Da decenni l’Iran, come molti altri Paesi musulmani, non permette ai propri atleti di gareggiare in competizioni internazionali contro atleti israeliani. Un’imposizione che spesso passa attraverso minacce e ricatti, i quali possono mettere a repentaglio le vite degli atleti e dei loro familiari.
Di questo parla il film di produzione americana Tatami, il primo ad essere co-diretto da un regista israeliano, Guy Nattiv, e da una regista iraniana, Zar Amir Ebrahimi. Presentato al Festival di Venezia nel 2023, in Italia è stato proiettato in anteprima l’8 marzo, per la Festa della Donna, mentre l’uscita vera e propria nelle sale italiane è prevista per il 4 aprile.
Il film
Girato in bianco e nero, il film è ambientato durante i campionati femminili di judo che si svolgono a Tbilisi, in Georgia. Leila Hosseini (interpretata da Arienne Mandi) è la judoka di punta della squadra iraniana, e punta a vincere la medaglia d’oro dopo una vita di sacrifici e duri allenamenti.
Le cose si complicano quando la sua allenatrice, Maryam Ghanbari (la stessa Ebrahimi, nella doppia veste di attrice e regista), riceve ordini dall’alto per spingere Leila a ritirarsi, affinché non gareggi contro una judoka israeliana. Spaventata per le minacce che riceve, al punto che le autorità iraniane prendono i suoi genitori in ostaggio pur di ricattarla, Leila fa di tutto per non arrendersi e andare avanti nonostante la pressione della sua allenatrice, anche lei minacciata di possibili ritorsioni contro la sua famiglia.
Il contesto
Presentando l’8 marzo il film in collegamento streaming, Nattiv ha spiegato cosa lo ha spinto a trattare questo tema: da anni, ai judoka iraniani non è permesso gareggiare con quelli israeliani, al punto che nel 2019 la Federazione iraniana di judo venne bandita dalle competizioni, dopo che la Repubblica Islamica aveva impedito al suo judoka Saeid Mollaei di battersi con l’israeliano Sagi Muki, costringendolo a perdere alle semifinali del campionato mondiale. In seguito, Mollaei era dovuto scappare prima in Germania e poi in Mongolia, Paese del quale ottenne la cittadinanza per rappresentarlo nelle gare internazionali.
In seguito, molti atleti iraniani cercarono di ribellarsi al regime andando all’estero: uno dei primi casi fu quello di Kimia Alizadeh, campionessa iraniana di taekwondo e vincitrice del bronzo alle Olimpiadi di Rio nel 2016. Nel 2020, la Alizadeh decise di non rappresentare più l’Iran alle gare internazionali e di trasferirsi stabilmente in Germania, per protestare contro l’oppressione delle donne iraniane da parte del regime.
Rispetto dell’avversario
Un altro tema che ha ispirato particolarmente Nattiv è quello del rispetto dell’avversario: nel judo, come in molte arti marziali giapponesi, è diffusa l’idea secondo cui bisogna sempre mostrare rispetto verso i propri avversari, un elemento a suo dire tipico della cultura nipponica. Inoltre, il judo è uno sport dove sia gli iraniani che gli israeliani hanno un certo successo, tanto che i loro atleti hanno vinto molte medaglie in campionati internazionali nel corso degli anni.
Tbilisi
La scelta di ambientare il film a Tbilisi deriva dal fatto che si trova esattamente a due ore di volo da Tel Aviv e a due ore da Teheran, quindi a metà strada tra Israele e l’Iran. Inoltre, la Georgia è una meta turistica assai frequentata sia dai turisti israeliani che da quelli iraniani, che ci vengono soprattutto per sciare. Il regista ha raccontato che spesso questi turisti, pur venendo da Paesi nemici tra loro, quando si incontrano sugli autobus e nelle stazioni sciistiche, sono in rapporti pacifici nonostante il clima politico opprimente.
Abile nel far percepire allo spettatore in maniera palpabile il travaglio interiore delle protagoniste, Tatami è un film coraggioso, come ne escono pochi. In un periodo in cui c’è chi vorrebbe boicottare la cultura israeliana sulla base di preconcetti ideologici, gli artisti veramente audaci e anticonformisti sono quelli che, come Nattiv e la Ebrahimi, si battono per creare ponti tra popoli che vogliono solo vivere in pace.