Dopo che, nel settembre 2022, la giovane curda Mahsa Amini venne arrestata e uccisa a Teheran dalle autorità iraniane poiché “colpevole” di aver indossato male il velo, si è creato un forte movimento di protesta da parte delle donne iraniane contro la teocrazia islamica degli ayatollah. Un movimento che ha avuto una certo eco mediatica a livello mondiale, anche se non sempre ha ottenuto la giusta accoglienza da parte delle femministe occidentali.
Donna, vita, libertà
Chi ha provato a raccontare agli occidentali cosa stanno vivendo le donne scese in piazza togliendosi il velo, per far capire il loro punto di vista, è la fumettista iraniana Marjane Satrapi: residente in Francia da decenni, divenuta famosa nei primi anni 2000 con il fumetto Persepolis in cui racconta la sua vita in Iran durante la rivoluzione di Khomeini, di recente ha curato un’antologia collettiva di fumetti e saggi illustrati, “Donna, vita, libertà“ (dallo slogan delle proteste, nato circa vent’anni fa in seno all’indipendentismo curdo e fatto proprio dalle manifestanti contro il regime), pubblicato in Italia da Rizzoli Lizard.
In totale, al volume oltre alla curatrice hanno contribuito quattro autori dei testi esperti di Iran (un editor, un giornalista, uno storico e un politologo) e 17 disegnatori iraniani, francesi e spagnoli. Tante le storie narrate che, pur essendo diverse per quanto riguarda lo stile grafico e narrativo, sono accomunate da un unico filo conduttore: la lotta contro il regime islamico e per i diritti delle donne.
Le storie
Una delle prime storie racconta come è nato lo slogan “Donna, vita, libertà” (jin jiyan azadi nella lingua originale, quando era il grido di battaglia delle milizie curde), mentre altri raccontano ciò a cui vanno incontro le ragazze che si tolgono il velo in piazza: vengono sbattute in carcere, dove spesso vengono torturate e seviziate. In diversi casi, i loro carcerieri le costringono a firmare delle false confessioni in cui dichiarano di essere pentite per il loro gesto, altrimenti non potranno rivedere le loro famiglie.
Alcuni fumetti raccontano come funziona la propaganda del regime, che serve a ingabbiare e dividere la popolazione, dipingendo i manifestanti come servi dell’America e Israele o distraendo le masse con programmi d’intrattenimento superficiali.
Un altro racconta come avviene la censura di film e serie televisive, dove non sono ammesse donne che si tengono per mano con uomini che non sono i mariti, oppure donne “troppo scoperte” (per intenderci, per i parametri del regime lo sarebbe anche una che ha solo i piedi scalzi). Un altro ancora smaschera l’ipocrisia della classe dirigente della Repubblica Islamica, in cui i figli dei capi si mostrano musulmani devoti in pubblico, ma nel privato vivono nel lusso più sfrenato.
Femminismo iraniano e occidentale
Una cosa che differenzia il femminismo iraniano da quello occidentale di ultima generazione, è che pur essendoci l’astio verso il patriarcato non si colpevolizzano tutti i maschi, anzi: in una storia, delle studentesse che non potevano mangiare alla stessa mensa dei ragazzi erano costrette a uscire. Ma a quel punto, i maschi escono dall’università per solidarietà e dividono il loro cibo con le ragazze, tutti insieme sul prato. Un’opera che non predica la guerra tra i sessi, ma la lotta comune per ottenere dignità e giustizia.