Il 10 settembre il neo Alto Commissario Onu per i diritti umani, Michelle Bachelet, ha annunciato l’invio in Italia di ispettori incaricati di valutare l’entità del “riferito forte incremento di atti di violenza e di razzismo contro migranti, persone di discendenza africana e Rom”. Parlando al Consiglio per i diritti umani ha inoltre criticato chi come l’Italia respinge gli stranieri e, anche lei, la politica di erigere muri di confine che “non offre soluzioni a lungo termine a nessuno, solo più ostilità, miseria, sofferenza e caos”. L’Italia “ha accolto 700.000 immigrati, molti dei quali clandestini – ha replicato il Viminale – non accettiamo lezioni da nessuno, tanto meno dall’Onu che si conferma prevenuta, inutilmente costosa e disinformata”. La Farnesina a sua volta ha risposto definendo “inappropriate, infondate e ingiuste” le accuse di “presunte inadempienze italiane in materia di rispetto dei diritti umani dei migranti”.
Il ministro dell’interno Salvini e il ministro degli affari esteri Moavero hanno tutte le ragioni di rimbeccare il Commissario Onu che accusa l’Italia di respingere gli stranieri e di violare i diritti degli emigranti. Quando gli ispettori arriveranno sarà per loro una sorpresa constatare che gran parte dei centri Cas e Sprar assicurano ai loro ospiti alloggio, vitto, abiti di buona qualità, corsi di lingua italiana, di formazione e avviamento al lavoro, attività del tempo libero, il tutto offerto gratuitamente e senza far pesare l’onere che le comunità sostengono per la generosa accoglienza.
Quanto al respingere gli stranieri, l’Italia si preoccupa talmente che neanche un profugo rischi di rimanere privo di aiuto da essere disposta a esaminare centinaia di migliaia di richieste di asilo, pur sapendo di poterne accogliere poche migliaia dal momento che quasi tutti i richiedenti sono in realtà emigranti clandestini che tentano l’ingresso illegale in Italia e si dicono profughi per non essere fermati e respinti. L’articolo 31 della Convenzione di Ginevra sui rifugiati specifica che gli stati membri (l’Italia lo è dal 1954) si impegnano a non prendere sanzioni penali a motivo della loro entrata o del loro soggiorno illegali contro “i rifugiati che giungono direttamente da un territorio in cui la loro vita o la loro libertà erano minacciate nel senso dell’articolo 1 (quello che spiega a chi si applica il termine ‘rifugiato’), per quanto si presentino senza indugio alle autorità e giustifichino con motivi validi la loro entrata o il loro soggiorno irregolari”.
Salvo pochi, tutti i richiedenti asilo in Italia prima di arrivare nel nostro Paese hanno attraversato almeno uno stato firmatario della Convenzione e lì avrebbero dovuto mettersi in contatto senza indugio con le autorità locali e spiegare la loro situazione allo scopo di ottenere lo status giuridico di rifugiato, come fa in effetti la quasi totalità dei profughi che espatriano, di solito potendo contare sull’aiuto del personale dell’Unhcr (acronimo inglese dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati), che tra i suoi compiti ha quello di identificare i profughi, registrarli e fornire loro assistenza legale. Dunque, l’Italia potrebbe rifiutare la maggior parte delle richieste di asilo. Tuttavia, la preoccupazione di non lasciare indietro nessuno che davvero abbia bisogno di aiuto è tale da far sì che non tenga conto di quanto dispone la Convenzione di Ginevra.
Per la stessa ragione i richiedenti che si vedono negato lo status di rifugiato a un primo esame possono presentare ricorso, fruendo di gratuito patrocinio e potendo soggiornare nella struttura di accoglienza assegnata fino alla sentenza della Cassazione.
Inoltre, tanto è importante per l’Italia garantire sicurezza a chi si dice minacciato in patria che, nel dubbio, anche quando i racconti sono incoerenti, contraddittori, poco credibili, si preferisce concedere a molti, che non sono profughi, di restare in territorio nazionale, nonostante l’ingresso illegale. Circa un terzo dei richiedenti asilo ricevono protezione sussidiaria o permessi di soggiorno per motivi umanitari che consentono loro di vivere in Italia: per cinque anni rinnovabili, nel primo caso, e fino a due anni rinnovabili, nel secondo.
Nel dubbio, è il caso di dirlo. Il dubbio, ad esempio, che davvero una ragazza sia partita clandestinamente dal suo paese, come dice, perché il nonno, dopo aver ucciso suo padre per via di un debito, pretendeva che fosse lei a restituirglielo; o che davvero meriti protezione un ragazzo scappato dal suo paese dopo aver incendiato per errore un allevamento di polli uccidendo tre persone. Eppure entrambi, insieme ad altre centinaia di migliaia di persone, hanno ottenuto il permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Ma l’Italia non si limita a questo. L’Alto commissario Bachelet dovrebbe saperlo. Di sicuro lo sa un suo collega, l’Alto commissario per i rifugiati Filippo Grandi. Al nostro Paese la sorte di chi fugge per salvarsi da guerre e persecuzioni sta così a cuore che, insieme ad altri paesi europei, all’Unione europea e agli Stati Uniti, fornisce l’87 per cento dei capitali assegnati all’Unhcr: 7,7 miliardi di dollari nel 2017, per soccorrere 60 milioni di profughi, 40 milioni sfollati e 20 milioni rifugiati.