El Aissami, quando era a capo di Onidex, l’agenzia venezuelana che gestisce il rilascio dei passaporti e le naturalizzazioni per il Ministero dell’interno, “è sospettato di aver emesso passaporti a membri di Hamas e Hezbollah”, entrambe organizzazioni terroristiche che rispondono al regime iraniano. Inoltre, riferiva Morgenthau ad una conferenza della Brookings Institution l’8 settembre 2009, “ci sono anche accuse secondo cui el Aissami e altri affiliati a Hezbollah siano responsabili del reclutamento di giovani arabi venezuelani che ora vengono addestrati nei campi di Hezbollah nel Sud del Libano”.

Accuse, sia quelle relative al narcotraffico che ai legami con Hezbollah, confermate da un dossier della stessa intelligence venezuelana citato un anno fa dal New York Times. Secondo le testimonianze raccolte nel dossier, el Aissami e il padre avrebbero fatto entrare nel Paese e addestrato militanti di Hezbollah al fine di espandere reti sia di spionaggio che di narcotraffico in America Latina.

Se, quindi, il denaro che sarebbe arrivato a Casaleggio tramite il consolato venezuelano di Milano è stato prelevato dai fondi riservati amministrati da el Aissami, non si può escludere un coinvolgimento iraniano, essendo quel tesoretto il frutto presumibilmente di attività congiunte tra i due regimi. Come abbiamo ricordato, anche nel caso del finanziamento a Podemos Teheran e Caracas hanno collaborato.

Le questioni che si aprono dopo la rivelazione di ABC sono varie. Prima di tutto è rilevante, dal punto di vista politico, che Chávez avesse identificato il Movimento 5 Stelle come un potenziale partito anti-sistema fin dal principio, quattro anni prima della nascita di Podemos in Spagna, il che indicherebbe che la strategia del chavismo ha radici lontane; in secondo luogo, andrebbe accertato se si trattò di un pagamento una tantum o se i presunti finanziamenti si siano ripetuti nel corso degli anni: in questo caso saremmo di fronte a un déjà vu alquanto rivelatore, in un paese abituato ad avere a che fare con partiti finanziati da regimi socialisti, con l’aggravante che, mentre il PCI non fu mai forza di governo in Italia, il M5S esprime il presidente del Consiglio e il ministro degli esteri; infine, e torniamo allo scenario internazionale, proprio oggi un altro quotidiano spagnolo di orientamento conservatore (El Mundo) rivela che l’ex ambasciatore di Zapatero in Venezuela, Raúl Morodo, avrebbe consegnato somme di denaro a un rappresentante della vicepresidenza venezuelana nell’ambito di un giro di pagamenti del governo di Caracas alla famiglia del diplomatico, tramite l’onnipresente compagnia petrolifera statale (PDVSA). Insomma, tutto fa pensare che qualcuno, da qualche parte, stia parlando e che a Maduro (e alle sue “colonie europee) nei prossimi giorni fischieranno le orecchie.