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“Gli Aristogatti”: un capolavoro che nessun politicamente corretto potrà scalfire

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L’ultimo delirio del politicamente corretto americano, a pochi giorni dall’elezione di quella che promette di essere la peggior amministrazione della storia statunitense, ha colpito tre classici non solo della Disney ma dell’immaginario collettivo e soprattutto giovanile. “Peter Pan”, “Dumbo” e persino “Gli Aristogatti”. “Denigrano popolazioni e culture, veicolano stereotipi sbagliati, contengono messaggi dannosi”. Questo il delirio insensato dei millennials e post millennials che purtroppo occupano in maniera indegna posti di comando nelle grandi Major statunitensi e fanno, chi più chi meno, tutti professione di fede ‘democratica’ e ‘progressista’. Nello specifico, “Peter Pan” si sarebbe macchiato del grave reato di chiamare gli indiani “pellerossa”. “Dumbo” avrebbe ridicolizzato la schiavitù africana per via dello stormo di corvi. Mentre “Gli Aristogatti”

A quest’ultimo capolavoro della Disney è dedicato Atlas di oggi, quindi vediamo nel dettaglio il cartone animato del 1970 diretto da Wolfgang Reitherman, 20esimo classico della Disney che fu, scritto da Tom McGowan e Tom Rowe. La storia è quella della ricca e solitaria nobildonna, Madame, che non avendo né eredi né amici, decide di lasciare l’eredità ai suoi 4 gattini; Duchessa, la mamma gatta, e i suoi tre cuccioli, Minù, Matisse e Bizet. A questa decisione si oppone il maggiordomo Edgar, invidioso dei gattini e deluso perché pensava che la fortuna della signora dovesse toccare a lui. Decide così di sbarazzarsene e architetta un piano diabolico. Serve loro la cena con sonnifero, li tramortisce e li porta lontano dalla villa per ucciderli definitivamente. Sulla strada però s’imbatte nei due primi personaggi straordinari di questa epopea, Lafayette e Napoleone, due bracchi briganti che derubano Edgar della sua motocicletta sidecar. Nella concitazione del furto la cesta coi gattini salta via e il mattino dopo i quattro piccoli micetti si ritrovano sotto un ponte senza sapere come ci sono finiti. La storia, che non sveleremo, va comunque avanti con la comparsa di eccezionali personaggi del mondo animale che cercheranno di aiutare i gattini a tornare alla villa di Madame e a impedire che il piano di Edgar vada a buon fine.

Qual è, secondo i censori, il ‘reato’ degli Aristogatti, che gli è valso la punizione del bollino rosso, il divieto ai minori di 7 anni (ohibò) ed è stato rimosso dall’account Disney Plus dei bambini? Nella scena, probabilmente la migliore di tutto il cartone, quando i gatti amici di Romeo del rione popolare cantano “Tutti quanti vogliono fare Jazz”, al piano compare il gatto asiatico, il giallo con gli occhi a mandorla Shun-Gon che suona con le bacchette. Orrore, gridano gli psicopatici, quello per il loro cervellino all’ammasso sarebbe uno stereotipo razzista. Davvero? Peccato che nella versione doppiata italiana di stereotipi ce ne sono a bizzeffe, a cominciare dal mitico gatto Romeo, doppiato in romanesco dal grande Renzo Montagnani che conferisce al micio un’aria alla Califano, sciupafemmine romantico e sbruffone, eroe buono e sottoporoletario che si prodiga come una canaglia gentile per arrivare al cuore di Duchessa. Oppure le due oche che parlano italiano inglesizzato, Adelina e Guendalina, in gita in Francia e che a momenti fanno affogare Romeo perché non sa nuotare nel fiume. Oche a cui si aggiunge lo zio, inglese pure lui e ubriacone, il papero Reginaldo, un tipico sbevazzone inglese che però pare non abbia suscitato nessuna ira dei cervelli all’ammasso della nuova Disney.

“Gli Aristogatti” fa parte di quei capolavori colti per bambini e meno bambini che la Disney in quegli anni produceva in serie. Nel cartone c’è tanto materiale per ingentilire l’animo, c’è la splendida musica classica, delizioso il gatto Bizet che suona col grammofono la “Carmen”, di Bizet, appunto, quando il vecchio avvocato George e Madame ballano. C’è tanto magnifico jazz. Ci sono le prese in giro degli stessi francesi; i due bracchi briganti che si chiamano Lafayette, il mitico architetto francese della Rivoluzione e Napoleone. Non c’è violenza gratuita, non c’è malafede, non c’è alcuna sottotraccia infastidita e moralista, tipica dei nuovi prodotti hollywoodiani e netflixiani, ormai inguardabili storielle eticamente corrette e per questo spazzatura ideologica.

Chiudiamola qui. Un’ultima riflessione, amara. I censori della nuova era ovviamente non troveranno nulla da ridire di fronte al sottosegretario alla salute transgender dell’amministrazione Biden che, in una foto, si vede vestito da donna con un abito bomboniera azzurro. La guerra ideologica è entrata nel vivo. Noi ci siamo a combatterla, sarà dura. Ma non molliamo.