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Verso una secessione monetaria? Analisi e possibili conseguenze della sentenza “sovversiva” di Karlsruhe

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“Fakt ist: die EU ist ein Staatenverbund un kein Bundesstaat”
“Il fatto è: l’Ue è una lega di Stati, non uno Stato federale”
Alexander Dobrindt, 13 maggio 2020

Il non-dialogo Merkel-Lagarde e il complicato dibattito in Germania su una sentenza che rischia di trasformare una disputa sul mandato della banca centrale in una crisi istituzionale Ue senza precedenti. C’è chi coltiva soluzioni immaginarie, mentre a Berlino si pensa solo alla resa incondizionata altrui e la Bce francese vuole resistere: una moneta unica, ma non troppo…

Bce nel mirino – La sentenza di Karlsruhe ha provocato ondate di reazioni. Una tesi popolare è che non avesse di mira la Bce, bensì la Corte Europea di Lussemburgo: “Una dichiarazione di guerra alla Corte Europea, con l’invito ad altri tribunali nazionali a fare lo stesso”; la posta in gioco sarebbe esclusivamente la pretesa prevalenza della Corte costituzionale nazionale. Tale interpretazione fatica, però, a spiegare perché, per dichiarare guerra, i giudici tedeschi abbiano scelto proprio l’occasione di un procedimento che coinvolge la Bce e non uno degli altri procedimenti aperti nei quali è in gioco l’identico principio. Per acquisire visibilità – risponde il giurista Franz Mayer – ovvero per una impuntatura personale. Eppure, aver scelto proprio questo procedimento, presenta il doppio svantaggio evidente di esporsi ad un conflitto giudiziario su due fronti.

La dichiarazione che “le azioni di Bce sono ultra vires”, tiranniche, costituisce il cuore della parte dispositiva della sentenza. Solo conseguentemente ad essa, al governo, al parlamento ed alla banca centrale tedeschi viene comandata l’insubordinazione, “a meno che il Consiglio direttivo della Bce non adotti una nuova deliberazione che dimostri in modo comprensibile e comprovato che gli obiettivi di politica monetaria perseguiti dalla Bce non sono sproporzionati rispetto agli effetti di politica economica e fiscale risultanti dal programma”. Bce, insomma, è insieme causa e soluzione dell’intera sentenza.

La Corte Europea è solo un ostacolo procedurale, che viene bruscamente rimosso.

Un iter sconosciuto – Il papello richiesto ha tre caratteristiche formali, deve essere: 1) una “deliberazione”, non vale un paper non ratificato, né vale la discussione pubblica nell’ambito della “revisione strategica”; 2) “nuova”, non vale un vecchio protocollo; 3) del “Consiglio direttivo della Bce”, non vale se dell’ufficio studi, della Ue, della sola Bundesbank. Se anche una qualsiasi di queste tre caratteristiche mancasse, governo-parlamento-banca centrale tedeschi non avrebbero altra scelta che obbedire all’ordine di insubordinazione. Il papello richiesto ha pure una caratteristica sostanziale: deve dimostrare “in modo comprensibile e comprovato che gli obiettivi di politica monetaria perseguiti dalla Bce non sono sproporzionati rispetto agli effetti di politica economica e fiscale risultanti dal programma”, in gergo deve dare una dimostrazione di proporzionalità.

Se nessun papello dovesse giungere, il governo ed il parlamento tedeschi dovrebbe sempre fare qualcosa, nessuno sa che cosa, per mostrare alla Corte di aver ottemperato al proprio nuovo obbligo di vigilanza. Quand’anche il papello dovesse mai giungere (magari Bundesbank potrebbe “liberamente” firmarlo per poi chiederne essa stessa la ratifica al Consiglio direttivo di Bce), non è chiaro chi dovrebbe giudicarlo. Ma pare che gli uffici del Bundestag abbiano assegnato tale potere allo stesso Parlamento.

Insomma, i casi sono tre: 1) Bce non invia alcuna nuova deliberazione; 2) Bce la invia ed il Bundestag la approva; 3) Bce la invia ma il Bundestag la boccia. Solo a seguito del compimento di un atto formale, seguito da un giudizio politico favorevole, le azioni di Bce cesserebbero di essere tiranniche. Solo in tal caso, le decisioni di Bce verrebbero applicate dalla Germania.

Cosa accada nel frattempo, non è chiaro. Il termine di tre mesi è concesso al governo e parlamento tedeschi “per permettere il necessario coordinamento con la Bce”. Governo e parlamento tedeschi hanno “un obbligo specifico ad agire”, ma la modalità è descritta nel modo più indeterminato possibile, cito: “Darsi da fare attivamente – compiere passi adeguati – darsi da fare – rendere chiara la propria posizione giuridica a Bce o preoccuparsi in altri modi”. Tale indeterminatezza appare spettacolare ma non casuale, in quanto attribuibile al desiderio del Giudice costituzionale di non scoprirsi platealmente di fronte al divieto che il Trattato europeo fa ai governi degli Stati membri ed a “qualsiasi altro organismo” di dare istruzioni alle proprie banche centrali o alla Bce. Che tale confusione sia voluta, lo dimostra il richiamo della Corte ad un obbligo della Bundesbank ad informare il governo “a richiesta”, sancito da un articolo della legge omonima poi trasferito a Bce da un articolo della legge fondamentale tedesca, in flagrante contraddizione con l’articolo del Trattato testé richiamato ed in palese violazione di un secondo articolo del Trattato, che obbliga la Germania a rendere “la propria legislazione nazionale (dunque pure la legge sulla Bundesbank) compatibile con i trattati”; il che rende il richiamo della Corte a Bundesbank manifestamente invalido.

In tal modo, tuttavia, la patata bollente è passata al Bundestag dove, infatti, in materia regna il caos: i deputati apertamente si chiedono “come unire l’obbligo ad adoperarci con l’indipendenza della Bce e della Bundesbank?” e pensano di convocare una audizione generale di “esperti”. Sicché, gli uffici del Parlamento avrebbero iniziato una consultazione col Ministero delle finanze la quale, però, sembra essersi inabissata: “Agiremo il più subliminalmente possibile”, hanno fatto sapere.

Merkel – In pubblico, il portavoce del governo definisce la sentenza “ampia e complessa”. Alla Commissione Finanze il governo ha reso una informativa nella quale ha confermato che non mette in discussione la sentenza, suscitando il giubilo del partito di destra, la AfD. A microfoni spenti, Scholz fa sapere che, in ogni caso, “deve essere evitato uno scontro con la Corte costituzionale federale”. Concetto confermato ai vertici del proprio partito da Merkel, “la sentenza ha un grande significato”, avrebbe detto, per poi aggiungere di star chiedendo a Bce di produrre la pretesa “nuova deliberazione”, cioè di sottomettersi senza tante storie. Come pure la incoraggiano maliziosamente Schäuble e la Frankfurter Allgemeine Zeitung (FAZ).

Al Bundestag, la cancelliera ha scandito: “io accetto la sentenza”, ha ammesso l’esistenza di un conflitto: “Ogni volta che la domanda è: quale competenza esattamente uno Stato membro ha dato alla Ue, può sorgere una domanda circa i margini della interpretazione di questa competenza”, conflitto che lei intende affrontare “con una chiara bussola politica… Noi daremo il nostro contributo acciocché possa continuare a esistere un euro forte”, nonché sfruttando “le possibilità aperte dalla Corte costituzionale federale per fare il conflitto più piccolo”. Di nuovo, una richiesta di sottomissione. Accompagnata da una generica carota: “vi è un incentivo a fare di più nella politica economica per promuovere l’integrazione”.

Merkel avrebbe pure ricevuto Lagarde in Cancelleria, privatamente a quattr’occhi. Una volta richiamata l’antica “amicizia”, avrebbe esposto l’idea tedesca che Karlsruhe obbligava non solo il governo ed il parlamento tedeschi ma pure Bce, quindi avanzato il suggerimento che Lagarde accettasse una lettera scritta da uno fra Merkel (da cancelliere) e Schäuble (da presidente del Bundestag), nella quale gentilmente le si chiedeva di adempiere, per tramite di un papello che per iscritto spiegasse, cito: “che è opportuno acquistare su larga scala titoli di Stato italiani, pure quando il flusso di denaro provoca l’aumento dei prezzi degli immobili in Germania”. Lagarde, una volta premesso che l’amicizia non c’entra, si sarebbe opposta, al fine dichiarato di non creare “un precedente che danneggi l’indipendenza della banca centrale”. Merkel avrebbe replicato rammentando di quando insieme “avevano da salvare niente popò di meno che l’euro e il sistema di diritto europeo” e richiamando lo scontro sulla Grecia nel 2015: “Se la partita fosse andata a Schäuble, la Grecia avrebbe la propria valuta già da molto tempo”. Dopodiché, le due donne si sarebbero lasciate, promettendosi vagamente di trovare “altri modi per agire indirettamente”. Quali, non lo sanno nemmeno loro: “La controversia può essere risolta solo con un compromesso franco-tedesco… Berlino e Parigi devono tenersi in contatto”, è tutto ciò che sarebbero riuscite a dirsi.

Gli amici di Karlsruhe – Il riferimento ai fatti di Grecia del 2015 si spiega alla luce delle posizioni nel frattempo assunte dal candidato di Schäuble alla successione di Merkel, Friedrich Merz. Egli difende a spada tratta il buon diritto di Karlsruhe ad ordinare al governo ed al parlamento tedeschi di “riesaminare le azioni degli organi e delle istituzioni nazionali rispetto agli standard del diritto costituzionale nazionale, incluse le loro azioni all’interno delle istituzioni europee”, per poi affondare il coltello nella piaga: la sentenza “non vincola la Bce nel suo insieme, ma vincola la Bundesbank come parte del sistema della Bce”. A ruota il molto conservatore vice presidente del gruppo parlamentare CDU-CSU al Bundestag, il bavarese Alexander Dobrindt, “il fatto è: l’Ue è una lega di Stati e non uno Stato federale”, “il dettato della sentenza della Corte costituzionale federale è l’inequivocabile intimazione a Bce, di ritornare al proprio vero mandato di garantire la stabilità della nostra moneta comune. Lo approvo esplicitamente”. Senza menzionare il partito di destra AfD che, si compiace la FAZ, “ha ricevuto da Karlsruhe una leva così forte, che i suoi parlamentari non debbono nemmeno più disturbarsi ad adoperare la solita sfrenata retorica”.

E pazienza se il Trattato europeo va a catafascio. Ovviamente con riguardo alla indipendenza della banca centrale, come è ovvio a chiunque non abbia una trave nell’occhio; accessoriamente pure con riguardo all’autorità della Corte europea di giustizia, come dimostra il sùbito giubilo con il quale il governo polacco ha accolto la sentenza. Basta scorrere l’unica intervista sinora rilasciata in materia dallo stesso Schäuble: quanto alla indipendenza, egli ha sposato pienamente la linea di Karlsruhe, “le istituzioni indipendenti che non sono legittimate e controllate democraticamente devono limitarsi rigorosamente al loro mandato, la decisione della Corte costituzionale federale non è quindi facile da confutare”; quanto ai polacchi, egli li difende a spada tratta. Una conseguenza sola Schäuble prevede, “che l’esistenza dell’euro sia ora messa in discussione in altri Stati membri dell’Ue, perché ogni Corte costituzionale nazionale può giudicare da sola”. Dice che gli spiace ma, francamente, non si direbbe.

Una rivoluzione giudiziaria – La posizione della banda Schäuble è tanto più forte, in quanto appoggiata su una scuola giuridica fondata sul concetto (non stravagante) che la legittimazione democratica risiede negli Stati, non nella Ue. Concetto impersonificato dal presidente della Corte che ha emesso la nostra sentenza, Andreas Voßkuhle: uno così poco distante dalla politica, che gli venne proposta la somma carica di capo dello Stato. E pazienza se Karlsruhe non ha maggiore legittimità democratica di Bce. Il concetto di base è che qualunque rilevante esborso compiuto dalla Ue o persino da Bce comporta un impegno, diretto od indiretto, dello Stato tedesco, e che non si può impegnare patrimonialmente lo Stato tedesco, senza prima aver ottenuto il consenso del Bundestag, al caso pure con maggioranza minima dei 2/3.

Lì dove è presente una delega in bianco (come nel caso della politica monetaria), si provvede a ridurre l’ambito della delega, naturalmente senza modificare i Trattati ma per mera via interpretativa giudiziaria. Ciò è accaduto il 5 maggio, quando la Corte costituzionale tedesca ha fissato i confini fra politica monetaria e politica economica in maniera del tutto innovativa (oltre che, francamente, ridicola), così creando “una versione parallela del diritto europeo attraverso gli occhiali di Karlsruhe”. Innovativa al punto da poter essere definita rivoluzionaria, ma con la pretesa di non stare innovando, bensì restaurando l’autentico spirito del Trattato. In questo senso si può ben dire che è in corso una rivoluzione, nel senso proprio di ritorno al “buon tempo antico”, un passato immaginato che corrisponde al futuro progettato dagli ambienti politici impersonificati da Merz, Voßkuhle e Schäuble. Una rivoluzione giudiziaria.

Soluzioni immaginarie – Una volta imposta questa interpretazione, essa è divenuta per definizione legittima, in Germania. Ne segue la necessità, per gli oppositori, di guadagnare una modifica della Costituzione, che sola consentirebbe una diversa interpretazione del Trattato. Una modifica della costituzione tedesca, però, non è nemmeno possibile, in quanto la parte che andrebbe modificata è coperta da una “clausola di eternità”: per superarla sarebbe necessaria la cessazione della Legge Fondamentale tedesca, plausibilmente via referendum. E la possibilità che il popolo tedesco approvi un simile referendum è zero al quoto.

Le medesime considerazioni sbarrano la via ad una eventuale modifica del Trattato, se non immediatamente aderente al dettato della sentenza: per chiarezza essa includerebbe una procedura di risoluzione dei conflitti fra Corte europea e Corti costituzionali nazionali, al temine della quale queste ultime funzionerebbero sempre da ultima istanza. Non solo, una modifica richiederebbe pure tempi incompatibili col termine tassativo di tre mesi imposto da Karlsruhe. Vi si attardano Cohn-Bendit, Francesco Clementi, Baldassarri e Brunetta, l’ultimo addirittura giunge ad affermare che “la sentenza di Karlsruhe chiede più Europa, non meno Europa”, figurarsi…

V’è chi spera in nuovi giudici a Karlsruhe. Ma la sentenza è stata votata con una maggioranza di 7:1, il giudice contrario non ha nemanco depositato una opinione dissenziente, non v’è motivo di pensare che il Bundestag sceglierà giudici di una scuola diversa, i tempi sarebbero biblici e comunque ben superiori ai tre mesi.

V’è chi confida in una procedura di infrazione, da Bruxelles. Essa potrebbe essere azionata già ora e tanto più al rifiuto di Bundesbank a partecipare al programma di acquisto titoli. Si dipanerebbe attraverso una richiesta di informazioni e solo in ultimo sfocerebbe in una remissione alla Corte europea. Infine, la sanzione sarebbe solo pecuniaria, una multa: non avendo altro modo la Ue di costringere la Germania ad ottemperare. Solo allora “la guerre des juges aura lieu”, ma sarebbe a babbo morto. La dice lunga la risposta della Von der Leyen, con una lettera a caldo seguita da una dichiarazione più a freddo. La prima contiene una affermazione piuttosto forte (“la recente sentenza della Corte costituzionale federale solleva questioni che incidono sul nucleo della sovranità europea”), corrispondente al parere del servizio legale della Commissione (come pure, pare, dei servizi legali del Parlamento europeo e del Consiglio dei ministri dell’Unione europea) e significativamente scomparsa nella seconda. Il resto sono concetti che potrebbero essere stati scritti pure da Karlsruhe: “la politica monetaria dell’Unione è una materia di giurisdizione esclusiva”, ma non ne offre una definizione; “la Corte europea ha sempre l’ultima parola sul diritto dell’Ue”, ma se la definizione della politica monetaria è quella di Karlsruhe ciò è ininfluente; “esaminiamo le possibili fasi successive fino a una procedura di infrazione”, palla in tribuna. Sulla stessa linea i commissari Dombrowskis e Jourova. Merkel non ha poteri per ordinare alcunché alla propria Corte costituzionale, dunque si limita ad una alzata di spalle. Risponde l’estensore della sentenza di Karlsruhe: una condanna alla Corte europea “non cambierebbe il nostro giudizio”. Chiosa Lars Feld, “un conflitto costituzionale sarebbe ben più grave per l’integrazione europea” del conflitto fra le banche centrali e, in effetti, Berlino che si ritira dalla Ue sarebbe ben più grave di Bundesbank che si ritira dal QE.

V’è chi confida nella ripresa del “dialogo fra le corti”. Ma esso viene inteso in modo opposto: per Bruxelles è Karlruhe ad aver interrotto tale “dialogo” rifiutando la sentenza di Lussemburgo, per Berlino è Lussemburgo ad aver interrotto tale “dialogo” rifiutando di vidimare la ordinanza di Karlsruhe del 2017; per Lussemburgo il “dialogo” è gerarchico, per Karlsruhe dialettico. Impossibile venirne a capo.

V’è chi confida nella circostanza che il termine di tre mesi scadrà sotto la doppia presidenza tedesca (della Commissione e pure la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione europea) credendola un fattore di trattenimento; al contrario si tratta di una straordinaria occasione per inibire la altrui reazione: nel momento decisivo, Berlino avrà occupato Bruxelles, e potrà concentrarsi sull’assedio della sola Francoforte.

V’è chi confida in una dichiarazione solenne del Consiglio europeo dei capi di Stato e di Governo. Altri in una serie coordinata di pronunciamenti delle altre corti costituzionali nazionali. Altri in una sognata imprevedibilità delle conseguenze dell’uscita di Bundesbank dagli acquisti di Bce. Altri ancora in una sua sognata impraticabilità.

Un conflitto insanabile? – Nulla di tutto ciò. La proposta tedesca è: “Un dibattito su come possiamo ottenere che le istituzioni europee si attengano chiaramente alle loro competenze”, uno “sforzo per una via europea comune”. Tradotto, la preventiva rinuncia ad avviare una procedura di infrazione, a valere sia oggi su Karlsruhe, che domani su Bundesbank. Equivalente al preventivo disconoscimento, da parte della Ue, tanto della sentenza della Corte europea, quanto dell’operato di Bce. Solo a fronte di tale resa incondizionata, che la FAZ chiama “dimostrazione di buona volontà”, Berlino potrebbe graziosamente sedersi ad un tavolo. In cambio Berlino offre la carota del Recovery Fund, l’aborto concepito lo scorso mese e che verrà partorito morto l’anno che viene. E naturalmente il Mes-Sanitario, approvato giovedì dal Bundestag a larga maggioranza, ma nel pieno rispetto del vigente Trattato Mes, cioè con tutti e interi i problemi che avevamo descritto su Atlantico, in aggiunta al rischio, oggi tanto più concreto, di un nuovo intervento di Karlsruhe. In una prospettiva che la Faz serenamente descrive come “la ristrutturazione del debito dei Paesi fortemente indebitati”, aggiungono i professori Wieland e Siekmann “piani per la riduzione dei portafogli obbligazionari – il sostegno dei governi deve essere condizionato”. Prese tutte assieme, si tratta di un pacchetto di condizioni inaccettabili per le controparti: non solo le deboli Roma e Madrid, ma pure Parigi, Bruxelles, Francoforte. A tratti addirittura provocatorie: fatte per essere respinte. Il candidato alla cancelleria Norbert Röttgen e la FAZ scrivono che il conflitto non può essere risolto. Non escluderemmo lo dicano per auspicio.

Tutto ora dipende dalla capacità e dalla volontà di Bce di continuare pure senza la Bundesbank, inizialmente solo sul QE ma presto pure sul PEPP, su un suo allargamento e su quanti altri programmi seguissero. Nei giorni successivi alla sentenza, gran parte dei commentatori sembrava convinta che Bce non sarebbe andata avanti da sola, che la ribellione della Bundesbank avrebbe comportato la fine del programma per l’intero Eurosistema. Ma non pare essere così, Bce pare intenzionata ad andare avanti, in ogni caso ha recentemente superato i precedenti record settimanali di acquisto. Successivamente alla sentenza, Lagarde, Schnabel, Villeroy e Panetta hanno ribadito la “determinazione” a perseguire l’obiettivo d’inflazione, cioè a continuare a comprare. Villeroy ha scolpito: “Decisi a perseguire il mandato… Nel nostro mandato c’è anche la buona trasmissione della politica monetaria nell’insieme dell’area euro”. Soprattutto, le parole di Panetta, “la sentenza della Corte costituzionale federale tedesca è indirizzata al Governo e al Parlamento” tedeschi, non a Bce, sono state lette da Bloomberg univocamente come “il segnale più forte, sinora, che Bce non intende avere direttamente a che fare con la richiesta della Corte tedesca”. L’arma nucleare della Bce francese sarebbe un allargamento del programma PEPP, il 4 giugno (convocato non a Francoforte) o il 16 luglio: un modo per costringere definitivamente Berlino a scoprire le carte.

A Francoforte si commentava che “Karlsruhe ha fatto un classico autogol”. Ma è davvero un autogol?

Scenari – Con la sentenza, la Germania ha già recuperato parte dell’autonomia della propria politica monetaria. Cioè, il Bundestag ha già acquisito un vero e proprio “potere di veto” (pudicamente detto dalla FAZ “potere di riserva”, da Karlsruhe “giudizio di proporzionalità”) sulla partecipazione della propria Banca centrale nazionale agli acquisti di Bce: può esercitarlo o non esercitarlo. Solo, non può avviare un nuovo programma di acquisto, non ha “diritto di iniziativa monetaria”, per coniare un neologismo. Se esercitare o non esercitare il proprio nuovo potere di veto, lo deciderà in base a coordinate largamente pre-orientate dalla stessa Karlsruhe, che tale decisione ha ordinato e presso la quale essa verrà inevitabilmente impugnata. In primo luogo, la Corte stessa ha indicato i “costi” da ponderare: i bassi tassi sul debito pubblico, sui depositi a risparmio, sui regimi pensionistici, la crescita del prezzo degli immobili, la mancata chiusura di imprese non redditizie”; una richiesta apparentemente analfabeta (giacché è a ciascun noto che qualsivoglia politica monetaria non può, ma deve avere effetti su Stati-banche-risparmiatori-imprese) epperò, a bene guardare, si tratta dei sintomi innegabili e più evidenti di una condizione monetaria della Germania ben diversa da quelle della “area Euro nel suo complesso” (basti ricordare che Karlsruhe lamenta la crescita del prezzo degli immobili in un tempo in cui in Italia tali prezzi sono ad un minimo storico). Capita che sia a tutti palesemente evidente che la Germania avrebbe bisogno di una politica monetaria assai diversa da quella condotta da Bce nell’interesse dell’“area Euro nel suo complesso”; ragion per cui, la continuazione del presente è percepito, in Germania, come un sacrificio a beneficio dell’Eurozona, che un tedesco può accettare (Cohn-Bendit) o non accettare, raramente negare.

In secondo luogo, Karlruhe ha fissato dei limiti tassativi perché un programma di acquisto non sia considerato “finanziamento monetario” ed ha assegnato allo stesso Bundestag un obbligo di vigilanza. Capita che tali limiti siano ormai sistematicamente violati da Bce. In terzo luogo, se decidesse di esercitare il veto, il Bundestag avrebbe il vantaggio di poter presentare la Bundesbank come un mero gestore di portafoglio, un fondo sovrano, ciò che corrisponde alla intima comprensione che Karlsruhe ha mostrato della politica monetaria ed ha insegnato alle masse conservatrici tedesche, come una faccenda patrimoniale. In quarto luogo, al colmo della crisi economica da coronavirus, può essere convenga mostrare che i soldi “tedeschi” vengono usati solo per i tedeschi, insomma che Berlino pensa a loro e li protegge. In quinto luogo, parrebbe che i tedeschi diano ormai per scontata l’insolvenza dello Stato italiano e che vogliano mettersi a distanza di sicurezza. In sesto luogo e conseguentemente, può essere che Berlino dia la Bce ormai per persa, preda degli insaziabili latini. In settimo luogo, il “progetto dell’Euro” è sempre stato, per la Germania, il progetto di “Germanisierung”, la germanizzazione (o, più educatamente, della “nordisierung”, la nordizzazione) dell’Europa: può essere vi abbia rinunciato. Ne segue che l’esito di un eventuale giudizio al Bundestag sarebbe tutto meno che scontato. Con buona pace di Brunetta.

Parigi, col suo seguito di clienti latini, si troverebbe padrona di Bce, dunque più libera di procedere a reinflazionare la propria economia, eventualmente a monetizzare il proprio debito, senza più affannarsi per RecoveryFund-Mes-eurobond ed artifici vari di tale impossibile sorta. Ciò nota la FAZ, chiosando maliziosamente che sarebbe questo, per i latini, un buon motivo per non insistere a che Bruxelles avvii una procedura di infrazione contro Berlino. Promettendo, più o meno, che una Germania lasciata in pace lascerebbe la Bce francese in pace.

Bundesbank, al contrario, non potrebbe accettare che le restanti Banche centrali nazionali producano autonomamente effetti, le conseguenze monetarie dei quali si ripercuoterebbero comunque in Germania. Forse potrebbe accettarlo per qualche settimana, chissà per qualche mese. Ma col timer già ben innescato, come già dicemmo su Atlantico. Per ciò stesso, raccoglierebbe una “coalizione degli Unwilling” (Olanda, Austria, Slovacchia, Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo chissà, Slovenia chissà), disposta a non accettare più gli Euro creati da Bce con la maggioranza delle banche centrali che le sarà restata fedele. Cioè a limitare l’ingresso in Germania dei capitali in fuga dall’Europa latina, secondo i modi legali che abbiamo spiegato. Eventualmente regolando l’accesso, in funzione delle necessità monetarie della propria area monetaria, senza più alcun riguardo alla “area Euro nel suo complesso”.

Un unico Euro, ma senza libera circolazione dei capitali da una all’altra delle due nuove zone monetarie. La moneta unica, ma non troppo. In attesa di separare più decisamente i rispettivi destini. Ne prende serenamente atto un recente articolo di fondo della FAZ, pur pretendendo di riferirsi alla pandemia: “I confini tra i Paesi europei erano sempre presenti, anche se non venivano più controllati regolarmente. Esistono perché in Europa regnano culture diverse come diversi poteri sovrani”, “si può aprirli solo quando la situazione su entrambi i lati del confine si assomiglia e lì dove il pericolo per tutti aumenta di nuovo, deve essere nuovamente contenuto”.

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