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Via della Seta e Ue sempre meno “atlantica”, proprio quando l’Occidente potrebbe fare fronte comune alla sfida cinese

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L’adesione italiana al progetto cinese della Belt and Road Initiative sta animando il dibattito politico sia sul piano interno che su quello internazionale, ponendo al centro della discussione un tema da tempo in ombra, ossia il valore dell’appartenenza al mondo occidentale. La scelta Governo giallo-verde è stata fortemente criticata sia dagli Stati Uniti che dall’Unione europea, in ragione del forte significato politico della stessa, nonché degli importanti aspetti simbolici che questa assume per Pechino. L’Italia è infatti l’unico membro del G7 ed il primo grande Paese europeo ad aderire al progetto della Via della Seta, e lo fa sulla base di una decisione unilaterale che trasforma Roma un importante partner politico nella strategia di Pechino.

Se già all’inizio del mandato dell’amministrazione Obama, negli Usa si affermava la necessità strategica di un “pivot to Asia” in funzione anticinese, con l’avvento di Trump alla Casa Bianca la nuova “politica del contenimento” dell’aggressività cinese, sta assumento una fisionomia più solida e definita. In questo quadro, l’attrazione dell’Italia nell’orbita dei paesi coinvolti nell’ambizioso progetto della Belt and Road Initiative consente a Pechino di creare una frattura in quello che una volta era identificato come il “blocco occidentale”, ed è questo il valore politico e simbolico al quale il governo americano ha fatto riferimento.

Tuttavia, al netto delle critiche sull’irresponsabile spregiudicatezza del governo giallo-verde, che ha nell’attuale amministrazione americana l’unico e indispensabile supporto politico-militare nella complicata questione libica, è necessario evidenziare come sul tema delle nuove reti 5G, anche la Germania sembra aver assunto una posizione reticente rispetto all’indirizzo Usa. Inoltre, a completare il quadro di un Oceano Atlantico ormai sempre più ampio, nell’ambito del recente dibattito sulla difesa europea, il presidente francese Macron ha dichiarato esplicitamente l’obiettivo di costituire un esercito in grado di difendere l’Europa dalle minacce provenienti dalle altre grandi potenze, tra le quali, a sorpresa, ha incluso gli Stati Uniti. Se, dunque, la strategia del “contenimento” dell’espansione geopolitica cinese vede in prima linea, oltre agli Usa, paesi quali la Gran Bretagna, l’India e il Giappone, allo stesso tempo pone il tema della tenuta “politica” dell’Allenaza occidentale. La Nato, infatti, nata come alleanza militare difensiva, si è dotata fin da subito di una dimensione politica comune, fondata su principi e valori quali la libertà individuale, la democrazia, lo stato di diritto e la laicità dello Stato. Tale dimensione politica, che si sostanzia dei caratteri propri della civiltà occidentale, ha consentito alla Nato di sopravvivere all’estinzione della minaccia per la quale era stata costituita, nonché, contestualmente, di continuare ad incrementare il numero dei paesi aderenti. Tuttavia, se la fine della guerra fredda ha rappresentato il momento di massima espansione dei principi dell’Occidente e delle sue istituzioni più rappresentative, l’affermazione sempre più definita di una concezione “neo-carolingia” dell’Unione europea e la successiva Brexit, sembrano avere quanto meno “allentato” i cardini di una visione strategica comune. Benchè infatti, l’impulso americano sia stato decisivo per consentire la riunificazione tedesca dopo il crollo del muro di Berlino, vincendo le forti resistenze di Francia, Gran Bretagna e Italia, quella che oggi sembra prevalere è un’idea di Europa sempre meno “Atlantica” e organica alla dimensione geopolitica dell’Occidente, e sempre più orientata su una visione “continentale” e neo-carolingia.

Ciò nonostante, la nuova sfida lanciata dalla Cina agli attuali equilibri mondiali, che pare prefigurarsi come già in atto, potrebbe favorire la progressiva riaffermazione di una visione strategica comune tra le due sponde dell’Atlantico, centrata sui valori della libertà individuale, della democrazia e dello stato di diritto, oltre che sulla difesa del libero mercato e della libertà di navigazione sui mari. In questo quadro, l’apertura italiana alla strategia di crescita di Pechino e la parallela opposizione del governo giallo-verde all’attuale governance dell’Unione europea rischiano di allontanare il nostro paese dai due principali centri gravitazionali interni all’Occidente, nel cui contesto, viceversa, sarebbe opportuno ricollocare l’orizzonte del nostro interesse nazionale.