Recensione a cura di Patrick Bateman
“Intervista col vampiro”, pubblicato originariamente nel 1976 e più volte ristampato (ultima edizione Tea, 2020), è il primo capitolo delle fortunatissime “Cronache dei Vampiri” di Anne Rice, scrittrice statunitense che è riuscita nella missione tutt’altro che semplice di calare perfettamente nella contemporaneità figure classiche dell’horror e dell’immaginario orrorifico collettivo quali vampiri, licantropi e mummie, scelta perseguita da tanti ma solo da lei magistralmente eseguita.
Nel capostipite di questa lunga serie si entra immediatamente nel vivo, con un giornalista intento a intervistare Louis de Pointe du Lac, vampirizzato nel 1791 e ancora oggi in splendida forma. L’incalzante botta e risposta iniziale fra i due viene a poco a poco sostituito dalla narrazione fluida di Louis, il quale racconta la sua vita da creatura della notte gettando le basi per un universo da cui Rice attingerà successivamente a piene mani, mettendo in scena personaggi di indiscutibile forza e solidità scenica come l’edonista e crudele Lestat de Lioncourt (che nei sequel si dimostrerà il vero protagonista), la piccola e ambigua Claudia e il saggio e fascinoso Armand.
Lungi da essere un mero romanzo horror, “Intervista col vampiro” non tradisce la più pura tradizione sui vampiri (Stoker, Polidori) ma la amplia cedendo il passo a riflessioni e pensieri che, con l’espediente della vita eterna cui sono condannati i protagonisti, si fanno sempre più profondi e autentici, attraversando il tempo (dal 1791 agli anni ’70 del ‘900) e lo spazio (dalla New Orleans dei bayou alla Parigi artistoide dei cabaret, passando per la gotica Transilvania). Tanti sono i temi toccati in questa lettura agile ma tutt’altro che semplice: il rapporto con l’immortalità, che sembra far perdere di valore qualsiasi esperienza lasciando un vuoto eterno al pari della vita che Louis è condannato a vivere; la disperata ricerca di una fede ora passivamente accettata ora crudamente rifiutata (segno del percorso introspettivo che la stessa Rice affronterà in seguito); le difficoltà di trovare un posto nel mondo, scissi tra la bestiale bramosia di sangue e le umane pulsioni e infine la ricerca per Louis di un maestro, di una figura che gli apra gli occhi consentendogli di apprezzare l’immortalità come dono e non come condanna, di scansare la logica omicida del nutrimento per rivolgersi solo verso sangue animale e di godere appieno dei piaceri dell’eternità senza torturarsi per la loro caducità.
Nel rinascimento gotico di Anne Rice, inoltre, c’è spazio per una scrittura elegante che richiama la letteratura ottocentesca, in un mix esaltante tra forma e sostanza che invoglia ad andare sempre più avanti nella lettura, perdendosi nell’ambiguo triangolo di sangue composto da Louis, Claudia e Lestat, tre personaggi cesellati con cura maniacale e potente ispirazione.
“Intervista col vampiro” è e sarà sempre il più famoso romanzo di Anne Rice, complice anche la buona trasposizione cinematografica del 1994 diretta da Neil Jordan e animata da un cast stellare (tra gli altri Brad Pitt, Tom Cruise, Kirsten Dunst), ma basta proseguire nella lettura della saga o leggere altre sue opere per capire che questo è stato solo il primo passo di un’autrice di indubbio valore, che merita di essere citata fra i nomi principali della letteratura horror e neogotica contemporanea.