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“E Basta con ‘sto fascismo”: il rischio di un totalitarismo soft

Da Daniele Capezzone non solo la denuncia della subdola strategia della “fascistizzazione” dell’avversario, ma un utile manuale liberale per il centrodestra

Daniele Capezzone

Una cappa ideologica asfissiante limita il libero dibattito e il democratico confronto nel nostro Paese, tanto da aver progressivamente favorito l’avvento di un totalitarismo soft che utilizza il politicamente corretto per escludere o demonizzare qualsiasi idea ritenuta incompatibile con il pensiero unico. È la coraggiosa e importante denuncia lanciata da Daniele Capezzone nel suo nuovo libro, “E basta con sto fascismo” (edito da Piemme).

La fascistizzazione

Lontanissimo da qualsiasi piagnisteo e vittimismo, da cui l’autore anzi mette in guardia, il testo si divide in due fronti: in primo luogo, mira a smascherare la subdola strategia utilizzata da una consistente parte del mondo liberal per provare sconfiggere gli avversari politici e culturali nel dibattito pubblico, non riuscendo spesso a farlo nelle urne: quella della “fascistizzazione”.

Un’etichetta infamante – quella del fascista – da attaccare addosso a chiunque sia incompatibile con la visione della storia e con le soluzioni politiche proposte dal mainstream, in particolare rispetto a fenomeni pur problematici come quello del cambiamento climatico e dell’immigrazione.

Nel mondo simil-orwelliano raccontato magistralmente da Capezzone, fascisti e negazionisti non sono più solo quelli che promuovono idee di stampo totalitario e di ispirazione mussoliniana, o che sostengono l’inesistenza dell’Olocausto, bensì anche coloro che mettono in guardia dai rischi per l’economia e il lavoro derivanti da una transizione ecologica generalizzata e frettolosa, o che ritengono ingiusto che l’Italia debba essere l’unico Stato europeo ad accogliere i migranti provenienti dall’enorme continente africano.

Pertanto, come capitato allo stesso Capezzone all’Università La Sapienza, chiunque sia a torto o a ragione ritenuto ostile alle tesi del mainstream di sinistra su queste tematiche, oltre ad essere tacciato di fascinazione per le tesi espresse nel Ventennio, può subire nel quasi silenzio generale delle ritorsioni paradossalmente somiglianti proprio a quelle attuate dalle camicie nere durante il fascismo. Ad esempio, la censura o l’aggressione che ne mettano a rischio l’incolumità fisica.

L’alternativa

Quella dell’autore è una denuncia forte che contrasta l’ipocrisia ed evidenzia i rischi strutturali per la nostra democrazia derivanti da una simile deriva illiberale. Tuttavia, nel prosieguo del testo Capezzone (come suo solito) prova a delineare e proporre un’alternativa credibile, non limitandosi quindi alla mera polemica o denuncia dell’errato atteggiamento altrui.

Da qui, un suggerimento alla destra spesso concentrata più sull’inseguimento della narrazione avversaria che sul suo anticipo: guai a pensare di combattere una battaglia contro l’egemonia culturale della sinistra illudendosi di poter contrapporre ad essa una sua copia sbiadita. Infatti, il mondo liberal-conservatore potrà vincere la partita solo se realmente alternativo alla controparte e capace di contrastare il pensiero unico tramite l’espansione di tutte le libertà.

Un concetto caro ai liberali di cui non bisogna aver timore: spesso la destra tende a vedere nella libertà di scelta, soprattutto sui temi non conformi con le sue radici ideologiche e culturali, un potenziale pericolo o tradimento della propria battaglia storica.

Una percezione da modificare, pena il rischio di ridursi a minoranza all’interno del dibattito pubblico ed allontanare una fetta di cittadini di matrice ideologica differente ma delusa dalla deriva assunta dalla sinistra negli scorsi anni.

Un manifesto culturale

Ad avviso di chi scrive, quello di Capezzone è un libro da ergere a manifesto culturale del nuovo centrodestra, nella certezza che per contrastare l’illogicità altrui servano coraggio e ideali anche di matrice libertaria. Magari che portino a ritenere un modello da seguire Clint Eastwood più che il generale Vannacci.