All’inizio della crisi, benché qualche giorno prima che Salvini facesse cadere il governo, scrissi per il blog di Nicola Porro un commento dal titolo evidente (“Solo Trump ci può salvare dalla tentazione Dini”), sbagliai clamorosamente previsione sul suo esito, che non ha portato a un governo tecnico del presidente della Repubblica ma a uno politico, benché sempre del presidente. Ma soprattutto ho fallato nell’individuare la figura del salvatore, anche se intesa in senso ironico. Non solo Trump non ci ha aiutati ma ha addirittura supportato clamorosamente quelli che secondo noi, ma evidentemente non secondo lui, erano gli avversari degli Usa. E siccome non abbiamo la pretesa di sapere meglio di Trump quali siano i suoi nemici, sarà necessario riflettere. E poiché fin dall’inizio abbiamo simpatizzato non solo con il presidente Usa ma anche con il suo progetto, è giunto il momento di chiedersi cosa esso sia.
1. Gli Usa appoggiano questo governo, lo fa Trump, lo fa Pompeo, forse un po’ meno Bolton, che però è stato giubilato, lo appoggia soprattutto il Deep State, l’establishment politico economico che fa capo sia a una parte del Grand Old Party che ai Dem.
2. È un tradimento, quello di Trump? Sì e no al tempo stesso. Sì, rispetto alle premesse della prima parte del suo mandato, che prevedevano, non certo l’esportazione della rivoluzione populista, come credeva Bannon, ma un forte impulso a sostenere progetti che indebolissero e disarticolassero il blocco eurista, soprattutto sul versante tedesco. No, non è un tradimento perché Trump ha deciso una ritirata nei confronti degli avversari, e in particolare della Ue. Tutto questo era già visibile dopo la semi sconfitta alle mid term, ma è diventato plastico nel G7 a Biarritz. Il licenziamento, o le dimissioni spontanee, di Bolton sono solo una conseguenza, visto che l’ex consigliere è culturalmente un nemico della Ue in quanto agglomerato imperiale che tende a mortificare le nazioni. Se sia una ritirata tattica o strategica, quella di Trump, lo vedremo.
3. Quella che vediamo in azione negli ultimi mesi è la dottrina Trump nella sua essenza. Non isolazionismo ma tutela degli interessi Usa indipendentemente da tutto. Anche dalla vicinanza ideologica dei governi alleati. In tal senso emerge il carattere compiutamente anti-ideologico del trumpismo, che appare riassumibile come una variante del famoso detto di Deng Xiao Ping, “non importa che il gatto sia rosso o nero l’importante è che acchiappi il topo”. Tradotto: non importa che un governo alleato sia di estrema destra o di estrema sinistra, l’importante è che serva l’interesse Usa.
4. Nel caso specifico, a Trump e a Pompeo sembra interessare poco che nel governo vi siano i filo maduriani 5 Stelle (del resto presenti anche prima), le succursali italiane dei Dem suoi avversari che lo vogliono tradurre di fronte alla Corte e neppure l’estrema sinistra. L’importante è che al governo vi sia un individuo, Conte, con cui interloquire direttamente e con cui stendere un deal vantaggioso per Washington.
5. Nel passato recente i governi italiani furono sempre ideologicamente in sincrono con le amministrazioni Usa: centro-sinistra in armonia con quelle Dem, centro-destra con presidenze repubblicane. Quando questo non avveniva (Berlusconi I/Clinton 1994; Prodi II/Bush jr 2006-2008; Berlusconi IV/Obama 2009-2011) guarda caso i governi italiani non sono durati a lungo, e in ogni caso sono stati trattati freddamente da Washington. Con Conte bis/Trump scorgiamo la prima eccezione a questa legge.
6. Per ora. Siccome crediamo, con Bolton contro Trump, che anche i rapporti tra Stati siano animati da visioni ideologiche, e siccome la visione del mondo delle forze politiche che compongono il Conte bis finirà per cozzare con quella dell’America First, non saremmo tanto sicuri che l’idillio con Giuseppi sia destinato a durare. Ma speriamo di non sbagliarci di nuovo.