A Bruxelles, l’11 e 12 luglio, i capi di Stato e di governo dei paesi NATO si ritroveranno per il consueto summit biennale, e dovranno affrontare alcuni delicati dossier, dal 2 per cento del Pil da spendere in difesa (un obiettivo a cui molti Paesi, Italia compreso, sono e saranno lontani) al lancio di nuove iniziative per eventualmente aumentare la deterrenza in chiave anti-russa. L’Alleanza Atlantica sarà alla prova dell’unità politica. Mentre l’Europa è divisa sulla questione della “No controlled Hyper Immigration” e le due sponde dell’oceano si allontano sul dossier commerciale, per i dazi imposti reciprocamente da Usa e Ue, la NATO dovrebbe evitare che le frizioni tra storici alleati si estendano al tema della difesa e della sicurezza. Nel frattempo, l’Italia grazie al nuovo governo, nonostante il contesto internazionale stia vivendo una fase di profonda evoluzione, ha finalmente trovato una chiara collocazione e una posizione da seguire. E’ quanto emerso dal seminario “Nato versus the new global threats”, organizzato lo scorso 16 giugno alla Camera dalla NATO Defense College Foundation, in collaborazione con il Balkan Trust for Democracy, e con il supporto della delegazione italiana all’Assemblea parlamentare della NATO.
In particolare Andrea Manciulli, presidente uscente della delegazione italiana all’Assemblea parlamentare della NATO ritiene che la politica italiana rimanga “troppo concentrata su vicende interne”, mentre è proprio all’esterno che si assiste ai maggiori cambiamenti. Se da un lato “riemerge il confronto strategico tra macro-aggregati e tra Paesi”, dall’altro assistiamo a un contesto in cui “l’infinitamente piccolo, come la minaccia ibrida, cibernetica o asimmetrica, cambia tutto, e acquista la capacità di creare danni inimmaginabili”. Parallelamente Manciulli ritiene che “l’intensità mediatica ha cambiato la percezione della minaccia rendendola più pericolosa”. Di fronte a questo invita il governo italiano frutto del consenso popolare nelle recenti elezioni a rendersi conto che “essere nella NATO non è un dettaglio, ma il cuore di una postura che i fatti rendono necessaria per il nostro Paese”.
Al contempo, concordo con Manciulli che anche l’Alleanza “sta vivendo un momento particolare di discussione sul suo ruolo e sul suo futuro”, un momento in cui deve necessariamente “costruire un soft power convincente”. In aggiunta, secondo l’esponente polacco del German Marshal found, M. Baranowski, “l’obiettivo chiave” del prossimo summit sarà “recuperare l’unità politica dell’Alleanza”. Negli ultimi mesi, infatti, sono emerse differenze tra gli alleati in una molteplicità di campi, dal clima alle politiche commerciali. Concordo con lui che il rischio è che queste frizioni si leghino ai temi della sicurezza, ma credo che al summit ci sarà l’opportunità di superarle e di uscirne più uniti di prima e con una Italia finalmente ascoltata e protagonista.
Il primo dossier sul tavolo dei capi di Stato e di governo sarà quello più delicato: il burden sharing, cioè l’equa distribuzione degli oneri e delle responsabilità tra le due sponde dell’Atlantico, un tema particolarmente caro all’amministrazione Trump, che più volte ha sollecitato gli alleati sul rispetto della quota del 2 per cento del Pil da spendere in difesa entro il 2024. Su questo la buona notizia è che i Paesi NATO hanno preso iniziativa seguendo la positiva spinta Usa e che “la spesa per la difesa dell’Alleanza cresce nel suo complesso”. Alcuni Paesi restano lontani dagli obiettivi e questo “sarà uno dei primi elementi di conversazione del vertice”. I leader alleati discuteranno successivamente “dell’adattamento, anche a livello militare, alle sfide attuali”. In tal senso, dovrebbe essere ufficializzato quanto già annunciato durante la recente riunione a livello ministeriale, e cioè l’aumento dello staff per la struttura di comando (si parla di 1.200 unità in più); due nuovi comandi tra Norfolk, in Virginia, e Ulm, in Germania; e nuovi comandi dedicati esplicitamente al cyber-spazio.
Poi rimane in sospesa l’ipotesi di avviare una nuova missione di training in Iraq, “già pianificata” ma necessariamente da valutare con il nuovo governo del Paese, uscito da poco dalle elezioni. Quale ex direttore della NATO Middle East Faculty mi fa invece veramente piacere che sicuramente verrà dichiarata la piena operatività dell’Hub per il Sud situato a Lago Patria (Napoli), mentre, altro argomento che mi sta davvero a cuore, si inizierà il dibattito sulle minacce ibride, tra cui ogni analista di buon senso e senza ideologismi mette in primissimo piano quella della Hyper Immigration e le sue connessioni con azioni terroristiche da parte di elementi infiltrati in fuga da Iraq e Siria. Infine, è in agenda l’esame della “collaborazione tra NATO e Unione europea, in particolare sul tema della mobilità militare” e in virtù di quanto l’Ue sta facendo per il progetto di una difesa comune.
Più di quanto accadde due anni fa a Varsavia, al prossimo summit di Bruxelles si incroceranno poi due diverse sensibilità: quella dei Paesi dell’Est, che continuano a considerare la Russia la principale minaccia alla sicurezza dell’Alleanza; e quella dei Paesi meridionali (con finalmente Italia protagonista e in testa) che chiedono invece una maggiore attenzione al fianco Sud. Quest’ultima posizione, inoltre, è intelligentemente accompagnata dal tentativo di promuovere una progressiva apertura a Mosca, elemento chiaramente non ben visto dagli alleati orientali dell’ex Patto di Varsavia, anche se nelle dichiarazioni del recente G7 il presidente Trump si èespresso in tal senso.
Come emerso dal dibattito del 16 giugno, il summit di luglio dovrebbe dare rassicurazioni su entrambi i fronti, potenziando gli strumenti di deterrenza in ottica anti-russa, e ammettendo l’esigenza di un impegno più deciso verso il variegato e pericoloso orizzonte meridionale. Non posso che concordare a pieno con l’ammiraglio Di Paola quando afferma che “la difesa del fianco est è importante, non c’è dubbio. Ciò è ormai un dato di fatto, che la NATO ha già abbracciato. Oltre a questo però ci sono tante altre questioni sul fianco Sud, molto complesse, che richiedono un maggiore sforzo intellettuale, politico e operativo”.
Proprio su questo aspetto si sono giustamente e tempestivamente levate le richieste del presidente del Consiglio Giuseppe Conte e del ministro della difesa Elisabetta Trenta, che hanno invitato da subito l’Alleanza a un maggior impegno nel Mediterraneo. Nel recente incontro a Roma con il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg, il premier italiano, nel chiedere una necessaria maggiore attenzione ad un aspetto divenuto purtroppo essenziale per il nostro Paese, ha comunque ribadito l’assoluta fedeltà dell’Italia all’Alleanza. In tal senso, saranno tre le priorità dell’Italia al summit di Bruxelles: “rafforzare la solidarietà tra le due sponde dell’Atlantico; potenziare la dimensione meridionale dell’Alleanza; promuovere la cooperazione tra NATO ed Europa”. Questi tre elementi, si aggiungono ai due aspetti tradizionali della membership italiana, “la solidarietà tra tutti gli alleati e la politica del dual track nei confronti della Russia”.
Il vertice di luglio e la richiesta di solidarietà sono importantissime soprattutto in queste ore, essendo ormai evidente che la sicurezza del nostro paese potrebbe essere messa in grave pericolo dalle infiltrazioni terroristiche dalla sponda Sud del Mare Nostrum. L’Italia è la frontiera Sud di NATO ed Europa e se l’Italia è sotto pressione per la sua sicurezza, lo sono tutti i paesi dell’Alleanza Atlantica.