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I misteri della Corea del Nord e della “prima dinastia comunista della storia”

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Joe Biden ha già affermato che occorre “finirla con la farsa coreana”, accusando Trump di aver dato solo spettacolo. Non ha detto, però, come lui stesso intende affrontare un problema che esiste e non è affatto fittizio. Il caso coreano è davvero complicato e un intervento armato rischia di produrre conseguenze incalcolabili

L’espressione “dinastia comunista” rappresenta di per sé un ossimoro. In teoria non dovrebbe esistere alcunché di simile, pena la contraddizione immediata. Eppure non si tratta affatto di un’espressione vuota e priva di referente, come dimostra un recente saggio di Stefano Felician Beccari, “La Corea di Kim. Geopolitica e storia di una penisola contesa” (Salerno Editrice, Roma).

L’autore ha conseguito il dottorato in geopolitica finanziato dallo Stato Maggiore della Difesa, e ora svolge attività di ricerca presso il Centro militare di studi strategici (Cemiss) di Roma. Com’è possibile, dunque, l’esistenza di quella che è stata definita “la prima dinastia comunista della storia”?

Felician Beccari parte da lontano poiché gli preme, innanzitutto, inquadrare il fenomeno nel contesto di una cultura millenaria come quella coreana, capace in alcuni periodi storici di affrancarsi dal vicino colosso cinese e di confrontarsi addirittura con il Giappone dei Samurai.

Ovviamente ciò che interessa all’autore è ricostruire nel modo più preciso possibile la storia della Repubblica Popolare Democratica di Corea dalla sua fondazione (1948) ai giorni nostri. Paese in pratica impenetrabile per gli osservatori esterni, la RPDC rappresenta l’ultima esemplificazione del cosiddetto “socialismo reale” realizzato nella ex Unione Sovietica e nelle nazioni a essa collegate, soprattutto quello in vigore durante il periodo staliniano.

Ciò rende la Corea del Nord indubbiamente interessante agli occhi degli analisti, costituendo un case study unico nel genere. Nel suo territorio il tempo sembra essersi fermato all’immediato Dopoguerra, con i piani quinquennali, la coreografia tipica dei regimi comunisti quando Stalin era in vita e un culto della personalità molto forte e interamente centrato sul leader di turno.

L’unicità, tuttavia, è fornita soprattutto da un altro elemento. Nel Paese il potere è detenuto, per l’appunto sin dalla fondazione, da una sola famiglia e viene trasmesso, di fatto, da padre in figlio senza soluzione alcuna di continuità. La famiglia è ovviamente quella dei Kim che, dopo aver ottenuto il controllo completo del partito e delle forze armate, continua a governare con mano ferrea senza che qualcuno – almeno in apparenza – osi opporsi.

La saga inizia con il fondatore Kim Il-sung (Kim I) che approfittò abilmente della Guerra Fredda e dell’appoggio staliniano per proclamare la Repubblica socialista nella parte settentrionale della penisola coreana. Giunse poi anche il sostegno della Cina di Mao, il cui massiccio intervento nella guerra del 1950-53 impedì la sconfitta del Nord, e la divisione permanente della nazione in due parti, legate l’una al blocco occidentale e l’altra a quello sovietico.

Kim I si sbarazzò ben presto di ogni oppositore e promosse nel Paese il culto della propria persona. Poco a poco assunse connotati quasi divini anche grazie alla dottrina del Juche, la versione coreana del marxismo-leninismo che insiste in particolare sull’indipendenza e autosufficienza nazionali. Si esalta la sovranità delle masse popolari le cui aspirazioni, tuttavia, vengono interpretate da una Guida Suprema che concentra nelle sue mani tutto il potere.

Quando il fondatore si spegne, nel 1994, Guida Suprema diventa suo figlio Kim Jong-il (Kim II), che segue la strada paterna. Si noti però che, secondo la storia ufficiale del Paese, Kim Il-sung è morto solo dal punto di vista fisico. In realtà egli è in qualche modo assurto al cielo da dove continua a guidare la nazione. E, infatti, detiene tuttora il titolo di presidente. Dunque il culto della personalità si è col tempo trasformato in un culto religioso a tutti gli effetti. Nel mausoleo di Pyongyang la salma imbalsamata del fondatore è meno importante del suo spirito, che dall’alto continua a governare e a proteggere la RPDC.

E siamo giunti ai giorni nostri. Alla scomparsa di Kim Jong-il nel 2011 gli succede il figlio Kim Jong-un (Kim III), l’attuale leader. Da lui si attendevano riforme che non sono venute, anche perché la rigida struttura del regime non lo permette. Eppure persino la Cina, in pratica l’unico alleato rimasto alla Corea del Nord, spinge in tale direzione, preoccupata dal fatto che Pyongyang si sia nel frattempo dotata di un arsenale nucleare in grado di minacciare i Paesi vicini (e non solo).

Kim Jong-un continua a contare sulla fedeltà del partito e dell’esercito anche perché viene visto come il miglior strumento per garantire la continuità di uno dei regimi dittatoriali più longevi della storia, superiore persino alla dittatura dei fratelli Castro a Cuba iniziata nel gennaio 1959.

Permane, alla fine della narrazione, un senso di mistero. Com’è possibile che una sola famiglia riesca a imporsi per un periodo così lungo, trasmettendo il potere assoluto per vie dinastiche senza causare una ribellione di massa, che sarebbe del resto giustificata dalle condizioni in cui vive la popolazione?

Settant’anni anni possono sembrare pochi, ma sono moltissimi se si rammenta che il regime è rimasto tale e quale mentre nel resto del mondo si sono avuti mutamenti epocali. I media nordcoreani sostengono che il “Presidente Eterno”, Kim Il-sung (Kim I), dall’al di là protegge la Corea del Nord con la sua immensa bontà e infinita saggezza. Ma la storia non si è mai fermata. Basta quindi attendere che, anche là, si rimetta in moto.

Nota l’autore del volume che la Corea del Nord evoca l’immagine di un Paese fuori dalla storia, governato da un dittatore lunatico e omicida. Nel migliore dei casi quello di Kim Jong-un viene descritto come un regime eccentrico, feroce e cupo nel suo remoto grigiore totalitario. E a succedere a Kim III sarà quasi sicuramente la giovane sorella 33enne Kim Yo-jong, che già ora ha in mano l’apparato di propaganda e di spionaggio del partito.

È in pratica impossibile, come del resto rileva l’autore del volume, spiegare i tanti misteri del “Regno eremita”. Occorre tuttavia prendere atto della sua presenza e dei rapporti privilegiati che tuttora intrattiene con Pechino, sempre rammentando che il suo arsenale nucleare rappresenta un pericolo reale per il mondo intero.

E in questo caso gli Stati Uniti giocano un ruolo rilevante, pur indeboliti dal caos istituzionale susseguente alla recenti elezioni presidenziali Usa. Donald Trump ha cercato il dialogo con il regime incontrando di persona Kim III e varcando – primo presidente americano a farlo – la linea di demarcazione tra le due Coree. Tuttavia, almeno per ora, gli incontri non hanno conseguito effetti concreti, giacché il regime non sembra affatto disposto a rinunciare all’arma atomica.

Ed è interessante notare, a tale proposito, come Joe Biden abbia già affermato che occorre “finirla con la farsa coreana”, accusando Trump di aver dato solo spettacolo. Non ha detto, però, come lui stesso intende affrontare un problema che esiste e non è affatto fittizio. È noto che i Democratici Usa sono più inclini dei Repubblicani a intervenire militarmente all’estero, ma il caso coreano è davvero complicato e un intervento armato rischia di produrre conseguenze incalcolabili.

Rileva in conclusione l’autore del volume che occorre analizzare la questione coreana senza alcun superficialismo, e “comprendere il perché un mondo che ci appare assurdo, surreale e spesso comico sia in realtà molto più concreto, reale e articolato”. C’è bisogno insomma di una buona dose di realismo, e senza dubbio anche Biden, volente o nolente, dovrà farvi ricorso.