La saga delle sardine continua. E più continua, più si scopre il loro vuoto di idee coperto da una costante celebrazione mediatica e da una retorica portata all’eccesso. Prendiamo la lettera pubblicata venerdì scorso su Repubblica. È una lettera con cui le sardine cercano di fare il bilancio di un mese di attività. Se è vero che il loro attivismo le ha portate a riempire tante piazze italiane, a mobilitare giovani e meno giovani, il messaggio che propongono risulta ancora una volta fumoso. L’unica certezza è l’attacco alla destra italiana. Un attacco che vede un linguaggio non proprio pacifico. Sia per il reiterato e inappropriato utilizzo del termine resistenza, che presuppone che il nemico sia fascista e quindi da affrontare con vigore, se non con violenza, sia per l’uso di altri termini di natura tipicamente bellica.
Certo, le sardine parlano sempre di rivolta pacifica, ma vocaboli come “fronte”, “alleanza’’ e “resistenza”, lasciano intendere tra le pieghe dei loro significati uno scontro di una portata ben più ampia, da guerra civile. Lo stesso Santori non a caso ha parlato più volte di “bestia populista” da combattere. Termini quanto meno inappropriati per chi vorrebbe cambiare il linguaggio politico. A meno che il concetto di odio venga applicato solo ai propri avversari, e venga ignorato per il proprio fronte, con una doppia morale che a sinistra abbiamo conosciuto più volte. Tra l’altro, se la violenza verbale fosse equiparata a quella fisica, come proposto dallo stesso leader delle sardine, la lettera a Repubblica e parte dei loro comizi sarebbero incriminabili. Le sardine rischierebbero così di autocondannarsi. Assurdo.
Ma veniamo alla retorica sardinesca, che deve essere analizzata per capire le modalità tramite cui un messaggio così povero e incoerente riesce a mantenere una centralità mediatica costante. Il pilastro della loro comunicazione è costituito dall’esaltazione della partecipazione fisica, dall’utilizzo del corpo che si oppone alla “bestia populista” incarnata dalla destra italiana. Una presenza fisica, considerata fin da subito come resistenza al populismo (cioè il male) che per contrasto si fa bellezza, amore, gioia, emozione e speranza. Sembra il testo di una canzone di Jovanotti. Una trasformazione resa tale anche dal dialogo, dal contatto tra persone che scendendo in piazza fanno politica con la P maiuscola semplicemente ascoltando e dialogando. Nulla di che per chi si mobilita, ma che diventa qualcosa di eroico e resistenziale perché si oppone al nemico, al male del sovranismo. Al mare dell’indifferenza che viene svuotato dal bene delle sardine che ormai nuotano in ogni piazza per convertire gli indifferenti, i cattivi, cioè gli elettori del centrodestra.