Al culmine dell’egemonia occidentale sull’islam, all’inizio del XX secolo, uno storico franco-britannico, Hilaire Belloc, fece un’osservazione che, al tempo, poté sembrare esagerata, ma che oggi appare come una straordinaria premonizione:
“Milioni di persone appartenenti alla ‘civiltà bianca’—cioè quella europea e americana—hanno dimenticato tutto dell’islam. Non sono mai venuti in contatto con esso. Danno per scontato che sia ormai in declino e che in ogni caso sia solo una religione straniera che non li riguarda. In realtà, è il nemico più formidabile e persistente che la nostra civiltà abbia mai conosciuto, e da un momento all’altro potrebbe ridiventare minaccioso come in passato.”
(The Great Heresies, 1938)
Belloc fu un grande amico di G.K. Chesterton, e al pari di quest’ultimo non solo fu un osservatore attento e un critico acuto del mondo islamico, ma difese a spada tratta le crociate. La grandezza dell’amico e compagno di tante battaglie finì per oscurarne non poco la fama, ma per fortuna la sua opera è stata recentemente riesumata dall’editoria cattolica con nuove edizioni e ristampe. Il risultato è che tanto al di qua quanto al di là dell’oceano gli vengono finalmente tributati gli onori che ha ampiamente meritato. Ad esempio, gli ha recentemente reso omaggio su The American Thinker un brillante allievo di Victor Davis Hanson, Raymond Ibrahim, studioso del mondo arabo e della sua storia e cultura, nonché autore di libri di successo quali “Crucified Again: Exposing Islam’s New War on Christians” (2013) e “Sword and Scimitar: Fourteen Centuries of War Between Islam and the West” (2018).
La lezione di Belloc, scrive il giovane studioso americano, è che una comprensione accurata della vera storia dei rapporti tra Islam e Occidente—al contrario delle vulgate pseudo-storiche predominanti—conduce ad una prognosi altrettanto accurata del futuro. Non dimentichiamo che tutto cominciò quando, come ci racconta la storia dell’islam, nel 628 Maometto si rivolse all’imperatore di Bisanzio, Eraclio, al tempo massima autorità politica della cristianità, per chiedergli di abiurare il cristianesimo. Al rifiuto di quest’ultimo seguì la proclamazione della jihad e l’invasione araba della Siria, che allora era cristiana, dopo aver sconfitto l’esercito imperiale nella battaglia di Yarmuk (636). Questa vittoria, spiega Ibrahim, mise i musulmani in condizione di sciamare in tutte le direzioni, tanto che, meno di un secolo dopo, essi avevano conquistato le regioni più ricche, importanti e antiche della cristianità del tempo, inclusi Egitto, Siria e Nord Africa. Quello che accadde nei secoli successivi, come risulta dall’accurata, ancorché forzatamente succinta, ricostruzione storica di Ibrahim, non è che una ripetizione dell’identico, che passa attraverso le crociate e la Reconquista: i musulmani all’attacco e l’occidente che si difende e contrattacca. Questo, beninteso, fino alla battaglia di Vienna del 1683, che segnò l’inizio della decadenza del mondo islamico. Successivamente, con l’era coloniale, a partire dall’inizio dell’Ottocento, vi sarà il trionfo dell’occidente e la sottomissione del mondo islamico.
Ma la vittoria non è necessariamente da intendersi come definitiva. Infatti, come Belloc aveva compreso quasi un secolo fa, “tutta la forza spirituale dell’islam è ancora presente nelle masse della Siria, dell’Anatolia, delle montagne dell’Asia orientale, dell’Arabia, dell’Egitto e del Nord Africa. Il frutto finale di questa tenacia, il secondo periodo della potenza islamica, può essere ritardato, ma dubito che possa essere rinviato ad oltranza” (The Great Heresies).
E in un altro punto dell’opera citata, Belloc avverte:
“Ho sempre reputato possibile, e persino probabile, una rinascita dell’islam, prima o poi, e temo che un giorno i nostri figli o nipoti vedranno rinnovarsi il tremendo conflitto tra la cultura cristiana e quella che per più di un millennio è stata la sua grande antagonista.”
La profezia di Hilaire Belloc si è puntualmente avverata. Ora si tratta di imparare dalla storia ciò che essa ci può insegnare. Historia magistra, a Dio piacendo, non sia soltanto un modo di dire.