Recensione di Patrick Bateman
Sono già passati settant’anni da quando Renato Fiacchini, figlio del poliziotto Domenico Fiacchini e dell’infermiera Ada Pica, ha aperto gli occhi al mondo nella splendida cornice di una Roma vera e popolare, e ne sono passati più di cinquanta da quando quel ragazzo magrissimo e dalle movenze da folletto ha deciso di adottare quello pseudonimo, la cui origine è già leggenda: “zero”. Zero in risposta ai detrattori che gli dicevano, a inizio carriera, “sei uno zero”, oppure zero come numero che allo stesso tempo è nulla e infinito, infinitamente piccolo e infinitamente grande? Ecco, se c’è qualcosa che è comune denominatore – perdonate il riferimento matematico – nella vita di questo artista è l’ambiguità, un’ambiguità studiata e perfetta, sempre capace di alimentare miti e credenze che spesso, dato il rapporto viscerale tra Zero e i suoi fans (i sorcini, come lui stesso li ha affettuosamente ribattezzati), sono sfociati in aneddoti e vicissitudini dal sapore quasi agiografico.
A tal proposito, la scelta di celebrare i settant’anni di questo multiforme pilastro della musica italiana è ricaduta su questa biografia, uscita una decina di anni fa, e vergata dalla penna di Tommaso Labranca, altrettanto multiforme intellettuale che troppo presto ha lasciato il mondo dei vivi per dedicarsi, mi auguro, ad altre colorate elucubrazioni nell’aldilà. L’ho scelta perché “Da zero a Zero” (Arcana, 2009) non è né un’agiografia, né una biografia convenzionale, ma più che altro una sorta di romanzo biografico in cui il linguaggio dinamitardo e ferocemente satirico di Labranca abbraccia con passione e spirito critico una storia decisamente da raccontare come quella di Renato.
L’autore segue un fil-rouge nella narrazione cronologica della vita dell’artista ma la spezza con riflessioni sullo zeitgeist dell’epoca servendosi di quella commistione linguistica tra alto e basso che è marchio di fabbrica della scrittura di Labranca. Nelle agili 200 pagine del libro si racconta una storia di ambizione e dedizione, di ascese, rovinose cadute e resurrezioni, che consente al lettore di avere un’idea del personaggio Zero, dell’uomo Fiacchini, della sua musica e del suo tempo spaziando tra spaccati di vita vissuta, pettegolezzi alla Hollywood Babilonia, recensioni in salsa ultra-pop agli album (con particolare attenzione a “i migliori dischi della nostra vita”, i celebratissimi Trapezio, Zerofobia e Zerolandia) e commenti ragionati ai testi, richiamando spesso insiemi e sottoinsiemi tematici ricorrenti (l’impegno civile, il rapporto con la notorietà, la satira sociale, l’ambiguità e chi più ne ha più ne metta). Labranca segue la trasformazione continua di questo camaleonte del pop, dalle mascherate danzerecce degli esordi di “No! Mamma, no!” allo stile quasi messianico e liturgico assunto da fine anni ’80 in poi e che continua ancora oggi, all’insegna di un rapporto solido e indissolubile con i suoi tantissimi seguaci sparsi per tutta la penisola ai quali, al termine di ogni rito pagano celebrato in arene e palazzetti, rivolge sempre la stessa preghiera: “Non dimenticatemi!”.
A nì, ma chi ti dimentica!