A rischio la nostra sicurezza nazionale e la vita del professor Mifsud: non è ora che qualche procura decida di indagare?
La stessa Adnkronos che li ha pubblicati nella giornata di mercoledì era molto incerta sull’autenticità dei due file audio del presunto Mifsud arrivati alle redazioni dell’agenzia di stampa e del Corriere della Sera da un sistema di posta elettronica anonimo e criptato. Il procuratore Usa John Durham, che sta indagando sulle origini del Russiagate e sul presunto coinvolgimento di alcuni Paesi alleati, tra cui l’Italia, avrebbe acquisito i file per esaminarli, secondo quanto riferisce all’Adnkronos l’avvocato Stephan Roh, che avrebbe parlato direttamente con il procuratore, “interessato a capire che fine abbia fatto uno dei protagonisti del Russiagate e anche di chi sia la voce femminile che per un breve istante si può ascoltare alla fine del secondo file audio”.
Dagli Stati Uniti, intanto, rimbalza l’indiscrezione secondo cui il procuratore Durham avrebbe in programma una nuova visita in Italia, dopo quella del 27 settembre scorso insieme a Barr per incontrare i vertici dei nostri servizi, e arriva la notizia di un incontro non programmato, nello studio ovale della Casa Bianca, tra il presidente Trump e l’Attorney General. Un incontro per fare il punto sul rapporto dell’ispettore generale del Dipartimento di Giustizia, Michael Horowitz, sui presunti abusi dell’FBI nella sorveglianza della Campagna Trump nel 2016, la cui pubblicazione “so che è imminente”, ha dichiarato Barr, spiegando che “alcune persone menzionate nel rapporto stanno avendo proprio adesso l’opportunità di rilasciare una dichiarazione su come vengono citate nel rapporto e, una volta terminato questo processo, che dovrebbe essere molto breve, il rapporto verrà pubblicato”. La scorsa settimana, il senatore Lindsey Graham, presidente della Commissione Giustizia del Senato, ha riferito di essere stato “aggiornato” da Barr sul rapporto dell’IG Horowitz e dichiarato a Fox News che sarà “scioccante”, “incriminante”. “Penso che dimostrerà che il sistema è uscito dai binari e abbiamo bisogno di azioni correttive”.
Nel frattempo, in Italia, si moltiplicano i dubbi sulla voce dell’uomo che nell’audio arrivato all’Adnkronos si qualifica come Joseph Mifsud. Gli unici ad essere certi “al 100 per cento” che si tratti proprio del professore sono i vertici della Link Campus, che però sono parte in causa, venendo infatti scagionati dalle dichiarazioni contenute nei file.
L’audio ha già fallito un primo test. Roberto Vivaldelli, di InsideOver, si è rivolto ad un “esperto in discipline forensi, uno dei più importanti in Italia in questo ambito”, il quale dopo aver messo a confronto il file audio inviato dal presunto Mifsud con due video del professore maltese su YouTube, ha concluso che si tratta di un “falso” e che la persona che parla non è Joseph Mifsud. L’esperto è stato in grado di fornire altri particolari interessanti. L’uomo a cui appartiene la voce che si sente nei file ha “presumibilmente una ventina di anni in meno rispetto al professore (che ne ha quasi 60, ndr) e sta leggendo qualcosa di scritto”, la sua voce mostra “i difetti tipici degli italiani che parlano inglese” e “non ha la stessa cadenza del vero Mifsud dei video, che trascinava le vocali per via del suo respiro. Questa cosa nel file audio non c’è mai e sono abbastanza convinto che sia un falso”. Inoltre, deve averlo registrato “con un microfono attaccato al colletto della camicia, in un ambiente molto ampio, collegato direttamente al computer, c’è molto eco”. E conferma anche che si sente la voce di una donna, verso la fine, che direbbe “22”. Non solo: secondo l’esperto contattato da InsideOver, il file sarebbe stato “lavorato successivamente con qualche programma, è stata aggiunta della compressione”.
Altre cose sembrano non tornare dell’audio, come abbiamo già avuto modo di notare. Perché mai registrare in lingua inglese, quando Mifsud parla un ottimo italiano, dichiarazioni indirizzate a organi di stampa italiani, la cui finalità è di tutta evidenza rispondere a recentissime inchieste e interviste uscite sui media italiani?
Se, come afferma la voce nell’audio, “assolutamente” non ha alcun contatto con amici e famigliari e non ne ha avuti per mesi, non ha nemmeno potuto “leggere le notizie”, come ha potuto “recentemente” essere stato “informato in maniera affidabile” delle accuse rivolte alla Link?
E perché, dopo aver ribadito più volte di non aver mai ricevuto “pressioni” ma solo “un consiglio”, alla fine, in un drammatico appello, chiede che gli sia “data la possibilità di tornare alla vita”, che “qualcuno, da qualche parte, decida” di farlo “respirare di nuovo”?
Secondo l’esperto contattato dal quotidiano La Verità – che proprio nel giorno in cui spuntava l’audio del presunto Mifsud trovava significative conferme alla versione fornita dall’avvocato Roh – c’è “un’altissima probabilità” che la voce dell’audio sia effettivamente quella del professore, risultato a cui sarebbe giunto anche il sito investigativo Bellingcat, ma come abbiamo detto ora i file sono nelle mani delle autorità Usa…
Se fossimo in presenza di un audio fake, se cioè qualcuno avesse impersonato Mifsud, le implicazioni sarebbero diverse e molto gravi.
Innanzitutto, ci troveremmo non più di fronte ad una negazione del coinvolgimento del nostro Paese nelle origini del Russiagate e nella sparizione del professore, ma ad un deliberato tentativo di depistaggio dell’indagine Durham. Una cialtronata che faticherebbe (e sta già faticando) a reggere all’urto di approfondimenti giornalistici, figurarsi alla prova di un’analisi condotta con i potenti mezzi delle agenzie Usa. A Washington questa ipotesi viene valutata con preoccupazione e un esito negativo degli esami sui file audio non potrebbe che essere preso molto seriamente.
Inoltre, come abbiamo già osservato, se non fosse la sua voce ma quella di un impostore, ci sarebbe da preoccuparsi davvero per la sorte del professore maltese: chi rischierebbe, infatti, di registrare un falso audio di una persona sapendola in vita – e libera in qualsiasi momento di ricomparire, smentire, denunciare? Ma anche se fosse il vero Mifsud a parlare in quei file, non sembrano le parole di un uomo libero, bensì di un prigioniero esausto che potrebbe aver ricevuto pressioni per registrare e diffondere proprio ora queste dichiarazioni.
Insomma, considerate le possibili ripercussioni sui nostri rapporti con gli Usa, quindi sulla nostra sicurezza nazionale, di un’ipotesi di depistaggio dell’indagine Durham, e le fondate preoccupazioni per le condizioni di salute e l’incolumità del professor Mifsud, che nel caso di un falso audio potrebbe anche non essere più in vita, non è forse giunto il momento che qualche procura decida di iniziare a indagare? Se non ora, quando?
Un’altra strana circostanza è stata notata ieri su Twitter da Giulio Occhionero, che come abbiamo riportato nel nostro speciale ha presentato diversi esposti alle procure di Roma e Perugia denunciando le connessioni tra l’inchiesta Eyepyramid che lo vede coinvolto e il caso Russiagate: non è più accessibile sul sito della Link Campus la pagina del master in Scientific Intelligence al quale era stato invitato come relatore, il 9 settembre 2016, l’agente dell’FBI Preston Ackerman, assistente legale all’ambasciata Usa di Roma, come il suo collega di ufficio Michael Gaeta, che dalla capitale italiana gestiva i contatti con l’ex agente britannico Christopher Steele, firma dell’omonimo dossier anti-Trump commissionato dalla Fusion GPS, società incaricata dalla Campagna Clinton. Non è più visibile quindi che nel comitato scientifico di quel master c’erano Vincenzo Scotti, Vanna Fadini e Paola Giannetakis. In cattedra, “i migliori esperti nazionali ed internazionali, professionisti, accademici, appartenenti alle FFPP, Arma dei Carabinieri, Polizia Postale e delle Comunicazioni, Guardia di Finanza, Polizia di Stato, CIOC, SMD”. Tra questi, uno dei protagonisti del caso Eyepyramid, l’allora direttore della Polizia Postale Roberto Di Legami e, appunto, Ackerman.
E troviamo sia Ackerman che Di Legami ad un convegno del 13 giugno 2016, a Roma, organizzato da Stefano Mele, avvocato e fondatore di Moire Consulting Group, lo stesso organizzatore di una conferenza, nell’aprile 2017, in cui il pm del caso Eyepyramid Eugenio Albamonte, oggi sotto inchiesta a Perugia, sosteneva che le presidenziali Usa del 2016 erano state truccate dagli hacker, solo pochi mesi dopo il voto e ancor prima che venisse nominato il procuratore speciale Mueller.