Passione liberista e disincanto, sconforto doloroso per la cialtroneria dei politici e per l’inaffidabilità dei borghesi e dei liberali. Siamo nel 1888, ma sembra oggi…
Liberilibri e Alberto Mingardi ce l’hanno fatta un’altra volta a sorprenderci. In questo caso, riproponendo le sei lettere (originariamente scritte in francese, e tradotte in inglese) che Vilfredo Pareto inviò nel 1888 come contributo alla rivista americana “Liberty”, punto di riferimento dell’anarchismo statunitense.
Naturalmente vale la pena di rileggerle. L’affresco è potente su una serie di questioni cruciali: il protezionismo, le relazioni di classe, il Meridione, le differenze tra Nord e Sud, la necessità dell’istruzione e dell’educazione, l’equivalenza (nel male) dei partiti.
Ma meritano almeno altrettanta attenzione le pagine dello splendido saggio di Alberto Mingardi che introduce e accompagna il testo. Su Pareto si sono lette moltissime cose: sulla sua transizione/evoluzione dal liberismo a un certo realismo, dalla passione di chi si batte per i principi al disincanto di chi prende atto di una situazione troppo difficile da modificare. Ma queste pagine di Mingardi sono di raro valore: per la comprensione della parabola di Pareto e per una capacità ammirevole di curvarsi sulla sua dimensione umana, sulla sua ricerca di vie, di percorsi, di sponde.
“L’ignoranza e il malgoverno – Lettere a ‘Liberty’”
Vilfredo Pareto, a cura di Alberto Mingardi
Ed. Liberilibri, 2018
Mingardi comincia da Tucker, cioè dall’animatore di “Liberty”. Una storia singolarissima: intellettuale e insieme organizzatore di cultura, teorico del libero amore ma anche sintetizzatore cosmopolita di stimoli e sensibilità diverse. Con un filo conduttore: l’insofferenza verso l’autorità costituita (stato o confessione religiosa), la rivendicazione della libertà civile e spirituale, della separazione tra stato e chiesa, e soprattutto – ovviamente – l’ostilità al “socialismo di stato”, all’interventismo pubblico. Mingardi ha mano felicissima anche qui, tra narrazione (l’incendio che devasta “Liberty” e quindi la vita di Tucker) e ricostruzione teorica, spiegando come il libertarismo, cioè il rifiuto radicale dello stato, derivi dai fallimenti del liberalismo classico: non basta più provare a limitare il ruolo dello stato, occorre proprio farlo fuori.
E Pareto che c’entra? C’entra perché, deluso dagli amici liberisti fiorentini, rassegnati al trasformismo politico, cerca disperatamente interlocuzioni internazionali, e dunque si offre come collaboratore a “Liberty”. E in quelle lettere c’è davvero molto: l’opposizione a Crispi (simbolo nefasto di statalismo, prebende, militarismo); il liberismo militante; la tensione pedagogica di chi ritiene che la circolazione delle idee sia indispensabile per creare una “domanda” politica di libertà; e piano piano, i primi segni di scoraggiamento verso la democrazia, o almeno la consapevolezza della “tensione” tra liberalismo e democrazia.
Siamo ancora lontani dagli esiti della vicenda personale e intellettuale di Pareto, che molto più tardi lo porteranno a qualche simpatia per il nascente fascismo: e Mingardi fa comunque bene a sottolineare che Pareto morirà prima del delitto Matteotti, difenderà fino all’ultimo la libertà di stampa, e non avrà mai cadute antisemite.
Qui, molto tempo prima, c’è altro, ma indubbiamente ci sono anche le ragioni che produrranno quello scoramento: la consapevolezza del carattere diabolicamente “acquisitivo” delle politiche pubbliche, l’irritazione verso le élites e verso i liberali, il disincanto rispetto alla democrazia elettorale. La conclusione del saggio introduttivo di Mingardi è dolorosa e acuta: siamo nel 1888, ma sono sentimenti che non abbiamo alcun motivo – nel nostro presente – di
ritenere lontani e superati. Assolutamente da leggere.