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Il libro nero dell’interventismo statale: occhio ai pifferai della spesa pubblica

Nel libro di Paolo Savona il perverso binomio tra abbondanza e inutilità dei programmi economici in Italia. E la terapia: libertà e concorrenza

Conte © STILLFX e phodopus tramite Canva.com

Proclami, annunci, progetti, piani poliennali, vasti programmi e altrettante vaste promesse. L’Italia tra le elezioni del 2022 e le imminenti elezioni europee sembra traboccare di riformatori e programmatori che vogliono pianificare e orientare la spesa pubblica italiana e le finanze europee, alla ricerca di sorti magnifiche e progressive.

Nulla di nuovo, in un panorama in cui un confuso, contradditorio e caotico interventismo statale ha avuto tanti proseliti e adepti. Di cui il Superbonus 110% o il reddito di cittadinanza sono degli evidenti esempi.

Il binomio abbondanza-inutilità

Ma il presente ci insegna che la storia della programmazione pubblica non è solo riassumibile in questo libro nero dell’intervento statale, ma anche nei tanti “libri dei sogni”, come direbbe Fanfani, che hanno promesso delle riforme sociali che o non si sono inverate o non sono state nemmeno avviate, creando un perverso binomio tra abbondanza e inutilità dei programmi economici che non sono stati in grado di trasformare il Paese o, in certi casi, di capirlo.

Programmi abortiti, utopici o mai nati per davvero che hanno accompagnato la nostra storia nazionale. Rafforzando un immobilismo che spesso è stato causato o da un forte dogmatismo ideologico oppure dall’impossibilità di intervenire sui veri fattori critici del Paese per i motivi più vari. Lasciandoci dietro numerose occasioni perdute.

Per capire il romanzo, o la commedia che dir si voglia, della programmazione pubblica in Italia e meglio conoscere questo scenario attuale occorre recuperare un libro che proprio su questi vizi e mali, miraggi e occasioni sprecate dice parole definitive: “Abbondanza e inutilità dei programmi economici in Italia” di Paolo Savona (Rubbettino).

Tutti i “libri dei sogni”

Un testo in cui il presidente della Consob, già figura di spicco del Servizio Studi della Banca d’Italia, docente, grand commis, ministro in diversi governi, poi banchiere in istituti di primo piano ed esponente di vertice di imprese di rilevanza europea, ripercorre buona parte della storia dei programmi economici che si sono susseguiti in Italia dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale fino al presente alternando analisi critica e memoria. Una interpretazione delle metamorfosi dell’economia italiana (e dei numerosi miraggi che la hanno animata) con la testimonianza personale di chi ha svolto un lungo cursus honorum nelle principali istituzioni economiche italiane.

Un’immersione nei numerosi “libri di sogni” che si sono susseguiti nella storia italiana, che però non si vuole presentare come una controstoria della programmazione economica, bensì come un’indagine sulle vere ragioni che hanno prodotto e che producono ancora il binomio abbondanza-inutilità dei programmi pubblici e di come farvi fronte. Savona indaga, infatti, la lunga genealogia dell’inutilità dell’abbondanza di questi programmi, soffermandosi sulle sue personali esperienze, come membro del Centro Studi della Banca d’Italia, come direttore generale di Confindustria, come ministro, mostrando i vizi storici e i veri nodi che hanno contraddistinto la storia della programmazione pubblica che hanno gravato e gravano (purtroppo ancora) sul Paese.

Dal Piano Vanoni ai tentativi del centrosinistra, passando per l’operazione sviluppo della Confindustria fino ad una attenta indagine dei vari tentativi che hanno cercato di sanare le difficili condizioni del Mezzogiorno e una politeia per l’Unione europea. Un itinerario che non vuole mostrare solo gli errori fatti nella programmazione pubblica, ma soprattutto rivelare, le condizioni, i fattori, gli agenti e le motivazioni che ne hanno portato all’inutilità e che ne hanno minato la messa a terra, garantendo un pietrificato immobilismo.

Il rapporto tra Stato e imprese

Ne emerge il ritratto di un Paese che purtroppo non è mai riuscito a conciliare l’intervento pubblico con le regole del mercato aperto, la libera iniziativa dei privati con una missione politica capace di armonizzare le spinte sociali. Una conciliazione impossibile che si è riversata nell’odio verso la concorrenza, la libera competizione e la libertà di impresa che ad essa ha spesso preferito una cultura oligopolista, familista e assistenzialista, che oltre che a minare e paralizzare crescita e produttività ha generato una tendenza sempre più cronica a cerchi magici, baronati, gilde, caciquismi politici.

Preferendo al bene comune la comunella. Una tendenza alla chiusura che si è svolta in parallelo ad un interventismo statale, figlio di una distorta interpretazione delle terapie keynesiane, che ha favorito vari e infruttuosi assalti alla spesa pubblica, che più che creare investimenti strutturali ha principalmente favorito rendite, clientele, paternalismi di cui gli effetti sono ancora evidenti.

Distruggendo la credibilità anche di un vero patto fiscale tra cittadino e contribuente… Una deriva aggravata: dalle mancanze di un ceto politico e burocratico amministrativo che si è rivelato impreparato alle sfide a cui doveva assolvere (ed in cui i cittadini stessi hanno molte responsabilità); dall’incapacità di trovare radici comuni politiche e pratiche per affrontare il cambiamento da parte dei partiti e dei movimenti.

Elementi che si sommano ad un problema “culturale” e strutturale dovuto alla diffusa “porosità” e “divisività” nella società italiana che hanno impedito, scoraggiato e distorto buona parte dei tentativi di cambiamento, in primis sottovalutando la forza trainante degli investimenti per l’economia italiana, stimolando divisioni e distorsioni a vantaggio degli altri Paesi.

Dalla Costituzione economica all’Unione europea

Sulla base di queste considerazioni politiche, strutturali, sociali ed economiche Savona affronta quindici casi di iniziative, studi, progetti e proposte che lo hanno visto coinvolto nel tempo partendo dalla fine del regime di Bretton Woods nel 1970 e arrivando alla propria Relazione al mercato, tenuta nel 2019 quale presidente della Consob. Affrontando grandi e irrisolte questioni che ancora gravano sul Paese come il problema della costituzione economica, il rilancio della crescita in Italia, una seria e concreta revisione in positivo del ruolo europeo.

Il testo di Savona si sofferma, tra gli altri, su una analisi delle metamorfosi del “regime economico e politico” del Paese di fronte alla svolta del Trattato di Maastricht e del complesso e controverso processo di integrazione europea di cui ripercorre errori, illusioni, occasioni mancate e prospettive, decodificando i cambiamenti che hanno accompagnato quella fase della nostra storia economica travolta dalla crisi istituzionale, dall’avvio della globalizzazione, dalla nascita di complesse quanto fragili catene globali del valore.

In cui si è visto nel “vincolo esterno” una panacea per i mali storici italiani e un “correttivo” alle distorsioni dello scenario economico-istituzionale. Mostrando, come anche in questa occasione si sia ricaduti nei cronici ed abituali errori.

La pentola bucata del Mezzogiorno

Un’indagine storica, economica e intellettuale che mostra, tra le tante cose come soprattutto nel Mezzogiorno si siano favoriti vaghi e controproducenti orientamenti di equità sociale a discapito di una attenzione alla valorizzazione del ruolo delle imprese, della crescita dei redditi, degli investimenti, dello sviluppo. Mostrando che se il Sud vuole, come disse anche un vero meridionalista come Guido Dorso, “giustizia” non può venire dalla “carità”, ma dalla “libertà” e perciò dalla concorrenza, dal lavoro, dalla valorizzazione della più sana cultura imprenditoriale.

Terapie e antidoti

Dopo una diagnosi delle fisiologie e patologie della programmazione economica italiana, in cui le seconde sono preminenti sulle prime, l’autore realizza poi una esaustiva trattazione delle possibili terapie. Savona, infatti, nel finale del suo testo mostra gli strumenti per raggiungere gli obiettivi che il Paese potrebbe perseguire: avviando una riforma del bilancio pubblico che stabilisca i limiti delle garanzie sociali offerte e liberi risorse per creare opportunità di reddito e di lavoro, utilizzando strumenti non deflazionistici, tanto guardati con sospetto, e cercando di risolvere la questione sociale soprattutto tramite politiche di offerta più che attraverso quelle di domanda.

Un complesso di misure e proposte che si ispirano ad una idea laica fondata sul primato del merito e della concorrenza, degli investimenti e dell’iniziativa privata sulle rendite e sulle prebende, che oltre che ad indagare proposte e progetti per superare la stagnazione economica e produttiva della governance nazionale, traccia anche una bussola per una politeia europea capace di promuovere la stabilità, ma soprattutto di creare e favorire la crescita.

Una Repubblica fondata sulle rendite

“Abbondanza e inutilità dei programmi economici in Italia” si presenta in sintesi come la testimonianza di un “programmatore per vocazione e liberista per disperazione” che riesce a fare entrare il lettore nei tanti laboratori della programmazione pubblica delineando una via di uscita incentrata sul primato della libertà e della concorrenza, tanto accurata per spiegare il passato, quanto utile per affrontare il futuro. Un testo fondamentale soprattutto per farla finita con l’Italia delle rendite e delle prebende e per un risveglio (non solo lirico e fideistico) europeo.