Nel suo recente libro “La Mutazione. Come le idee di sinistra sono migrate a destra”, Luca Ricolfi prova a delineare le cause della disfatta della sinistra, fondamentalmente ascrivibili all’aver rinnegato tre battaglie storiche: libertà di pensiero; difesa dei ceti deboli; cultura come strumento di emancipazione.
Quella descritta da Ricolfi è una sinistra malata, la quale, oltre ad essere considerata dall’opinione pubblica il partito dell’establishment, soffre del “complesso dei migliori”.
Ceti popolari a destra
Molti dei corifei della sinistra progressista non si capacitano di come, contrariamente a quelle che furono le sue battaglie storiche, i ceti popolari possano votare centrodestra. Anziché essere difesi, vengono etichettati alla stregua di “illetterati” e pertanto immeritevoli di attenzione: “la destra parla alla pancia del Paese” o “propone soluzioni semplicistiche”.
A tal proposito, con l’aiuto di Eurobarometro, Ricolfi analizza le classi sociali europee in riferimento alle loro preferenze politiche. Ciò che si evince è che, contrariamente a quanto avveniva in passato, le classi popolari si sono spostate decisamente a destra. Specialmente in America, dove il 57,6 per cento ha votato Repubblicano. Al contrario, nelle grandi città, ed in particolare a New York, i voti sono andati ai Dem.
La sinistra dei diritti civili
Per preservare lo status di “difensori degli ultimi”, la sinistra ha quindi adottato la difesa di alcune minoranze (generalmente Lgbtq ed immigrati), dimenticandosi però lavoratori e gran parte del Paese.
Ma, osserva l’autore, i diritti civili, ancorché sostenuti dai media mainstream, sono ben lontani dalle reali esigenze della popolazione. Al contrario, la sinistra sta facendo del corporativismo il suo stendardo.
Il centrodestra, in particolare quello di matrice liberale, rappresenta dunque un po’ di ossigeno per chi, come gran parte della popolazione, non vuole sentirsi fare la paternale sulle proprie opinioni.
Libertà d’espressione
L’adesione acritica al “politically correct”, e la conseguente limitazione della libertà d’espressione, ha fatto sì che molti militanti della sinistra radicale si allontanassero dagli attuali partiti “di sinistra”.
Vi era in tempo in cui la libertà d’espressione era difesa strenuamente dalla sinistra. Adesso, invece, opere quali “Mandragola” di Machiavelli finiscono nell’indice dei libri proibiti; ma anche autori del calibro di Sartre e Miller, nelle cui opere vengono costantemente tagliate parti non gradite. Non solo: sotto i tentacoli della censura finiscono anche i film di Pasolini.
Poi le commissioni volte al controllo dell’informazione e del libero pensiero, le politiche di ban delle high tech, in particolare Facebook e Twitter, delineano un quadro inquietante. “Non tutte le opinioni sono legittime”, “aboliamo il suffragio universale”, sono solo alcune dei leit motiv degli ex paladini della libertà di pensiero.
La radice storica di tale mutazione è riconducibile agli anni ’70, epoca nella quale la sinistra inizia a strizzare l’occhio al “politically correct”. Parole quali “cieco”, “vecchio” o “handicappato”, iniziano ad assumere una connotazione negativa. Sebbene queste non fossero offensive in principio, di lì venne dato il “via” al processo di edulcorazione, portando a grandi fraintendimenti, specie nei dibattiti con persone maliziose, generalmente appartenenti alla vulgata di sinistra.
Scuola e cultura
L’ultimo aspetto affrontato nel libro riguarda il sistema scolastico e la cultura. Con Gramsci, la sinistra aveva conosciuto il massimo della sua espansione culturale. Egli riteneva infatti che la cultura fosse uno strumento per elevare le classi meno abbienti, portandole ad un maggiore benessere.
Tuttavia, fu proprio la sinistra, all’inizio degli anni ’70, a dare il via allo smantellamento di tale sistema. Inizialmente con l’abolizione del latino alle medie, successivamente con il livellamento della sufficienza verso il basso. Naturalmente l’intento era positivo (dare la possibilità a tutti – dal figlio del contadino a quello del ricco impresario – di riuscire a scuola).
Il risultato, tuttavia, fu – ed è ancora – disastroso: portando ad un impoverimento del capitale umano del Paese, implicando maggiore disoccupazione e decremento della produttività. La scuola progressista, intesa come livellamento verso il basso della cultura, non ha portato nulla, fuorché miseria, disoccupazione e fuga di capitale umano all’estero.
Conclusioni
L’autore, infine, arriva a trarre – sostanzialmente – tre conclusioni: destra e sinistra si sono scambiate le rispettive basi elettorali; la sinistra è ora considerata dall’opinione pubblica il partito dell’establishment, e dunque della borghesia; la libertà di espressione è – a tutti gli effetti – una battaglia dei conservatori liberali.