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La “Seconda lettera agli amici tedeschi”, di Paolo Savona

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Nella “narrazione” concepita dall’establishment politico e mediatico dell’Europa continentale, ci sono solo due parti previste in commedia: o il soggetto pro-Europa, razionale, elegante, moderato, presentabile, oppure il soggetto anti-Europa, per definizione urlante e ululante, spacciatore di paura, mercante di panico, in ultima analisi impresentabile. Tertium non datur.

E invece l’elemento “terzo” c’è, eccome: una pattuglia di personalità e pensatori di impronta liberale o in qualche caso liberaldemocratica, non necessariamente antieuropeisti, anzi spesso sinceramente ammiratori della speranza dei fondatori europei, eppure preoccupati e dissenzienti rispetto al modo in cui si è perseguita la costruzione europea, e cioè attraverso un apparato di regole e rigidità che, sul piano della forma, hanno reso l’Ue tecnicamente a-democratica, e sul piano della sostanza, ne hanno fatto una sorta di protettorato tedesco.

Paolo Savona è la figura più autorevole di questa scuola di pensiero. Per quanti sforzi le élites politicamente corrette possano fare, è dura presentarlo come un forsennato populista. E allora la tattica è quella della censura, di un morbido ma inesorabile isolamento. A maggior ragione, la voce di Savona merita dunque di essere ascoltata e compresa, con rispetto e ammirazione, a mio avviso.

Dopo una provocatoria “prima lettera agli amici tedeschi” di qualche anno fa, in cui ricordava alla Germania la cupa ambizione di Walter Funk (in estrema sintesi: la Germania come paese produttore industriale, con gli altri Paesi dediti ad allevamento e agricoltura…), Savona scrive oggi una seconda lettera. Stavolta l’autore evoca (e trascrive: il testo pubblicato da Rubbettino include una versione pressoché integrale dei due scritti, con le chiose di Savona) due capisaldi del pensiero tedesco, ovvero La Germania di Heinrich Heine (parte della sua Storia della religione e della filosofia) e Per una pace perpetua di Immanuel Kant (pace anche economica, non solo militare, annota e attualizza Savona…).

Attraverso la rilettura – testuale e rispettosa – di questi due mostri sacri, Savona va al cuore del tabù: il dna della Germania. L’autore – per par condicio – è severo anche rispetto al dna italiano: la convinzione di poter non rispettare le regole, di poter aderire a un trattato con il retropensiero di non rispettarlo. Il dna tedesco è ovviamente pericoloso per ragioni opposte: per – mettiamola così – una scarsa attitudine a tollerare le diversità e una irrefrenabile propensione all’omogeneità, all’omogeinizzazione.

Una citazione di Heine sul carattere tedesco (che, ammonisce egli stesso, gli altri popoli fanno male a sottovalutare) lascia letteralmente senza fiato: “…se uno di noi vuol far inserire nella Gazzetta di Amburgo queste parole: ‘Comunico ai miei amici e conoscenti che mia moglie ha dato felicemente alla luce un figlio bello come la libertà…’, il signor dottor Hoffmann prende lapis rosso e cancella ‘la libertà’”.

Sulla base di questo presupposto non rassicurante, Savona si rivolge direttamente agli amici tedeschi: forti di un simile dna, cosa volete fare? Sollevare problemi o risolverli?

E quindi Savona cesella, attraverso questi due riferimenti classici, una critica radicale dell’architettura esistente delle regole europee: e sottolinea i vantaggi competitivi ricavati dalla Germania a scapito di troppi altri Paesi. Da questo punto di vista, era prevedibile e perfino scontato che molti elettori avrebbero cercato rifugio in partiti anti-sistema: le politiche dettate da Bruxelles e Francoforte hanno imposto enormi costi ai cittadini. L’incapacità dei governi di prevenire l’alta disoccupazione e di evitare riduzioni nel tenore di vita ha portato alla disillusione. E ora è troppo comodo girare la colpa sui “populisti”, spesso effettivamente impresentabili: ma se c’è la febbre, la colpa non è certo del termometro.

Questo pamphlet di Paolo Savona è la migliore risposta agli “euroayatollah” che meccanicamente ripetono: “Ci vuole più Europa”. Non ci sarà nessuna soluzione positiva se non si faranno almeno due cose. Nel metodo, superare il crescente fastidio delle élites verso la democrazia, il popolo, i cittadini, sempre più bypassati dai circuiti delle decisioni europee. Nel merito, la sostituzione dei meccanismi e parametri rigidi (sul modello di Maastricht) con nuove e più intelligenti regole di convivenza e tolleranza. Ci sarà la lungimiranza di accettare questo tipo di discussione?

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