Oppenheimer, il genio dell’atomica raccontato da Nolan con troppe omissioni

Straordinari meriti estetici di Nolan, ma le omissioni sul sospetto spionaggio dello scienziato intaccano il valore del film come opera storica e morale

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Oppenheimer_trailer

Sebbene i film biografici sui grandi scienziati siano stati un punto fermo di Hollywood sin dagli albori del sonoro, essi pongono sfide distinte ai registi. Dopotutto, come rendere visivamente emozionante qualcuno che elabora mentalmente un problema matematico? Tuttavia, da La vita del dottor Pasteur (1936) e Madame Curie (1943) fino a La teoria del tutto e The Imitation Game (entrambi del 2014), il genere ha prodotto risultati di prim’ordine.

L’ultimo di questa serie è proprio l’epico Oppenheimer, scritto e diretto da Christopher Nolan, il celebrato (e cerebrale) regista di Memento, Inception, Interstellar e Tenet.

Si tratta della storia di Julius Robert Oppenheimer (1904-1967), “il padre della bomba atomica” – da non confondere con Edward Teller, “il padre della bomba all’idrogeno” –, tratta dal libro American Prometheus, la biografia del 2007 di Martin J. Sherwin e Kai Bird. Il film presenta lo scienziato e la sua intricata vicenda professionale e umana in modo affascinante e avvincente.

Oppenheimer come Turing

Oppenheimer, infatti, era complesso, contraddittorio, perplesso sul suo ruolo. Un uomo ossessionato dai paradossi del cosmo, che trovò comunque il tempo di diventare un poliedrico poliglotta appassionato di Picasso, Marx, Freud, Stravinsky e di The Waste Land – in un fotogramma del film lo si vede intento alla lettura del poema di T.S. Eliot. Imparò persino l’italiano da autodidatta per poter leggere Dante in lingua originale e il sanscrito per il solo gusto di farlo.

La vicenda politica che lo ha riguardato è simile a quella di Alan Turing. Due geni che giocarono un ruolo enorme nella vittoria degli Alleati nel corso della Seconda Guerra Mondiale ma che, anni dopo, furono perseguitati dai loro governi per questioni estranee al loro lavoro (nel caso di Turing, la sua omosessualità; in quello di Oppenheimer, la sua intimità con i comunisti). Entrambi inaugurarono un’era: il primo quella dei computer, il secondo quella atomica.

Gli inizi nella fisica

Al tempo della sua giovinezza, la fisica appariva come una disciplina innocua: si trattava, perlopiù, di elaborare complessi calcoli sul comportamento degli atomi e sui movimenti delle galassie, equazioni prive di qualunque collegamento diretto con la quotidianità della vita umana. Molto più incline alle scienze teoriche che a quelle applicate (la pellicola lo mostra come un maldestro tecnico di laboratorio), Oppenheimer si laureò ad Harvard, per poi immergersi nella meccanica quantistica che, negli anni Venti, non possedeva ancora piena dignità accademica.

Fece importanti studi a Cambridge, Gottinga, Leida (dove venne soprannominato “Opje”, in seguito anglicizzato in “Oppie”) e Zurigo. Nolan inserisce quel tanto che basta di questi anni europei per rendere al meglio la personalità dello scienziato, capace, a Leida, di tenere una conferenza in olandese, imparato autonomamente per l’occasione.

Dopo aver completato la sua formazione in Europa, Oppenheimer tornò negli Stati Uniti, dove, insegnando a Berkeley e al Caltech, contribuì a introdurre la rivoluzione quantistica in America e dove predisse l’esistenza dei positroni e dei buchi neri. Ebbe ragione in entrambi i casi, ma la prova sperimentale tardò ad arrivare.

Los Alamos, dall’esultanza ai dubbi

Nolan, utilizzando notevoli effetti visivi e uditivi, riesce nella difficile impresa di suggerire la natura catastrofica della materia trattata da “Oppie”. Inutile dire che Los Alamos è al centro della storia narrata. Lo scienziato amava il deserto del New Mexico e lo conosceva intimamente, e fu lui a scegliere il luogo per la città-laboratorio segreta.

Fu il momento più drammatico della sua esistenza; dopo aver trascorso anni a studiare una teoria apparentemente inoffensiva e persino astrusa, si ritrovò a trasformare le sue equazioni in strumenti di morte. Invitato dal generale Leslie Groves (Matt Damon), direttore del Progetto Manhattan, a gestire la creazione della prima bomba atomica, Oppenheimer si lanciò con entusiasmo nella missione.

Il lancio sperimentale della bomba nel deserto, l’esperimento noto come Trinity test, è il momento più cinematografico dell’intero film, e Nolan gestisce questa sequenza magistralmente, aumentando la suspense e fornendo poi una ricompensa spettacolare. Risparmia allo spettatore Hiroshima e Nagasaki; ma dopo che le due bombe mettono fine alla guerra, vediamo l’esultanza di Oppenheimer trasformarsi in dubbio, senso di colpa e orrore. Cillian Murphy esprime con grande maestria le ambiguità e la tragedia personale del “Prometeo americano”.

Il dibattito etico

Già mentre il progetto della bomba atomica era in corso, vi era un intenso dibattito etico tra gli scienziati di Los Alamos. Per alcuni, lo scopo era quello di anticipare Hitler nella creazione di una bomba e, dopo la caduta della Germania, considerarono ingiusto sganciarla sul Giappone. Altri, tuttavia, erano ansiosi di passare ad un ordigno più grande e ad un nuovo nemico: l’Urss.

In questo dibattito, Oppenheimer, con la sua angosciata espressione, appare come un moderato idealista, aggrappato all’ormai vetusto ottimismo rooseveltiano. In una scena del film, un disgustato presidente Truman, interpretato da Gary Oldman, lo definisce “piagnone”.

Oppenheimer politico

Il lavoro di Nolan ruota attorno al lato politico di Oppenheimer. Impegnato fin dagli anni Trenta come attivista di sinistra, prima sostenendo la causa repubblicana in Spagna e poi nel tentativo di sindacalizzare i professori dell’Università di Berkeley. Come il film riconosce, lo scienziato era vicino a molti comunisti o ex comunisti, inclusa la sua bisbetica moglie Kitty, la sua amante nevrotica, Jean Tatlock e l’amato fratello, Frank.

Dalle biografie di Oppenheimer si evince che identificò l’Urss con la “libertà”, anche se, presumibilmente, moderò i suoi entusiasmi nei confronti del comunismo dopo l’arresto dei fisici sovietici, in gran parte ebrei come lui, da parte di Stalin.

Sembra che, dopo la caduta di Parigi, quando ancora era in vigore il patto Ribbentrop-Molotov, avrebbe affermato: “non possiamo avere nulla a che fare con i comunisti”. Durante la guerra, quando il suo amico Haakon Chevalier, professore di letteratura francese a Berkeley, gli chiese se desiderasse condividere i segreti della sua ricerca con i russi, Oppenheimer rifiutò.

Ciononostante, sebbene elevato al rango eroe di guerra nel 1945, nove anni dopo, in pieno Maccartismo, fu sottoposto ad una umiliante udienza segreta della Commissione per l’Energia Atomica (AEC), che portò alla revoca del suo nulla osta di sicurezza. Ben lungi dall’essere un processo farsa stalinista (mantenne il suo lavoro a Princeton), Nolan si sforza di renderlo inquietante, persino agghiacciante, sicuramente kafkiano. In ogni caso, alla fine, Oppenheimer ebbe la meglio sul suo avversario, il presidente dell’AEC, Lewis Strauss. Il tutto è raccontato facendo fare allo spettatore la spola tra due udienze, distanziate di quattro anni l’una dall’altra.

Segreti nucleari ai sovietici?

La figura di Oppenheimer è stata pienamente riabilitata negli Stati Uniti. Eppure, ancora nel 1994, il generale sovietico Pavel Sudoplatov, nelle sue memorie, affermò che Oppenheimer, mentre si trovava a Los Alamos, passò ai sovietici segreti nucleari senza i quali non sarebbero mai stati in grado di costruire così velocemente la loro bomba atomica.

Mentre una lettera del 1944 di un funzionario della sicurezza sovietico, Boris Merkulov, a Lavrentij Berija, il famigerato capo della polizia segreta, la temuta NKVD, si afferma che Oppenheimer avrebbe riferito ai sovietici del suo lavoro a Los Alamos tramite il presidente del Partito Comunista degli Stati Uniti d’America, Earl Browder.

Ora, può benissimo darsi che Oppenheimer si sia liberato dell’ideologia comunista nel 1940, e che abbia passato i segreti ai sovietici solo perché credeva, sinceramente, anche se ingenuamente, che farlo fosse il modo migliore per creare un “equilibrio del terrore” e garantire così la pace nel mondo. In ogni caso, in relazione a questo tema, nessuna ambiguità trova spazio nel film di Nolan. Un fatto che non sorprende in modo particolare, dato che entrambi gli autori della biografia da cui è stato tratto erano vicini al settimanale di estrema sinistra The Nation.

Una minaccia reale

Inoltre, il regista fa apparire i militari come degli ottusi paranoici, anticomunisti ossessionati dalla caccia alle spie, eppure, a quel tempo, lo spionaggio sovietico rappresentava un pericolo concreto per gli Stati Uniti. Basti pensare che, nel 1951, i coniugi Rosenberg saranno condannati a morte per aver trasmesso ad agenti russi delle informazioni secretate sulle armi nucleari. Visto alla luce di quanto le fonti sovietiche dicono di Oppenheimer, il trattamento riservatogli dall’AEC nel 1954 appare persino gentile.

Niente di tutto questo, certo, toglie qualcosa agli straordinari meriti estetici di Oppenheimer, ma le omissioni di Nolan sulle attività di spionaggio dello scienziato, presentato come un patriota nobile e coscienzioso, intaccano notevolmente il valore del film come seria opera storica e morale.

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