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“Amen and awoman”. Al Congresso Usa l’ultima follia del politicamente corretto

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Non avrei mai pensato di dover scrivere queste cose. Dopo la provvidenziale pandemia del 2020, provvidenziale per alcuni poteri davvero forti che aspettavano un input per poter operare quello che il Times ha chiamato il Grande Reset dell’economia, eccoci alle prese con la più grande sfida che da qui in poi saremo costretti ad affrontare, almeno chi come il sottoscritto opera nel mondo della cultura: quella contro il politicamente corretto, anzi il mostro politicamente corretto. La sconfitta di Donald Trump alle elezioni americane ha purtroppo dato il là a quella che sembra essere la peggior squadra di governo che gli Usa abbiano mai messo insieme. Ma non è solo questo. La vittoria dei Democratici porta con sé l’attacco più spietato ai valori tradizionali (o presunti tali) che fin qui l’Occidente delle democrazie parlamentari ha creduto di condividere. I primi segnali si sono avuti subito, quando una commissione del nuovo Congresso americano ha proposto di eliminare dal suo linguaggio i termini come padre e madre in ossequio (ossequio?) a una presunta identità di genere, anzi una presunta neutralità di genere che a loro detta avrebbe un qualche identico valore.

Non contento, lo stesso comico e tragico Congresso, per voce di un pastore metodista Democratico, tale Emanuel Cleaver del Missouri, ha terminato la preghiera di insediamento del 3 gennaio scorso con questa ‘geniale’ frase: “We ask it in the name of the monotheistic God… God known by many names and by many different faiths. Amen, and awoman”, che tradotta suona così: “Lo chiediamo nel nome del dio monoteistico… quel dio conosciuto con molti nomi e pregato da diverse fedi. Amen e Awoman”. Ora, capisco che siamo nell’era in cui Paola Taverna è vicepresidente del Senato, Luigi Di Maio ministro degli esteri, nell’era in cui Chiara Ferragni è una star assoluta senza aver fatto nulla di particolarmente importante per giustificarlo; capisco che i lettori italiani medi siano abituati a leggere i libri del rosso-giallo Andrea Scanzi, quindi capisco pure che molti non sappiano nulla dell’origine dell’etimo conclusivo della preghiera. Per questo vorrei ricordarlo, per questo vorrei, dopo averlo ricordato, fare un appello.

Il termine Amen viene dall’ebraico, vuol dire “e così sia”. Non essendo un termine inglese non si può letteralmente tradurre con riferimenti all’uomo o, nelle intenzioni dei Democratici ignoranti o in malafede come il pastore, al maschio. Aggiungere accanto a esso il termine awoman non solo non ha alcun senso ma è come se io chiudessi una frase dicendo “tanti saluti e giraffa rosa”. Nessun inglese, nessun americano, nessun madrelingua anglosassone accetterebbe mai una mostruosità del genere.

Qui siamo alla palese, disumana, viziosa alterazione volontaria della lingua, che in Italia ha conosciuto derive folli come quelle portate avanti dalla ex presidente della Camera Laura Boldrini, che pretendeva di declinare qualsiasi cosa al femminile quando la lingua italiana, a meno che non sia compiacente, non lo permette. Mai. Non si dice sindaca, si dice sindaco. Non si dice ministra, si dice ministro. Non si dice pastora, si dice pastore.

Torniamo nei poveri Stati Uniti. La sconfitta di Donald Trump porterà alla ribalta (molto più di quanto avvenuto per quella sceneggiata indegna seguita alla morte di George Floyd) i facinorosi della Cancel Culture, quei teppistelli che negli ultimi giorni dell’anno hanno rimosso la statua di Abraham Lincoln a Boston, avete capito bene; dell’uomo che non solo nel 1864 ha vinto la Guerra di Secessione con gli Stati del Sud schiavisti, ma che la schiavitù l’ha abolita. Mi preme qui ricordare la figura di Albert Pike, grande massone che combatté con la Confederazione addestrando reggimenti di indiani. Democratico e “Grande Stregone” fu anche Nathan Bedford Forrest, tra i fondatori del Ku Klux Klan. Mi viene da pensare che il revisionismo linguistico, questa vera e propria strage sovietico-orwelliana delle parole che i movimenti pseudo progressisti stanno portando avanti, siano in realtà la continuazione del loro lavorio razzista e schiavista dei secoli scorsi, che oggi si è dato una patina di bene per rendersi accettabile, accreditandosi come Nuova Morale a cui fare riferimento e che in realtà stia manovrando per creare uno Stato di terrore generalizzato, a partire dalla trasformazione, appunto, del linguaggio (e dei simboli, ma qui il discorso si allungherebbe).

La situazione è di una gravità assoluta. Per questo chiedo a gran voce, e col cuore in mano, a quegli autori, giornalisti, intellettuali, filosofi, personaggi dello spettacolo, che non si riconoscono in questa deriva che chiamerei davvero apocalittica, di far sentire la loro voce. Sarebbe forse il caso di costituire un fronte comune. Ma so che i fronti comuni, soprattutto in questi tempi in cui il virus cinese (le cui origini di laboratorio non si possono escludere) ci ha allontanati, sono impossibili o molto complicati. Basterebbe però porre in essere un manifesto, un appello, basterebbe essere compatti come fanno i progressisti quando scatenano le loro armade per attaccare il “razzista” di turno. Bisognerebbe intervenire da più parti, far sentire la voce di chi non ci sta a questo massacro culturale, con autorevolezza, e dire No. Soprattutto non aver paura di continuare a usare il linguaggio corretto, quello non politicamente corretto. Per quanto mi riguarda non recederò di un passo. Ci aspetta un annus horribilis (forse un quadriennium horribilis), che solo un miracolo potrà trasformare in un qualcosa di mirabilis.